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Diffamazione a mezzo stampa: onere della prova del cronista

Un giornalista pubblica una notizia falsa scambiando un politico con un suo omonimo accusato di un grave reato. La Corte di Cassazione conferma la condanna per diffamazione a mezzo stampa, ribadendo che il diritto di cronaca, anche putativo, richiede un rigoroso onere di verifica delle fonti, non essendo sufficiente la confidenza di una fonte non accreditata. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione a mezzo stampa: La Cassazione sull’obbligo di verifica delle fonti

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 23570 del 2024, offre un’importante lezione sul tema della diffamazione a mezzo stampa e sui doveri del giornalista. Il caso riguarda la pubblicazione di una notizia falsa e la conseguente condanna di un cronista, confermando che la buona fede non basta se non è supportata da un rigoroso e scrupoloso lavoro di verifica delle fonti. Questa pronuncia ribadisce i confini tra il legittimo esercizio del diritto di cronaca e la lesione dell’altrui reputazione.

I fatti del caso

Un giornalista veniva condannato per il delitto di diffamazione per aver pubblicato, su un sito web di informazione e sui relativi canali social, un articolo dal titolo “Nuovi guai giudiziari in arrivo per il consigliere comunale uscente…”. Nell’articolo si attribuiva falsamente a un noto consigliere comunale il rinvio a giudizio per un grave reato, lo sfruttamento della prostituzione.

In realtà, il procedimento penale riguardava un’altra persona, che portava lo stesso nome e cognome del politico ma era nata in una data diversa. L’errore di persona, diffuso online, aveva gravemente danneggiato la reputazione del consigliere comunale, che aveva quindi sporto querela. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano confermato la responsabilità penale del giornalista.

I motivi del ricorso e l’analisi della diffamazione a mezzo stampa

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. In particolare, ha invocato la cosiddetta “scriminante putativa” del diritto di cronaca. Sosteneva di aver agito in buona fede, fidandosi di una confidenza ricevuta da una sua fonte, e che la notizia errata derivasse da un comunicato stampa delle forze dell’ordine (mai prodotto in giudizio).

Inoltre, lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto”, data la presunta lieve entità del danno. La difesa ha anche contestato vizi procedurali e un’errata valutazione delle prove da parte dei giudici di merito.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa. I giudici hanno sottolineato un principio cardine in materia di diffamazione a mezzo stampa: la scriminante del diritto di cronaca, anche nella sua forma putativa (cioè quando il giornalista crede erroneamente che la notizia sia vera), è configurabile solo se il cronista ha assolto al suo onere di “esaminare, controllare e verificare l’oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio”.

Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che:
1. La fonte non era attendibile: La presunta confidenza ricevuta da un conoscente non costituiva una fonte accreditata e non poteva esonerare il giornalista dal dovere di verifica.
2. La prova documentale era assente: Il presunto comunicato stampa delle forze dell’ordine, indicato come fonte della notizia, non è mai stato prodotto in giudizio dall’imputato, su cui gravava l’onere della prova.
3. Irrilevanza della mancata rettifica: La circostanza che la persona offesa non avesse richiesto una rettifica è stata giudicata irrilevante, essendo una mera facoltà della parte civile e non una condizione di procedibilità dell’azione penale.

La Corte ha anche confermato la decisione di non applicare l’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto), ritenendo corretta la valutazione dei giudici di merito che avevano considerato la gravità della notizia diffusa, la sua specificità e l’ampia diffusione tramite il web, elementi che escludevano la tenuità dell’offesa.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza che il giornalismo, specialmente nell’era digitale, impone un elevato standard di diligenza. La velocità di diffusione delle notizie online non può mai giustificare la superficialità nel controllo delle fonti. La Corte di Cassazione ha chiarito che, per evitare di incorrere nel reato di diffamazione, il giornalista deve poter dimostrare di aver fatto tutto il possibile per verificare la veridicità di ciò che pubblica. Affidarsi a fonti confidenziali o non accreditate, senza ulteriori riscontri, espone a una sicura responsabilità penale e civile. La reputazione delle persone è un bene giuridico tutelato che non può essere sacrificato sull’altare di uno scoop non verificato.

Quando è applicabile la scriminante putativa del diritto di cronaca?
La scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo il fatto obiettivamente vero, il giornalista ha adempiuto al suo onere di esaminare, controllare e verificare la notizia per superare ogni dubbio. Non è sufficiente basarsi su fonti non accreditate.

La mancata richiesta di rettifica da parte della persona offesa esclude il reato di diffamazione a mezzo stampa?
No. La sentenza chiarisce che la mancata richiesta di rettifica è una circostanza del tutto neutra ai fini del riconoscimento della scriminante. Si tratta di una mera facoltà della parte civile, che è libera di esercitarla o meno, e non di una condizione di procedibilità.

Perché nel caso di specie non è stata riconosciuta la particolare tenuità del fatto?
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è stata esclusa perché i giudici hanno valutato la gravità della notizia diffusa, la sua specificità e la sua ampia diffusione tramite il web, che ha amplificato la portata lesiva. Questi elementi, nel loro complesso, hanno reso l’offesa non qualificabile come di particolare tenuità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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