LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Diffamazione a mezzo stampa: limiti al diritto di cronaca

Un giornalista, direttore di una testata online, è stato condannato per diffamazione a mezzo stampa per un articolo che insinuava un patto corruttivo tra un medico e il direttore generale di un’azienda sanitaria, la cui moglie era la giudice in una causa che coinvolgeva quest’ultimo. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza agli effetti penali per intervenuta prescrizione, ma ha confermato la responsabilità civile. La Corte ha stabilito che il giornalista ha superato i limiti del diritto di cronaca, non avendo verificato la veridicità dei fatti e avendo presentato una sequenza temporale distorta degli eventi per suggerire un collegamento illecito, ledendo così la reputazione della persona offesa.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione a mezzo stampa: la Cassazione sui limiti del diritto di cronaca

La libertà di stampa è un pilastro della democrazia, ma non è un diritto senza limiti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini tra il legittimo esercizio del diritto di cronaca e la diffamazione a mezzo stampa, sottolineando il dovere inderogabile del giornalista di verificare le fonti e la veridicità dei fatti. Il caso esaminato riguarda un articolo che, attraverso insinuazioni e una narrazione capziosa, suggeriva un accordo illecito tra un medico, un direttore generale di un’azienda sanitaria e un giudice.

I Fatti: Un Articolo Giornalistico sotto Accusa

Il direttore di una testata giornalistica online pubblicava un articolo in cui accostava due eventi: una sentenza favorevole ottenuta dal Direttore Generale di un’azienda sanitaria in una causa di lavoro e la successiva promozione ottenuta dal marito della giudice che aveva emesso quella sentenza. Il titolo e il contenuto dell’articolo, attraverso un linguaggio allusivo, creavano nel lettore il sospetto di un’intesa corruttiva, uno scambio di favori tra pubblici ufficiali. A seguito della pubblicazione, il giornalista veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di diffamazione, oltre che al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Il Ricorso in Cassazione e i limiti della Diffamazione a mezzo stampa

La difesa del giornalista ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali. In primo luogo, si contestava la mancata assoluzione nel merito nonostante fosse maturata la prescrizione del reato. In secondo luogo, si evidenziava una contraddizione tra la motivazione della sentenza d’appello (che riconosceva la prescrizione) e il dispositivo (che confermava la condanna). Infine, si sosteneva l’insussistenza del reato per mancanza dell’elemento soggettivo e oggettivo della diffamazione e si invocava la scriminante del diritto di cronaca, affermando che la notizia era stata tratta da fonti credibili e di rilevanza pubblica.

L’Analisi della Corte: Verità del Fatto e Dovere di Verifica

La Corte di Cassazione ha esaminato a fondo i limiti del diritto di cronaca, stabilendo principi chiari per la sua corretta applicazione.

Verità, Interesse Pubblico e Continenza

Il diritto di cronaca, anche giudiziaria, è legittimo solo se rispetta tre condizioni fondamentali: la verità della notizia pubblicata, l’interesse pubblico alla sua conoscenza e la continenza, ovvero un’esposizione obiettiva dei fatti. La Corte ha rilevato che, nel caso di specie, il requisito della verità non era stato rispettato. L’articolo aveva deliberatamente alterato la sequenza temporale degli eventi, presentando come contemporanei fatti avvenuti a mesi di distanza per creare un collegamento inesistente e capzioso. La sentenza favorevole al Direttore Generale era del novembre 2015, mentre la mobilità richiesta dal medico era stata concessa quasi un anno dopo, nel luglio 2016. Questa distorsione è stata ritenuta decisiva per qualificare la notizia come non veritiera e, quindi, diffamatoria.

La Scriminante Putativa e l’Onere della Prova

La difesa aveva invocato la scriminante putativa, sostenendo che il giornalista avesse agito nella convinzione, seppur erronea, di riportare fatti veri. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che la scriminante putativa si applica solo quando il cronista ha assolto al suo dovere di esaminare, controllare e verificare l’oggetto della sua narrazione per vincere ogni dubbio. Affidarsi ad altre fonti giornalistiche (nello specifico, il Corriere della Sera) non è sufficiente, poiché si crea un “circuito autoreferenziale” che non esonera dal dovere di verifica. Allo stesso modo, riportare notizie provenienti da fonti non verificabili o anonime (come presunte “voci” dall’interno dell’azienda sanitaria) è inconciliabile con l’esercizio scrupoloso del diritto di cronaca.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha accolto parzialmente il ricorso. Ha riconosciuto l’evidente errore materiale della Corte d’Appello nel non dichiarare nel dispositivo l’estinzione del reato per prescrizione, come invece indicato in motivazione. Pertanto, ha annullato la sentenza agli effetti penali. Tuttavia, ha confermato la responsabilità del giornalista ai fini civili. La presenza della parte civile e la condanna al risarcimento del danno nei gradi di merito imponevano alla Corte di valutare nel merito la fondatezza dell’accusa, anche in presenza di prescrizione. L’analisi ha confermato che l’articolo era oggettivamente diffamatorio e che il giornalista non aveva rispettato i requisiti del diritto di cronaca, in particolare quello della verità del fatto, a causa della deliberata manipolazione della sequenza temporale degli eventi. La condanna al risarcimento del danno è stata quindi confermata.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: il giornalismo investigativo e di cronaca deve basarsi su un rigoroso controllo delle fonti e sulla presentazione veritiera e obiettiva dei fatti. L’utilizzo di un linguaggio allusivo e la distorsione della realtà per creare narrazioni suggestive, anche se di interesse pubblico, non rientrano nell’ambito del diritto di cronaca, ma configurano il reato di diffamazione a mezzo stampa. La prescrizione può estinguere le conseguenze penali del reato, ma non cancella la responsabilità civile per i danni causati alla reputazione altrui.

Quando un giornalista supera i limiti del diritto di cronaca e commette diffamazione a mezzo stampa?
Un giornalista commette diffamazione quando la notizia pubblicata non è vera, non ha interesse pubblico o è esposta in modo non obiettivo e insinuante. In particolare, la sentenza sottolinea che travisare la consecuzione temporale degli eventi per suggerire un nesso illecito inesistente costituisce una violazione del requisito della verità del fatto.

La prescrizione del reato annulla anche la condanna al risarcimento del danno?
No. Se è già intervenuta una condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, il giudice dell’impugnazione, pur dichiarando la prescrizione agli effetti penali, deve comunque valutare la sussistenza del fatto e la responsabilità dell’imputato ai soli fini delle statuizioni civili.

Affidarsi ad altre fonti giornalistiche o a fonti anonime è sufficiente per escludere la responsabilità per diffamazione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che fare riferimento ad altre pubblicazioni giornalistiche non esonera il cronista dall’obbligo di verificare autonomamente la notizia, per non cadere in un “circuito autoreferenziale”. Allo stesso modo, le notizie provenienti da fonti anonime o non controllabili non possono giustificare la pubblicazione di informazioni lesive, poiché non è stato adempiuto l’onere di scrupolosa verifica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati