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Diffamazione a mezzo stampa: foto sbagliata è reato

Un giornalista pubblica la foto di un onesto cittadino associandola a un clan mafioso per un caso di omonimia. La Cassazione annulla il proscioglimento, affermando che la pubblicazione di una foto sbagliata configura il reato di diffamazione a mezzo stampa, superando i limiti del diritto di cronaca e richiedendo una verifica diligente delle fonti.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione a mezzo stampa: pubblicare una foto sbagliata è reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20145 del 2024, ha stabilito un principio cruciale in materia di diffamazione a mezzo stampa: la pubblicazione della fotografia di una persona estranea ai fatti, associata per errore a una notizia di cronaca nera, integra il reato di diffamazione. Questo caso sottolinea la rigorosa diligenza richiesta ai giornalisti nella verifica delle fonti, specialmente quelle iconografiche, e chiarisce che il diritto di cronaca non può giustificare errori tanto gravi.

I fatti del caso: un errore di persona con gravi conseguenze

La vicenda trae origine dalla pubblicazione di alcuni articoli su un quotidiano locale, riguardanti le attività illecite di un clan camorristico. Negli articoli, il giornalista aveva inserito la fotografia di un uomo, presentandolo come un membro del clan. Tuttavia, la persona ritratta era in realtà un omonimo, cugino del vero soggetto della notizia e del tutto estraneo ai fatti criminali.

La vittima dell’errore vedeva così la propria immagine e reputazione ingiustamente associate a gravi reati. Sia il giornalista-articolista che la direttrice responsabile della testata venivano quindi accusati del reato di diffamazione.

Il proscioglimento in primo grado e il ricorso della Procura

Inizialmente, il Tribunale aveva dichiarato il non doversi procedere, ritenendo che mancasse l’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo. Secondo il primo giudice, la pubblicazione della foto errata era frutto di negligenza e non della volontà consapevole di ledere la reputazione altrui. Di conseguenza, veniva esclusa anche la responsabilità della direttrice.

Contro questa decisione, il Procuratore Generale proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che il giornalista avesse il dovere di verificare adeguatamente le fonti, incluse le fotografie. Associare l’immagine di un innocente a un clan criminale, secondo l’accusa, è un atto intrinsecamente lesivo che non può essere giustificato come un semplice errore colposo.

Le motivazioni della Corte: i limiti alla diffamazione a mezzo stampa

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di proscioglimento e rinviando il caso al Tribunale per un nuovo esame. Le motivazioni della Corte sono un importante vademecum sui limiti del diritto di cronaca e sulla responsabilità penale del giornalista.

Il Dolo nella Diffamazione

La Corte ribadisce che per il reato di diffamazione è sufficiente il dolo generico, che può assumere anche la forma del dolo eventuale. Non è necessario che il giornalista abbia l’intenzione specifica di offendere; basta che sia consapevole che le sue parole, o in questo caso le immagini, siano socialmente interpretabili come offensive e che ne accetti il rischio.

La Verifica delle Fonti e la Pubblicazione della Foto

Il punto centrale della decisione riguarda il rapporto tra diritto di cronaca e diligenza professionale. La Cassazione chiarisce che la scriminante del diritto di cronaca presuppone una diligente verifica delle fonti utilizzate. Tale dovere non si limita al testo dell’articolo, ma si estende a tutti gli elementi che lo compongono, inclusa la fotografia.

La pubblicazione di una foto sbagliata non è una mera imprecisione, ma un fatto ulteriore e autonomo rispetto alla narrazione. Questo atto ha una propria, indubbia, capacità lesiva e integra l’elemento oggettivo del delitto di diffamazione. Il fatto che il nome della persona ritratta corrispondesse a quello del vero criminale non è una scusante, ma un’aggravante, poiché impedisce al lettore medio di accorgersi dell’errore.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce con fermezza che il diritto di cronaca non copre la negligenza nella verifica delle immagini. Associare il volto di una persona a un grave fatto di sangue o a un’organizzazione criminale è un atto diffamatorio di per sé, la cui antigiuridicità non può essere esclusa dalla veridicità della notizia a cui è erroneamente collegato. L’annullamento della sentenza, esteso per correlazione anche alla direttrice responsabile, comporta che il processo dovrà essere celebrato per accertare nel merito la responsabilità degli imputati. Questo principio rafforza la tutela della reputazione individuale e richiama il mondo dell’informazione a un più elevato standard di accuratezza e responsabilità.

Pubblicare per errore la foto di una persona sbagliata in un articolo di cronaca è reato?
Sì. La Corte di Cassazione afferma che la pubblicazione di una fotografia errata, che associa una persona estranea a fatti criminali, integra pienamente l’elemento oggettivo del reato di diffamazione, data la sua autonoma capacità lesiva della reputazione.

Per la diffamazione a mezzo stampa è necessario l’intento specifico di offendere?
No, non è richiesto un intento specifico. È sufficiente il cosiddetto ‘dolo generico’, che include anche il ‘dolo eventuale’. Ciò significa che basta la consapevolezza che il contenuto pubblicato (testo e immagine) possa essere interpretato come offensivo e l’accettazione di tale rischio.

Il diritto di cronaca giustifica la pubblicazione di una foto errata se la notizia è vera?
No. La Corte chiarisce che l’esimente del diritto di cronaca è circoscritta al contenuto dell’articolo, diligentemente verificato. Non si estende a un fatto ulteriore e distinto come la pubblicazione di una foto sbagliata, che costituisce un’autonoma condotta diffamatoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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