Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20145 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20145 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI SALERNO nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a CASERTA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CASERTA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/10/2023 del TRIBUNALE di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette: a) le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; b) distinte memo nell’interesse degli imputati, con le quali, del pari, si chiede dichiararsi l’inammissibi dei ricorsi.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 12 ottobre 2023, pronunciata all’esito dell’udienza predibattimentale di cui all’art. 554-ter cod. proc. pen., il Tribunale di Salerno, ritenendo che gli elementi acquisiti non consentissero una ragionevole previsione di condanna, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, in relazione ai reati loro ascritti. In particolare, ai due imputati è stato contestato di avere, in tempi diversi, il COGNOME, quale giornalista-articolista, la COGNOME, quale direttrice della testata RAGIONE_SOCIALE, il 23 ottobre, il 24 ottobre e il 6 novembre 2021, offeso la reputazione di NOME COGNOME, avendo accostato la fotografia di quest’ultimo, persona assolutamente estranea ai fatti narrati, al testo di articoli con i quali si denunciavano azione illecite del RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto che la pubblicazione della fotografia della persona offesa, cugino di NOME COGNOME, al quale si riferivano i fatti narrati, era frutto di condotta non sorretta dal dolo, ma, al più, da mera negligenza. D’altra parte, l’assenza di un reato del giornalista escludeva la possibilità di attribuire alla direttrice il reato di cui all’art. 57 cod. pen.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte d’appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con il quale si lament violazione della legge penale, rilevando che il giornalista aveva consapevolmente riportato notizie offensive della reputazione della persona offesa, senza avere adeguatamente verificato le fonti della propria conoscenza e senza potere, pertanto, invocare la scriminante del diritto di cronaca. D’altra parte, proprio il fatto che il nome del soggetto riprodotto in fotografia corrispondeva a quello della persona cui si riferivano i fatti narrati impediva al lettore medio di avvedersi dell’errore.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176: a) le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; b) distinte memorie nell’interesse degli imputati, con le quali, del pari, si chiede dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
Occorre premettere che, in tema di diffamazione, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, e che comunque implica l’uso consapevole, da parte dell’agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere (Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013, dep. 2014, Verratti, Rv. 258943 01).
Nel caso di specie, la sentenza non si pone un problema di attribuibilità della condotta al COGNOME, talché resta fuori questione il tema – sul quale invece si incentra la motivazione della sentenza impugnata – della consapevolezza del carattere diffamatorio del contenuto delle informazioni diffuse, per effetto dell’accostamento dell’articolo alla fotografia della persona offesa. In altri termini, la questione sollevata dalla vicenda oggetto del processo non attiene alla sussistenza dell’elemento soggettivo che sorregge l’azione, ma alla verifica dell’offensività della condotta e dei limiti entro i quali opera il diritto di cronaca.
Sotto il primo profilo, è certamente esatto che il carattere diffamatorio di una pubblicazione deve escludersi quando essa sia incapace di ledere o mettere in pericolo l’altrui reputazione per la percezione che ne possa avere il lettore medio, ossia colui che non si fermi alla mera lettura del titolo e ad uno sguardo alle foto (lettore cd. “frettoloso”), ma esamini, senza particolare sforzo o arguzia, il testo dell’articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione, quali l’immagine, l’occhiello, il sottotitolo e la didascalia. (Sez. 5, n. 10967 del 14/11/2019, dep. 2020, Mauro, Rv. 278790 – 01; v. sugli stessi principi anche Sez. 5, n. 503 del 13/10/2022, dep. 2023, COGNOME, n.m.); ma, appunto, ciò può condurre ad escludere l’offensività se, come nel caso deciso da Sez. 5, n. 10967 del 2020, dall’articolo che, riferendosi ad un medico condannato per falso, riportava la foto di altro medico che aveva posato per un servizio fotografico, si possa agevolmente comprendere, sia dal testo sia dai sottotitoli, sia da una intervista riportata nella stessa pagina al presidente di un ordine dei medici, che la foto effigiava un medico ma non quello condannato.
Ma tale situazione non ricorre nel caso di specie, dal momento che la persona offesa riprodotta nella fotografia è il cugino della persona alla quale si riferisce l’articolo e ne porta lo stesso nome (a parte la mancanza di un secondo nome di battesimo che, tuttavia, non ha, nella AVV_NOTAIO percezione del contenuto dell’articolo, una portata certamente idonea a consentire di comprendere lo scambio di persona).
Sotto il secondo profilo – che è poi quello nel quale si innesta la sovrapposizione di piani erroneamente operata dalla sentenza impugnata -, il diritto di cronaca presuppone, per svolgere la sua efficacia scriminante, una
diligente verifica delle fonti utilizzate per realizzare la funzione informativa. Coerentemente, si è ritenuto che non ricorre l’esimente del diritto di cronaca nel caso in cui si pubblichi una notizia in sé vera, relativa ad un grave fatto di sangue, corredandola della foto di una persona estranea ad esso, in quanto l’ambito di operatività di detta esimente è circoscritto al contenuto dell’articolo ovvero a fatti di cronaca diligentemente e professionalmente valutati nella loro verità, e non può certamente estendersi sino ad escludere l’antigiuridicità del fatto ulteriore consistito nella pubblicazione della foto sbagliata, la cui capacità lesiva è indubbia ed, in quanto tale, idonea ad integrare l’elemento oggettivo del delitto di diffamazione (Sez. 5, n. 36283 del 03/06/2004, Migali, Rv. 230628 01).
L’annullamento con rinvio della sentenza nei confronti dell’autore dell’articolo comporta, per il carattere correlato della posizione della coimputata, identico epilogo anche in relazione a quest’ultima,
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Salerno.
Così deciso il 13/03/2024