Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9293 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9293 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a CANEVA il 24/11/1982
NOMECOGNOMENOME nato a RIESI il 20/12/1953
avverso la sentenza del 14/05/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Venezia, quale giudice del rinvio a seguito di annullamento della sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Appello di Trieste, con sentenza del 14 maggio 2024, confermava la sentenza emessa in data 16 febbraio 2021, con cui il Tribunale di Gorizia aveva condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME NOME rispettivamente alla pena di 900 euro e 600 euro di multa per il delitto di cui all’art. 595 cod. pen. per avere – comunicando con più persone – offeso l’onore e la reputazione di COGNOME Antonio.
Il fatto attribuito a NOME COGNOME quale giornalista, e a COGNOME NOME COGNOME quale direttore responsabile della testata, era l’avere pubblicato sul quotidiano « Il Piccolo» la frase : «un doppio incarico costato caro in tutti sensi alla città e ai suoi teatri. Tanto che nel novembre 2011, per riparare ai danni di Calenda, arriva al Verdi come commissario straordinario proprio NOME».
Come accennato, il Tribunale di Gorizia aveva ritenuto la responsabilità di entrambi gli imputati, laddove la Corte di Appello di Trieste aveva riformato detta pronuncia, assolvendo entrambi.
La sentenza di assoluzione era stata annullata dalla sez. 5 di questa Corte sotto il profilo della carenza motivazionale del provvedimento impugnato che aveva laconicamente ribaltato la declaratoria di condanna senza misurarsi con gli argomenti posti dal Tribunale di Gorizia a fondamento della propria decisione.
Il giudice di prime cure, infatti, aveva evidenziato l’oggettiva falsità contenuta nella notizia, poiché il dissesto del Teatro Lirico Giuseppe Verdi non era dovuto alla gestione RAGIONE_SOCIALE, ma era il frutto delle precedenti gestioni che avevano accumulato debiti superiori al 30 % del patrimonio disponibile e proprio per porre rimedio a tale situazione era stato chiamato RAGIONE_SOCIALE.
Per contro, la sentenza della Corte di Appello di Trieste aveva enucleato da tale articolo due notizie vere: che, cioè, la parte civile avesse ricoperto due incarichi entrambi remunerati e che la campagna abbonamenti fosse stata condotta in maniera errata.
La Corte di Appello di Venezia, quale giudice di rinvio, aveva confermato la declaratoria di condanna di primo grado.
Avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Venezia proponevano ricorso gli imputati con il difensore di fiducia lamentando con unico motivo la violazione degli artt. 51, 595 cod. pen. e 13 L. 47/48.
Secondo i ricorrenti, la declaratoria di condanna sarebbe scaturita dalla erronea modalità di lettura dell’articolo operata dalla Corte di Appello di Venezia, che, parcellizzandone il contenuto, aveva estrapolato solo l’aspetto economico
della osservazione, trascurando la valutazione globale e l’attinenza con una questione politica locale.
La Corte avrebbe, inoltre, dovuto valutare il contenuto complessivo dell’articolo, ponendosi dal punto di vista del lettore medio e non di chi se ne senta leso.
Il sostituto procuratore generale NOME COGNOME depositava conclusioni scritte con cui chiedeva la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
La parte civile depositava memoria con conclusioni e nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
La sentenza del Tribunale di Gorizia aveva ritenuto la responsabilità degli imputati, nelle loro rispettive qualità di giornalista e direttore responsabile, poiché la frase incriminata attribuiva alla parte civile COGNOME la responsabilità di avere condotto al commissariamento del Teatro Verdi, in occasione della propria gestione quale sovrintendente del Teatro stesso e ciò in aperto contrasto con i fatti, come appurati nel corso dell’istruttoria dibattimentale e con una oggettiva lesione della reputazione e dell’onore della parte civile, accusata – contrariamente al vero – di aver provocato – in ragione del doppio incarico ricoperto – danni economici tali da avere indotto il commissariamento del Teatro.
Inoltre, osservava il Tribunale, il tono denigratorio dell’articolo era rafforzato SI dall’accenno, del tutto gratuito, alla love story fra la parte civile e una ballerin che si era conclusa con una citazione per danni da parte di COGNOME della ballerina davanti alla Corte di Manhattan.
La Corte di Appello di Trieste aveva ribaltato la decisione di primo grado, assolvendo entrambi gli imputati, con la formula perché il fatto non sussiste e la sezione 5 di questa Corte, adita dalla Procura generale e dalla parte civile, con la sentenza 5950 del 2024, ha annullato tale decisione in ragione di una evidente carenza motivazionale della sentenza di secondo grado che è pervenuta ad un overtuming in difetto di una motivazione puntale ed adeguata che non ha dialogato con le convincenti argomentazioni della sentenza di primo grado.
La sentenza di secondo grado, infatti, aveva focalizzato l’attenzione sulla ritenuta erroneità della campagna abbonamenti e sui tagli operati sulla stessa dalla parte civile, quando la sentenza di primo grado aveva motivatamente escluso che la critica mossa nella frase incriminata si riferisse a tale aspetto dell’operato del Calenda.
La frase in questione, poi, era stata considerata falsa, e quindi non manifestazione del legittimo diritto di cronaca, poiché i danni economici che il
commissario doveva riparare erano certamente riconducibili alle precedenti gestioni del teatro e non alla parte civile; anzi, come ricordato nella sentenza di primo grado, la parte civile aveva chiuso la gestione del teatro Verdi in attivo, dopo tanti anni di perdite di esercizio.
Sempre il Tribunale di Gorizia precisava che il commissariamento era stato determinato dal fatto che i debiti accumulati nel corso delle gestioni precedenti avevano superato il 30 % del patrimonio disponibile.
La Corte di Appello di Venezia, nel giudizio di rinvio culminato nell’impugnato provvedimento, ha ripercorso le argomentazioni del giudice di prime cure condividendole e confermando come la frase imputata si riferisca al fatto che COGNOME, nel corso della sua gestione, avrebbe cagionato danni economici la cui riparazione era stata affidata al commissario straordinario COGNOME; ciò in quanto il doppio incarico attribuito a COGNOME avrebbe gravato l’amministrazione di oneri finanziari tali da imporre il commissariamento del teatro; nessun accenno contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – fa l’articolo a scelte gestionali della campagna abbonamenti; invero il diritto di critica non può essere invocato in ragione dell’oggettiva falsità dell’ affermazione incriminata, come accertata in esito all’istruttoria dibattimentale.
Come da costante insegnamento di questa Corte, infatti, che qui si intende ribadire, in tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini della configurabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica, che trova fondamento nell’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, è necessario che l’elaborazione critica non sia avulsa da un nucleo di verità e non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui. (Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, Rv. 279909)
Per contro il ricorso si appalesa del tutto generico, lamentando, contrariamente al vero, una lettura parcellizzata dell’articolo, quando, invece, l’esame dell’apparato motivazionale delle due sentenze di condanna evidenzia come il tenore diffamatorio dell’affermazione scaturisca non solo dal significato della frase, ma anche dalla lettura complessiva dell’articolo, dagli accostamenti fatti alla vicenda personale della parte civile e come tale carattere diffamatorio sia evidente anche al lettore medio.
Il motivo è anche aspecifico, stante il fatto che non dialoga minimamente con alcun punto della motivazione della sentenza impugnata che, per contro, affronta tutti i temi di critica proposti dagli imputati, alla luce dei principi e delle censu contenute nella sentenza di annullamento.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, alla rifusione
in favore della parte civile delle spese di rappresentanza e difesa sostenute parte civile nel presente grado che si liquidano in complessivi 2316 euro, ol accessori di legge, e, infine, al pagamento – alla luce della sentenza 13 gi 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere c «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazi della causa di inammissibilità» – della somma di euro 3000 a favore della cass delle ammende, tenuto conto dell’evidente inammissibilità dei motivi d impugnazione.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa del ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME NOME che liquida in complessivi euro 2316, oltre accessori di legge.
Così deciso il 14 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente