Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28111 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28111 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2023 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso
Ritenuto in fatto
Con sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Busto Arsizio, in funzione di giudice d’appello, ha confermato la decisione del Giudice di pace di RAGIONE_SOCIALE, che ha dichiarato NOME COGNOME responsabile del delitto di diffamazione, aggravata ai sensi dell’art. 595, secondo e terzo comma, cod. pen., per avere offeso la reputazione di NOME COGNOME, già presidente del ‘RAGIONE_SOCIALE“, mediante una e-mail inviata in data 26 maggio 2018, indirizzata anche al COGNOME oltre che a vari componenti dello staff del Sindaco di RAGIONE_SOCIALE. In tale missiva, l’imputata sosteneva che la persona offesa le avesse mandato “emissari” allo scopo di farla desistere dalla sua richiesta di rimborso di lavori da lei effettuati presso lo stadio Mari di RAGIONE_SOCIALE. Il Tribunale ha confermato anche la condanna dell’imputata alla pena di euro 900 di multa e al risarcimento del danno.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cessazione l’imputata, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure ai quattro motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge sostanziale, con riferimento all’art. 51 cod. pen., e di violazione di legge processuale, in relazione all’art. 521 cod. proc. pen., nonché di vizio di motivazione. I giudici del merito avrebbero violato il principio di corrispondenza tra l’imputazior e contestata e la sentenza: nella motivazione di entrambe le sentenze di merito, il perimetro della contestazione è stato esteso all’intero contenuto della e-rnail incriminata, attraverso la valorizzazione di passaggi della stessa non riconnpresi nell’originaria contestazione (relativi, segnatamente, ad asserite accuse di appropriazione indebita e di estorsione che l’imputata avrebbe rivolto alla persona offesa). Del tutto illogicamente, tali passaggi sono stati considerati quali elementi a sostegno della sussistenza del reato di diffamazione; sicché il giudizio di bilanciamento di interessi sotteso all’art. 51 cod. pen. risulterebbe “appesantito” da elementi eccentrici, appunto perché estranei al perimetro della contestazione originaria.
A proposito del mancato riconoscimento dell’esimente del diritto di critica, il Tribunale avrebbe poi errato nel considerare violato il requisito della continenza espressiva; in particolare, non sarebbe stato adeguatamente valorizzato un contesto di condotte, percepite dall’imputata come pressioni estorsive da parte della persona offesa e dei suoi “emissari” (i quali le avrebbero promesso una somma di denaro per rimborsare le spese sostenute dall’imputata e da suo padre per i lavori presso lo stadio “Mari” di RAGIONE_SOCIALE). Epilogo di quel contesto fu, non a caso, la denuncia per estorsione, presentata dalla stessa COGNOME nei confronti della persona offesa. Ciò varrebbe, nella prospettazione difensiva, a rafforzare
l’argomento difensivo dell’assenza di dolo (di cui al motivo due, v. infra) in capo alla COGNOME, la quale agì nella convinzione di essere vittima di condotte estorsive. La motivazione sarebbe affetta, infine, da travisamento della prova, nel punto in cui il Tribunale ha ritenuto che non risulterebbe da alcuna fonte di prova -fatte salve le dichiarazioni dell’imputata- che la persona offesa, ovvero il COGNOME o il COGNOME, posero in essere condotte assimilabili a quelle, penalmente rilevanti, descritte dalla COGNOME. La già ricordata denuncia-querela per estorsione costituirebbe, invece, l’elemento di prova travisato, per omissione, dal Tribunale.
2.2 Col secondo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo dell’ascritto reato, ravvisato dal Tribunale malgrado la mancata dimostrazione della volontà, in capo all’imputata, dell’azione lesiva. La pronuncia impugnata avrebbe affermato, in maniera Ci podittica, il dolus in re ipsa senza vagliare i profili indicativi dell’assenza di ‘volontà offensiva dell’imputata; sarebbe stato sufficiente che i giudici del merito ponessero mente ai destinatari della e-mail incriminata per comprendere che la ricorrente, da tutti riconosciuta come persona fragile, intendeva chiedere aiuto, condividendo le proprie rimostranze anche con soggetti istituzionali, al solo fine di renderli edotti di un esasperante clima di tensione.
2.3 Col terzo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, sub specie di travisamento della prova, in relazione alla mancata riqualificazione del reato nella fattispecie di ingiuria. La persona offesa -osserva la difesa- ha avuto la possibilità di replicare alle asserite offese, sia rispondendo alla e-mail ricevuta sia querelando, tre giorni dopo la ricezione della e-mail incriminata, l’imputata. Anziché confrontarsi effettivamente col motivo d’appello, i giudici del merito si sarebbero limitati a enunciare massime tratte dalla giurisprudenza di legittimità, senza guardare al caso di specie e alle modalità di invio (evidentemente imprecise e generiche) della e-mail.
2.4 Col quarto motivo, si eccepisce violazione di legge in riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., attesa la particolare tenuità del fatto. Sono stati trascurati sia lo status di persona incensurata della ricorrente, sia le scuse presentate, negli anni successivi all’invio della e-mail incriminata, alla persona offesa, con la quale è in corso un accordo per la definizione transattiva del ristoro dei lamentati danni.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, c:omma 8, dl. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore
generale, NOME COGNOME, il quale ha chiesto pronunciarsi il rigel:to del ricorso; b) memoria nell’interesse della parte civile, con la quale si chiede la reiezione del ricorso, e nota spese di euro 6.332; c) conclusioni dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse dell’imputata, con le quali si contestano le conclusioni del Sostituto Procuratore generale e si insiste per l’accoglimento del ricorso. È altresì pervenuto atto di nomina di nuovo difensore (AVV_NOTAIO) dell’imputata.
Considerato in diritto
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato, per le ragioni di seguito illustrate.
Le censure esposte nel primo motivo sono, in parte, manifestamente infondate, in parte infondate.
2.1 È da ritenersi manifestamente infondata l’eccezione concernente la violazione dell’art. 521 del codice di rito: come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il giudice può ben valorizzare espressioni ulteriori, rispetto a quelle estrapolate dal capo di imputazione, al fine di valutare la sussistenza o meno del reato in parola. Invero, è necessariamente al complessivo contesto comunicativo, elaborato dall’autore dell’espressione incriminata, che il giudice deve guardare per comprendere la portata -offensiva ed eventualmente lesiva dell’altrui reputazionedelle singole parole e frasi oggetto d’imputazione (cfr. Sez. 5, n. 34815 del 20/05/2019, Borghezio, Rv. 276776 – 01: «in tema di diffamazione, il richiamo dell’imputazione all’intero testo dello scritto o dell’intervista ritenuti diffamatori con la precisa indicazione degli estremi per la loro identificazione, comporta che l’addebito debba intendersi esteso al complessivo contenuto comunicativo, del quale non è richiesta l’integrale trascrizione, e non circoscritto alle espressioni riportate nella contestazione a titolo esemplificativo». Speculare -in quanto dedicata al tema dei requisiti minimi affinché l’obbligo di contestazione sia compiutamente assolto- è la pronuncia -in tema di diffamazione a mezzo stampa, ma con principio estensibile al caso di specie- di Sez. 5, n. 55796 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274619 – 01: «per ritenersi assolto l’obbligo di contestazione è sufficiente che venga richiamato il testo dell’articolo ritenuto diffamatorio con la precisa indicazione degli estremi per la sua identificazione – adempimento sufficiente per conoscere i termini dell’accusa e per apprestare le proprie difese non essendo invece necessario che venga riportato integralmente il contenuto dell’articolo stesso»; in motivazione, la Corte ha altresì precisato che il richiamo contenuto – anche implicitamente – all’intero testo dello scritto attribuito all’imputato, comporta che l’addebito non debba essere circoscritto alle sole espressioni riportate nella contestazione, non essendo necessaria l’integrale
trascrizione dell’articolo, dovendosi viceversa fare riferimento al complessivo contesto comunicativo elaborato dal giornalista).
2.2 Infondate sono le censure relative alla mancata applicazione dell’esimente del diritto di critica; in tal caso, la difesa non è confrontata con la motivazione dell’impugnata sentenza, avendo il Tribunale adeguatamente evidenziato tanto il difetto di prova del fatto storico denunciato dalla ricorrente (v., ex plur., Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, Coppola, 1Rx/. 272432 – 01: «in tema di diffamazione, ai fini della applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica»), quanto la violazione del limite della continenza.
In primo luogo, si osserva che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la mera denuncia-querela sporta -per estorsione- dalla ricorrente non è sufficiente a fornire prova del fatto storico denunciato dalla ricorrente, come correttamente ritenuto dai giudici del merito. Al di là della deruncia-querela, la difesa non ha indicato ulteriori evoluzioni processuali della vicenda, salvo ricordare un accordo transattivo in itinere tra imputata e persona offesa che è, del pari, elemento neutro, non fornendo di per sé alcuna conferma dei fatti estorsivi denunciati dalla ricorrente. Va, pertanto, disattesa altresì la censura di travisamento di prova -per omissione- in cui il Tribunale sarebbe occorso per non avere considerato la querela quale sufficiente elemento di prova della verità del fatto denunciato dalla ricorrente.
In secondo luogo, il Collegio non condivide le censure difensive relative alla valutazione, operata dal Tribunale, del limite della continenza.
A tal proposito, va ricordato che, se è vero che detto limite non può «ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato» (Rv. 267866 – 01, cit.; Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, Lunghini, Rv. 279133 – 01), è anche vero che quel limite postula «una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione, che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione».
La motivazione resa, sul punto, dal Tribunale non è irragionevole, posto che “emissari” è termine effettivamente evocativo di condotte estorsive. Né vale a scardinare la motivazione l’asserita, mancata valutazione del contesto (caratterizzato da tensioni derivanti da una irrisolta vicenda di compenso per lavori effettuati dalla ricorrente), nel quale la condotta della COGNOME si é manifestata: in disparte l’evidenza del riferimento, operato da entrambi i giudici di merito al
contesto conflittuale tra le parti (cfr. Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, C., Rv. 267866 – 01A4), è la difesa stessa a indebolire l’eccezione, tratr.eggiando uno dei protagonisti di quel contesto presentando (la ricorrente) come persona notoriamente “fragile”, che mirava soltanto a farsi ascoltare presso le autorità locali.
Il secondo motivo è infondato. Il Collegio non condivide la censura concernente l’asserito deficit motivazionale dell’impugnata sentenza, posto che il Tribunale ha sufficientemente replicato al motivo d’appello, sottolineando il carattere precipuo delle accuse rivolte alla persona offesa, non scevro da una certa cura nella scelta di termini giuridicamente non equivoci (il riferimento del Tribunale è, in particolare, alle espressioni “appropriazione indebita” e ala natura tentata della “estorsione”). Rispetto a siffatta precisione nell’utilizzo delle espressioni utilizzate (tra le quali, va ricordata quella di “emissari”, evocativa anch’essa di condotte estorsive), il Tribunale ha ragionevolmente ritenuto priva di qualunque decisività l’eccezione difensiva circa il titolo di studi dell’imputata.
Quanto alla lamentata carenza di prova circa l’elemento soggettivo dell’ascritto reato, va ribadito il consolidato orientamento di questa Corte, sec:ondo cui, in tema di diffamazione, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, ciò che implica l’uso consapevole, da parte dell’agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere (Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013, dep. 2014, Verratti, Rv. 258943 – 01). In tal senso, la razionalità della valutazione del Tribunale circa il consapevole utilizzo, da parte dell’odierna ricorrente, delle citate espressioni – oggettivamente evocative di un significato offensivo- per formulare accuse “ben circostanziate e dettagliate” (p. 5 dell’impugnata sentenza; sulla sufficienza, ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo, della consapevolezza di formulare giudizi oggettivamente lesivi della reputazione della persona offesa, v. anche Sez. 5, n. 47973 del 07/10/2014, De Salvo, Rv. 261205 – 01) non può dirsi scardinata dalle osservazioni difensive relative alla notoria “fragilità” della ricorrente, che avrebbe inteso, con la missiva incriminata, chiedere aiuto, condividendo le proprie rimostranze anche con soggetti istituzionali, al solo fine di renderli edotti di un esasperante clima di tensione.
Il terzo motivo è manifestamente infondato, avendo il Tribunale correttamente motivato il profilo della mancata contestualità del recepimento delle offese nel caso -come quello di specie- in cui una e-mail sia indirizzata a una pluralità di destinatari. È pertanto centrato, diversamente da quanto sostenuto
dalla difesa, il riferimento operato dal giudice di merito alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui «l’invio di una “e-rriail” dal contenuto offensivo ad una pluralità di destinatari integra il reato di diffamazione anche nell’eventualità che tra questi vi sia l’offeso, stante la non contestualità del recepimento del messaggio nelle caselle di posta elettronica di destinazione» (Sez. 5, n. 13252 del 04/03/2021, COGNOME, Rv. 280814 – 01; in tal senso, cfr. già Sez. 5, n. 18919 del 15/03/2016, COGNOME, Rv. 266827 – 01; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Nastro, 254044 – 01).
L’invocata fattispecie -depenalizzata ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7- di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, ricorre nelle ipotesi in cui tra offensore e offeso si instauri un rapporto diretto, reale o virtuale, che garantisca a quest’ultimo un contraddittorio immediato, attuato con modalità tali da assicurare una sostanziale “parità delle armi” (cfr., ad es., Sez. 5, n. 5982 del 10/11/2022, dep. 2023, Fedeli, Rv. 284220 – 01). Diversamente, nel caso di dichiarazioni offensive espresse attraverso una e-mail, inviata a diversi destinatari oltre l’offeso, non può dirsi garantita la contestualità della ricezione. In difetto di tale immediatezza, l’offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore (Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742 01); nel qual caso, deve ritenersi integrata l’ipotesi della diffamazione (cfr. Sez. 5, Rv. 280814, cit. In base al medesimo requisito dell’immediatezza con cui l’offeso recepisca il messaggio, si è ritenuto integrato «il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, nel caso di invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una “chat” condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell’immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito»: Sez. 5, n. 28675 del 10/06/2022, COGNOME, Rv. 283541-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
È, infine, del tutto privo di specificità (oltre che contraddittorio, per le ragioni di seguito illustrate) il rilievo difensivo relativo alla pretesa genericità e imprecisione degli indirizzi di posta elettronica degli altri destinatari, diversi dalla persona offesa COGNOME, non avendo la difesa sufficientemente contrastato quanto risulta sia nel capo d’imputazione sia nell’impugnata sentenza (in cui è ricordato che la missiva era stata inviata a diversi destinatari, tra i quali, ad esempio, il Sindaco di RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE, l’Ufficio sport del medesimo RAGIONE_SOCIALE). In disparte ciò, la dedotta eccezione appare, inoltre, in contraddizione o, comunque, non in linea con quanto affermato dalla difesa stessa (sub motivo n.2), a proposito della volontà della ricorrente di chiedere aiuto, rivolgendosi a soggetti istituzionali, per renderli partecipi del clima di tensione e dell’ingiustizia subita.
Il quarto motivo è manifestamente infondato, dal momento che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art.131 bis cod. pen., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace (Sez. U, n. 53683 del 22/06/2017, Pmp. e altri, Rv. 271587 – 01, dove, in motivazione, la Corte si è soffermata sul rapporto tra l’art.131 bis cod.pen. e l’art.34 d. Igs. 28 agosto 2000, n. :274, affermando che esso non va risolto sulla base del principio di specialità tra le singole norme, dovendo prevalere la peculiarità del complessivo sistema sostanziale e processuale introdotto in relazione ai reati di competenza del giudice di pace; v. anche, già prima, Sez. 5, n. 54173 del 28/11/2016, COGNOME, Rv. 268754 01).
Per i motivi fin qui esposti, ritiene il Collegio che il ricorso vada rigettato. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile che, in relazione all’attività svolta, vengono liquidate in euro quattromila, oltre accessori di legge.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile che liquida in euro quattromila, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10/06/2024
Il consigliere estensore
Il presidente