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Diffamazione a mezzo email: i limiti della critica

Una donna è stata condannata per diffamazione a mezzo email per aver inviato un messaggio con accuse di condotte estorsive a un dirigente sportivo e ad altri destinatari. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, chiarendo che l’invio di un’email a una pluralità di persone, incluso l’offeso, configura il reato di diffamazione e non di ingiuria. Inoltre, ha ribadito che il diritto di critica non può basarsi su fatti non provati e non giustifica l’uso di espressioni gratuitamente offensive.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione a mezzo email: quando superare i limiti della critica costa una condanna

L’invio di una email può sembrare un gesto privato, ma quando il suo contenuto è offensivo e i destinatari sono molteplici, le conseguenze possono diventare penali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 28111/2024) offre importanti chiarimenti sulla diffamazione a mezzo email, tracciando una linea netta tra il legittimo diritto di critica e l’attacco alla reputazione altrui. Il caso analizzato riguarda una donna condannata per aver inviato una missiva elettronica dai toni fortemente accusatori nei confronti di un dirigente sportivo, coinvolgendo anche soggetti istituzionali.

I fatti del caso: un’email dai toni accusatori

La vicenda ha origine da un’email inviata da una donna all’ex presidente di una società calcistica, nonché ad altri destinatari tra cui membri dello staff del sindaco locale. Nel messaggio, la donna accusava il dirigente di averle inviato degli “emissari” per farla desistere da una richiesta di rimborso per lavori effettuati presso lo stadio comunale. Le espressioni utilizzate erano pesanti e alludevano a condotte penalmente rilevanti, come l’appropriazione indebita e l’estorsione.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Giudice di Pace che il Tribunale, in funzione di giudice d’appello, hanno ritenuto la donna responsabile del reato di diffamazione aggravata, ai sensi dell’art. 595, secondo e terzo comma, del codice penale. I giudici hanno considerato che le accuse mosse nell’email fossero lesive della reputazione del dirigente sportivo. Di conseguenza, la donna è stata condannata al pagamento di una multa e al risarcimento dei danni in favore della parte offesa.

I motivi del ricorso in Cassazione: tra diritto di critica e diffamazione a mezzo email

La difesa dell’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro principali motivi:

1. Errata valutazione del capo d’imputazione e violazione del diritto di critica: Si sosteneva che i giudici avessero illegittimamente ampliato l’oggetto dell’accusa all’intero contenuto dell’email, e che non avessero riconosciuto la scriminante del diritto di critica, dato il contesto di presunte pressioni subite dall’imputata.
2. Mancanza dell’elemento soggettivo (dolo): L’imputata avrebbe agito non con l’intenzione di offendere, ma solo per chiedere aiuto alle istituzioni, spinta da un forte stato di tensione.
3. Errata qualificazione del reato: La difesa riteneva che il fatto dovesse essere qualificato come ingiuria (reato depenalizzato) e non diffamazione, poiché la persona offesa era tra i destinatari dell’email e avrebbe potuto replicare immediatamente.
4. Mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto: Si chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., data l’incensuratezza della ricorrente e le scuse presentate.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in ogni sua parte, fornendo motivazioni dettagliate e di grande interesse pratico.

La differenza tra diffamazione e ingiuria nell’era digitale

Il punto cruciale è la distinzione tra diffamazione e ingiuria. La Corte ha ribadito che l’invio di un’email offensiva a una pluralità di destinatari, anche se tra questi figura la persona offesa, integra il reato di diffamazione. Manca, infatti, il requisito della contestualità della comunicazione e della possibilità di un immediato contraddittorio, tipico dell’ingiuria. Ogni destinatario riceve il messaggio nella propria casella di posta elettronica in un momento potenzialmente diverso, rendendo la comunicazione frammentata e non diretta.

I limiti invalicabili del diritto di critica

Per quanto riguarda il diritto di critica, i giudici hanno sottolineato che esso non può prescindere da un requisito fondamentale: la verità del fatto storico su cui si fonda l’elaborazione critica. L’imputata non ha fornito alcuna prova delle condotte estorsive denunciate; la semplice presentazione di una querela non è di per sé sufficiente a dimostrare la veridicità dei fatti in essa contenuti. Inoltre, l’uso di termini come “emissari”, evocativi di contesti illeciti, è stato ritenuto un superamento del limite della continenza espressiva, trasformando la critica in un attacco personale e gratuito.

L’elemento soggettivo nella diffamazione a mezzo email

La Corte ha confermato che per la diffamazione è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di utilizzare parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive. La scelta di termini specifici e giuridicamente connotati (“appropriazione indebita”, “estorsione”) è stata considerata un chiaro indicatore di tale consapevolezza, rendendo irrilevante la presunta “fragilità” della ricorrente o il suo intento di chiedere aiuto.

Inapplicabilità della particolare tenuità del fatto

Infine, la Cassazione ha ricordato il suo consolidato orientamento secondo cui la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non si applica ai reati di competenza del Giudice di Pace, come la diffamazione semplice. Il sistema sanzionatorio e processuale previsto per questi reati è considerato speciale e non compatibile con tale istituto.

Le conclusioni: cosa insegna questa sentenza

La sentenza in esame rafforza alcuni principi fondamentali in materia di reati contro l’onore commessi tramite strumenti telematici. In primo luogo, l’invio di un’email a più destinatari è a tutti gli effetti una forma di comunicazione “con più persone” che può integrare la diffamazione. In secondo luogo, il diritto di critica, per quanto tutelato, non è sconfinato: non può fondarsi su accuse non verificate e deve rispettare il limite della continenza, evitando aggressioni verbali gratuite. Chiunque utilizzi la posta elettronica per muovere accuse deve essere consapevole che la scelta delle parole ha un peso e che la legge tutela la reputazione individuale anche nel mondo digitale.

Inviare un’email con contenuto offensivo a più persone, inclusa la persona offesa, costituisce reato di diffamazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’invio di un’email offensiva a una pluralità di destinatari integra il reato di diffamazione. Non si configura l’ingiuria (depenalizzata) perché manca la contestualità della ricezione del messaggio e la possibilità di un immediato contraddittorio da parte della persona offesa.

Accusare qualcuno di condotte penalmente rilevanti (es. estorsione) in un’email rientra nel diritto di critica?
No, se i fatti non sono provati. Il diritto di critica presuppone la verità del fatto storico da cui prende le mosse. Accusare qualcuno di un reato senza fornire prove concrete e utilizzando un linguaggio che supera i limiti della continenza espressiva (cioè gratuitamente offensivo) non rientra nella scriminante del diritto di critica, ma configura diffamazione.

Perché il reato non è stato considerato di “particolare tenuità del fatto” ai sensi dell’art. 131-bis c.p.?
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non è applicabile ai procedimenti relativi a reati di competenza del Giudice di Pace, come la diffamazione. La giurisprudenza consolidata ritiene che il sistema normativo previsto per tali reati abbia una sua specificità che prevale sulla norma generale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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