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Difetto di querela: annullata la tentata truffa

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per tentata truffa a causa di un difetto di querela. Nel caso specifico, un uomo aveva tentato di farsi prestare del denaro da un dipendente di un hotel. I giudici hanno stabilito che la persona offesa era il dipendente e non l’hotel. Poiché solo l’hotel aveva sporto querela, e non il dipendente, il reato è stato dichiarato improcedibile, evidenziando l’importanza di identificare correttamente la vittima del reato ai fini della sua perseguibilità.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Difetto di querela: la Cassazione annulla condanna per tentata truffa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del diritto processuale penale: l’importanza della corretta individuazione della persona offesa ai fini della procedibilità dell’azione penale. Il caso in esame ha portato all’annullamento di una condanna per tentata truffa proprio a causa di un difetto di querela, dimostrando come un errore in questa fase possa avere conseguenze decisive sull’esito del processo.

I fatti del caso: la tentata truffa in hotel

I fatti risalgono a un episodio avvenuto presso una struttura alberghiera. Un uomo, dopo aver utilizzato una carta di credito non sua per saldare alcune transazioni (creando così un’apparenza di solvibilità), si era rivolto a un dipendente della reception chiedendogli un prestito personale di 200 euro. L’addetto, tuttavia, aveva negato la somma, facendo sì che il reato si configurasse come tentato.

Nei primi due gradi di giudizio, l’uomo era stato condannato per tentata truffa. I giudici di merito avevano considerato l’intera vicenda come un’unica azione fraudolenta, individuando l’hotel come unica parte lesa. Di conseguenza, avevano ritenuto valida e sufficiente la querela presentata dal legale rappresentante della struttura alberghiera.

I motivi del ricorso e l’importanza del difetto di querela

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, ma quello decisivo si è rivelato essere proprio il difetto di querela. L’avvocato ha sostenuto che, una volta unificate le condotte nell’unica ipotesi di tentata truffa per il prestito di 200 euro, la persona offesa non poteva più essere considerata l’hotel, bensì il dipendente a cui era stato chiesto il denaro.

Poiché il dipendente, in qualità di persona fisica, non aveva mai sporto querela, l’azione penale non avrebbe potuto essere avviata. Gli altri motivi di ricorso, tra cui la presunta violazione di norme procedurali e la richiesta di benefici come la sospensione condizionale della pena, sono stati invece respinti dalla Corte.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il motivo relativo al difetto di querela, ribaltando la decisione dei giudici di merito.

La persona offesa: il dipendente, non l’hotel

I giudici di legittimità hanno chiarito che la richiesta di prestito era rivolta direttamente al patrimonio personale del dipendente. L’ipotesi avanzata dai giudici di merito, secondo cui il dipendente avrebbe prelevato il denaro dalla cassa dell’albergo, è stata definita una “mera congettura”, non sufficiente a qualificare la struttura alberghiera come vittima del reato tentato.

La tentata truffa, quindi, ha leso unicamente l’interesse del singolo lavoratore. Essendo la truffa un reato procedibile a querela di parte, e mancando la querela della persona effettivamente offesa (il dipendente), il reato non poteva essere perseguito.

L’esito finale del processo

Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di tentata truffa, dichiarandolo improcedibile per difetto di querela. Ha inoltre eliminato il relativo aumento di pena che era stato calcolato in continuazione con altri reati.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione netta tra la vittima della condotta fraudolenta iniziale (l’uso della carta di credito altrui, che avrebbe potuto danneggiare l’hotel) e la vittima della successiva richiesta di prestito. Nel momento in cui l’azione si è concretizzata nel tentativo di ottenere 200 euro dal dipendente, l’offesa si è spostata sul patrimonio di quest’ultimo. L’affermazione dei giudici di merito, secondo cui il denaro sarebbe stato prelevato dalla cassa dell’hotel, è stata considerata un’illazione non supportata da prove, incapace di modificare la natura giuridica dell’offesa e, di conseguenza, di rendere valida la querela sporta da un soggetto (l’hotel) che non era la vittima diretta del reato tentato.

Le conclusioni

Questa sentenza sottolinea l’importanza cruciale di una corretta qualificazione giuridica dei fatti e dell’individuazione della persona offesa. Un difetto di querela costituisce un vizio insanabile che porta all’improcedibilità dell’azione penale, anche quando la colpevolezza dell’imputato sia stata accertata nei gradi di merito. Per gli operatori del diritto, ciò rappresenta un monito a valutare con estrema attenzione le condizioni di procedibilità, mentre per i cittadini evidenzia come la giustizia penale si basi su regole precise la cui violazione può determinare l’esito di un intero processo.

Chi è considerata la persona offesa in un tentativo di truffa per ottenere un prestito personale?
La persona offesa è colui al cui patrimonio si rivolge direttamente la richiesta fraudolenta. Nel caso di specie, essendo stato chiesto un prestito personale a un dipendente, la vittima è il dipendente stesso e non l’azienda per cui lavora.

Cosa succede se la persona offesa da un reato procedibile a querela non la presenta?
Se la persona offesa non presenta la querela entro i termini di legge, l’azione penale non può essere iniziata o, se già iniziata, deve essere interrotta. Il reato viene dichiarato improcedibile per difetto di querela e l’imputato non può essere condannato per quel fatto.

Può un giudice ignorare una memoria difensiva presentata dall’avvocato?
In linea di principio, il giudice deve valutare tutte le argomentazioni difensive. Tuttavia, come chiarito in questa sentenza, l’omessa valutazione di una memoria è irrilevante se le questioni sollevate in essa sono manifestamente infondate o non pertinenti al caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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