Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10192 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10192 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
NOME NOME, nato a Marsala il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Potenza del 17.3.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla concessione della sospensione condizionale della pena e per la inammissibilità del ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Potenza ha confermato la sentenza con cui, in data 13.5.2020, il Tribunale di Lagonegro aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei fatti di tentata truffa in tal senso unitariamente e complessivamente ritenuti quelli descritti ai capi 1 e 2 della rubrica, esclusa la aggravata di cui all’art. 61 n. 8 cod. pen.; nonché, inoltre, del delitto di cui al capo 3 della rubrica, con la aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen.; considerato il vincolo della continuazione tra tutte le predette violazioni di legge ed applicata la finale riduzione per la scelta del rito, il COGNOME era stato condannato alla pena complessiva e finale di mesi 10 di reclusione ed euro 400 di multa oltre al pagamento delle spese processuali;
ricorre per cassazione il COGNOME tramite il difensore che deduce:
2.1 violazione di legge processuale con riguardo all’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. e vizio di motivazione per omesso esame della memoria difensiva dell’8.3.2023: rileva che la difesa, in data 8.3.2023, aveva trasmesso via PEC una memoria con cui aveva eccepito la sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale ex art. 344-bis cod. pen. che, tuttavia, la Corte, procedendo con rito cartolare, non ha preso in alcuna considerazione omettendo persino di farne menzione, con conseguente nullità della sentenza comunque affetta da vizio di motivazione su una questione che era stata sollevata per la prima volta;
2.2 violazione di legge sostanziale e processuale in ordine all’omesso rilievo del difetto di querela per l’ipotesi di tentata truffa unitariannente considerata e vizio di motivazione sul punto: richiama la ricostruzione dell’episodio che i giudici di merito hanno considerato come unitario e che vedeva quale unica persona offesa il dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE vittima della tentata truffa ascritta al ricorrente denunzia la incongruità della risposta fornita dalla Corte d’appello alla censura già sollevata con il gravame di merito e non correttamente colta dai giudici potentini essendo pacifico che, per la tentata truffa volta all’ottenimento del prestito di 200 euro, persona offesa non era l’RAGIONE_SOCIALE ma il dipendente che, tuttavia, non aveva sporto querela;
2.3 violazione di legge con riguardo agli artt. 163 e 164 cod., pen. e vizio di motivazione: denunzia il travisamento in cui è incorsa la Corte territoriale negando al ricorrente il beneficio della sospensione condizionale della pena perché ne avrebbe già usufruito, circostanza smentita dal certificato penale prodotto in atti, con evidente errore percettivo;
2.4 violazione di legge con riguardo all’art. 131-bis cod. pen. e vizio di motivazione: richiama la motivazione spesa sul punto dalla Corte d’appello segnalandone la erroneità, in diritto, laddove i giudici di secondo grado hanno ritenuto che la continuazione osti al riconoscimento della particolare tenuità del fatto; rileva che un ulteriore errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoria rappresentato dal generico riferimento ai precedenti penali dell’imputato non accompagnati da alcuna valutazione della loro indole e della loro collocazione temporale;
3. la Procura AVV_NOTAIO ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla valutazione della concedibilità della sospensione condizionale della pena; per la inammissibilità del ricorso nel resto: rileva, infatti, la manifesta infondatezza del primo motivo alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte; segnala, peraltro, che la improcedibilità dell’azione penale per superamento della durata del giudizio di impugnazione non è applicabile al caso di specie procedendosi per un reato commesso in data antecedente il primo di gennaio del 2020; rileva che la sentenza è adeguatamente motivata sia sulla affermazione di responsabilità che in ordine alla presenza di una valida querela e al diniego della causa di esclusione della punibilità per tenuità del fatto, mentre ritiene fondato il motivo sulla sospensione condizionale della pena tenuto conto della motivazione e, per contro, delle risultanze dell’esame del certificato penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato quanto al secondo motivo; infondato nel resto.
1. Tale è il primo motivo.
Il ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per l’omessa considerazione, da parte della Corte d’appello, della memoria difensiva prodotta in secondo grado e con cui sarebbe stata dedotta la sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale per lo spirare del termine di cui all’art. 344-bis cod. proc. pen..
Questa Corte ha più volte affermato, con indirizzo largamente maggioritario e condivisibile, che l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (cfr., tra le tante,
01;
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TABLE
Tanto premesso, è evidente che l’omessa considerazione/menzione della memoria difensiva è, nel caso in esame, del tutto irrilevante nell’economia della decisione poiché l’eccezione che sarebbe stata ivi sollevata era assolutamente infondata procedendosi qui per fatti commessi in data antecedente all’1.1.2020 di tal ché la disciplina invocata è, normativamente (cfr., art. 2, comma 2, lett. a, della legge n. 134 del 21 settembre del 2021) inapplicabile nell’ambito di questo giudizio.
2. Il secondo motivo è, invece, fondato.
2.1 NOME COGNOME era stato chiamato a rispondere del delitto di truffa sotto due diversi profili e con due diverse imputazioni: al capo a), perché, “… con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, recatosi presso l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sito in Atena Lucana … con artifici e raggiri consistiti nel simulare di essere titolare della carta di credito … rilasciata invero dalla ING BANK a COGNOME NOME … riferendo falsamente di non avere materialmente con sé la carta indicata e di volere saldare mediante dettatura dei codici identificativi della stessa, induceva in errore gli addetti alla reception … in merito alla titolarità della carta di pagamento così determinando il completamento di due transazioni economiche, conseguendo in tal modo un ingiusto profitto … con egual danno per l’RAGIONE_SOCIALE, che non introitava le somme indicate in quanto il titolare della carta di credito .. provvedeva al disconoscimento delle transazioni ed al blocco della stessa”; al capo b) “… perché, con artifici e raggiri consistiti nel riferire falsamente all’addetto reception … di dovere accompagnare il figlio a Salerno e di dovergli acquistare un biglietto non ben indicato soggiungendo di essere impossibilitato ad effettuare prelievi di denaro contante, richiedendo nel contempo un prestito di euro 200,00, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre in errore l’addetto alla struttura e a conseguire un ingiusto profitto pari alla somma richiesta con pari danno per la struttura ricettiva, evento non verificatosi per effetto del diniego opposto dall’addetto alla reception”.
2.2 Il GUP aveva sostenuto che la condotta descritta al capo 1), fermo restando la responsabilità del ricorrente per reato di cui al capo 3), si risolve “… in chiave di strumento decettivo funzionale ad ingenerare l’affidamento nel proprio interlocutore, dipendente della società che gestiva l’albergo, al fine di ottenere
l’erogazione (a titolo di prestito che non mai stato restituito) dell’importo di euro 200,00″ (cfr., pag. 7 della sentenza di primo grado).
Secondo il GUP, il ricorrente era infatti consapevole che gli estremi che aveva fornito riguardavano una carta di cui non era titolare e per questa ragione, pur avendola utilizzata per due transazioni, non si era fermato in albergo dove aveva anticipatamente pagato camera e pasti sicché quelntilizzo era in realtà funzionale “… ad attestarne la solvibilità, e su quella base a porsi come presupposto per la richiesta di prestito, in ogni caso veicolata attraverso l’indicazione ulteriormente artificiose (…) univocamente dirette e senz’altro idonee a procurarsi il profitto di euro 200 non conseguito per il rifiuto dell’addetto alla reception della struttura” (cfr., ivi).
In definitiva, il primo giudice aveva concluso nel senso che le condotte descritte ai capi 1) e 2) “… siano in realtà da ricondurre ad unità, e unitariamente qualificabili come una – complessiva – tentata truffa” (cfr., ivi) in quanto “… no risulta suscettibile di essere inquadrato nell’ambito del delitto di truffa ai danni della società che gestisce la struttura alberghiera” e “… risulta più ragionevolmente ricostruibile in chiave di strumento decettivo funzionale ad ingenerare l’affidamento nel proprio interlocutore, dipendente della società che gestiva l’albergo, al fine di ottenere l’erogazione (…) dell’importo di euro 200,00” (cfr., i ancora, pag. 7).
L’agente “… non avrebbe avuto alcun interesse a fermarsi presso l’albergo” laddove “… il buon esito delle operazioni di pagamento ccmpiute in maniera abusiva … era funzionale ad attestarne la solvibilità e su quella base a porsi come presupposto per la richiesta del prestito, in ogni caso veicolata attraverso l’indicazione ulteriormente artificiose (…) univocamente dirette e senz’altro idonee a procurarsi il profitto di euro 200,00 non conseguito per il rifiuto dell’addetto alla reception della struttura” (cfr., ivi).
Tanto premesso, il GUP ha sostenuto che la persona offesa del delitto di truffa “unitario” doveva ritenersi pur sempre la struttura alberghiera “… dal momento che l’addetto alla reception, del tutto ragionevolmente, avrebbe tratto il denaro necessario al prestito dalla cassa dell’albergo cui era in quel momento addetto e presso il quale stava svolgendo il proprio servizio” (cirr., ancora, ivi, pag. 7).
Di qui, sempre secondo il GUP, la procedibilità dell’azione penale in quanto la querela era stata ritualmente ed efficacemente sporta dal legale rappresentante della struttura.
2.3 Con l’atto d’appello (cfr., pagg. 2-3), la difesa aveva censurato la soluzione cui, sotto questo profilo, era pervenuto il primo giudice sostenendo che la ipotesi secondo cui l’addetto alla reception, per erogare il prestito richiestogli, avrebbe commesso un furto ai danni della struttura alberghiera di cui era dipendente, fosse del tutto “fantasiosa”.
Aveva rilevato che, proprio dalla ricostruzione operata dal GUP, era agevole desumere che la tentata truffa era stata diretta verso costui in quanto persona fisica che, dal canto suo, non aveva presentato alcuna querela.
2.4 La Corte d’appello ha giudicato infondato il motivo di gravame sostenendo che “… la persona offesa ha regolarmente sporto denuncia dei fatti di cui al capo 1 di imputazione” e “pertanto, in ragione della continuità dei fatti messi in atto dal NOME, si ritiene che sia sufficiente la sola denuncia per i fatti di al capo 1 per la procedibilità dei reati in capo all’imputato” (cfr., pag. 6 della sentenza impugnata).
2.5 E’ evidente, rileva il collegio, che la Corte territoriale non abbia colto il nocciolo della censura difensiva laddove si era sostenuto che, una volta “unificate” le condotte di cui ai capi 1) e 2) nell’unica ipotesi di tentata truffa, si dovev conseguentemente prendere atto che la persona offesa, da identificarsi nell’addetto alla reception e non già nell’albergo, non aveva proceduto a sporgere querela.
La affermazione del primo giudice secondo cui questi avrebbe prelevato il denaro dalla cassa dell’albergo è certamente una mera congettura che non è in grado di qualificare la condotta di tentata truffa come rivolta nei confronti dell’unico soggetto che aveva sporto querela.
Consegue, allora, l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata quanto al delitto di tentata truffa con la relativa eliminazione dell’aumento di pena operato per tale ipotesi di reato nella misura di mesi 2 e giorni 10 di reclusione ed euro 34,00 di multa.
3. Il terzo motivo è infondato.
La Corte d’appello ha sostenuto che “… non può essere concessa all’imputato la sospensione condizionale della pena avendo l’imputato già usufruito per due volte come previsto espressamente dagli artt. 163 e 164 cod. pen.” (cfr., pag. 6 della sentenza impugnata).
Dall’esame del certificato penale (peraltro non allegato al ricorso) risulta, infatti, che il ricorrente aveva subito già due condanne, una celle quali alla pena
di anni 2 e mesi 8 di reclusione e £. 1.000.000 di multa; la seconda alla pena di mesi 1 di reclusione e E. 100.000 di multa.
La concessione dell’invocato beneficio era perciò preclusa ai sensi dell’art. 164, comma secondo, cod. pen., a nulla rilevando che per la prima condanna era stato applicato l’indulto (cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 13990 del 05/03/2020, COGNOME, Rv. 278941 – 01; Sez. 4, n. 31614 del 29/03/2018, COGNOME, Rv. 273080 – 01).
4. Il quarto motivo è infondato e, in realtà, formulato in termini non consentiti in sede di legittimità finendo per risolversi in un mero dissenso rispetto alla decisione assunta dai giudici di merito che, dal canto loro, ne hanno congruamente ed esaustivamente dato conto, evidenziando sia la gravità oggettiva delle condotte tenute dal ricorrente che, per altro verso, l’entità del pregiudizio patrimoniale e del correlativo profitto ingiusto avuto di mira; ed è appena il caso di ribadire che, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (cfr., tra le altre, Sez. 6 – , n. 55107 del 08/11/2018, Milon Rv. 274647 – 01);
P.Q.M.
–NOME
annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di tentata truffa perché è improcedibile per difetto di querela, ed elimina il relativo aumento di pena in continuazione nella misura di mesi uno e giorni dieci di reclusione ed euro 34,00 di multa.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 13.2.2024