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Difensore d’ufficio: nessuna nullità per mancata notifica

La Corte di Cassazione ha confermato una condanna per spendita di denaro falso, rigettando il ricorso di un imputato. L’imputato sosteneva la nullità del processo perché, dopo la morte del suo legale di fiducia, non gli era stata comunicata la nomina del nuovo difensore d’ufficio. La Corte ha stabilito che tale omissione non costituisce causa di nullità, in ossequio al principio di tassatività. Inoltre, ha confermato la corretta valutazione della consapevolezza della falsità delle banconote al momento della ricezione, distinguendola dall’ipotesi meno grave della spendita di denaro ricevuto in buona fede.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Nomina del difensore d’ufficio: la mancata comunicazione non invalida il processo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un’importante questione procedurale: cosa accade se, a seguito del decesso del legale di fiducia, l’imputato non viene informato della nomina del nuovo difensore d’ufficio? La Suprema Corte, con la sentenza n. 22545/2024, ha stabilito che tale omissione non comporta la nullità del procedimento, fornendo chiarimenti cruciali sul principio di tassatività delle nullità e sul diritto di difesa. Il caso riguardava anche la spendita di banconote false, offrendo spunti sulla distinzione tra le diverse fattispecie di reato.

I Fatti di Causa

L’imputato era stato condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 455 c.p., ovvero per aver speso, in concorso con un’altra persona, diverse banconote false da 100 euro presso un ristorante situato in un aeroporto. Durante il processo di primo grado, il suo avvocato di fiducia era deceduto. Il Tribunale aveva quindi provveduto a nominare un difensore d’ufficio per garantire la continuità della difesa tecnica, ma, secondo la tesi difensiva, non aveva comunicato tale nomina all’imputato. Quest’ultimo ha quindi proposto ricorso in Cassazione lamentando, tra le altre cose, la violazione del suo diritto di difesa e chiedendo l’annullamento della sentenza.

La questione del difensore d’ufficio e il principio di tassatività

Il motivo principale del ricorso si fondava sulla presunta nullità derivante dalla mancata comunicazione della nomina del difensore d’ufficio. L’imputato sosteneva che questa omissione gli avesse impedito di partecipare attivamente al giudizio, non avendo avuto notizia della morte del suo precedente legale.

La Cassazione ha respinto questa doglianza, richiamando un orientamento consolidato. I giudici hanno chiarito che le nullità processuali sono soggette al principio di tassatività (art. 177 c.p.p.), il che significa che possono essere dichiarate solo nei casi espressamente previsti dalla legge. La norma che prevede la comunicazione del nominativo del difensore d’ufficio (art. 28 disp. att. c.p.p.) non è assistita da alcuna sanzione di nullità in caso di sua omissione. Pertanto, la mancata comunicazione non invalida l’atto per cui il difensore è stato nominato né il processo stesso.

L’elemento soggettivo nel reato di spendita di monete false

Un secondo motivo di ricorso riguardava la qualificazione giuridica del fatto. La difesa chiedeva la derubricazione del reato nella fattispecie meno grave prevista dall’art. 457 c.p. (spendita di monete, ricevute in buona fede, falsificate). La differenza fondamentale tra questo reato e quello contestato (art. 455 c.p.) risiede nell’elemento soggettivo:

Art. 455 c.p.: Richiede che l’agente sia consapevole della falsità della moneta al momento in cui la riceve.
Art. 457 c.p.: Si applica quando l’agente riceve la moneta in buona fede e solo successivamente si accorge della sua falsità prima di tentare di spenderla.

La Corte ha ritenuto infondata anche questa censura, giudicando logica e corretta la motivazione della Corte d’Appello. I giudici di merito avevano desunto la consapevolezza originaria della falsità da una serie di elementi indiziari, tra cui la pluralità di banconote false spese, le modalità anomale della condotta e l’assenza di una spiegazione credibile da parte dell’imputato sulla provenienza del denaro.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in toto, basando la sua decisione su tre pilastri argomentativi.

1. Sulla questione procedurale: Ha ribadito che, in base a un orientamento giurisprudenziale consolidato, la mancata comunicazione del nome del difensore d’ufficio non è causa di nullità. Il diritto di difesa è garantito dalla nomina stessa, non dalla sua successiva comunicazione, che non è prescritta a pena di nullità. La Corte ha inoltre specificato che l’obbligo di comunicazione non si applica quando la nomina avviene direttamente in udienza.
2. Sulla responsabilità penale: Ha confermato che la valutazione dei giudici di merito sull’elemento soggettivo era immune da vizi logici. La consapevolezza della falsità del denaro sin dal momento della ricezione è stata correttamente inferita ex post da elementi fattuali concreti, come il numero di banconote e le circostanze della loro spendita.
3. Sulle attenuanti generiche: Ha dichiarato inammissibile il motivo relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. La richiesta era stata formulata in modo generico, senza indicare elementi positivi specifici. Di conseguenza, la motivazione del giudice di merito, che negava il beneficio per l’assenza di tali elementi dagli atti, è stata ritenuta adeguata e sufficiente.

Conclusioni

La sentenza consolida principi fondamentali sia in materia di procedura penale che di diritto penale sostanziale. In primo luogo, rafforza il principio di tassatività delle nullità, chiarendo che non ogni irregolarità procedurale è idonea a invalidare un processo, ma solo quelle per cui la legge prevede espressamente tale sanzione. Il diritto di difesa è tutelato dalla presenza effettiva di un legale, anche se d’ufficio, e non da formalità non essenziali come la comunicazione del suo nome. In secondo luogo, la decisione ribadisce come la prova dell’elemento psicologico nei reati di falso nummario possa essere legittimamente desunta da elementi indiziari precisi e concordanti, valorizzando il ragionamento logico-inferenziale del giudice di merito.

La mancata comunicazione all’imputato del nominativo del difensore d’ufficio causa la nullità del processo?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che tale omissione non comporta la nullità degli atti, poiché la legge non prevede espressamente questa sanzione, in ossequio al principio di tassatività delle nullità processuali.

Come si distingue il reato di spendita di monete false (art. 455 c.p.) da quello di chi le spende dopo averle ricevute in buona fede (art. 457 c.p.)?
La differenza risiede nel momento in cui si acquisisce la consapevolezza della falsità. Nell’ipotesi più grave (art. 455 c.p.), l’agente è consapevole della falsità già al momento della ricezione del denaro. Nel caso meno grave (art. 457 c.p.), l’agente riceve il denaro in buona fede e si accorge della falsità solo in un momento successivo, prima di spenderlo.

È sufficiente per il giudice negare le attenuanti generiche motivando con la semplice assenza di elementi positivi?
Sì, la Corte ha confermato che, a fronte di una richiesta generica non supportata da elementi specifici, il giudice può legittimamente negare le attenuanti motivando con la sola constatazione dell’assenza, dagli atti processuali, di elementi positivamente valutabili a favore dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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