Dichiarazioni Spontanee: la Cassazione ne Conferma la Piena Validità
Le prime fasi di un’indagine penale sono cruciali e le parole dette possono avere un peso determinante. Una questione spesso dibattuta riguarda il valore probatorio delle dichiarazioni spontanee rese da un indagato alla polizia giudiziaria, specialmente quando avvengono senza la presenza di un avvocato. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna sull’argomento, fornendo chiarimenti essenziali sulla loro utilizzabilità e sui limiti del sindacato di legittimità in materia di sanzioni.
Il Caso in Esame: Furto e Ricorso in Cassazione
Il caso trae origine da una condanna per furto in abitazione, confermata sia in primo grado che in appello. L’imputato decideva di ricorrere per Cassazione, affidando la sua difesa a due motivi principali:
1. La presunta inutilizzabilità delle dichiarazioni confessorie da lui rese alla polizia giudiziaria, in quanto avvenute in assenza del difensore e dei relativi avvisi di legge.
2. Una critica al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo e non adeguatamente motivato dal giudice di merito.
L’imputato sosteneva, in sostanza, che la sua confessione non potesse essere utilizzata per fondare la condanna e che, in ogni caso, la pena inflitta fosse sproporzionata.
L’Utilizzabilità delle Dichiarazioni Spontanee
La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo di ricorso, definendolo manifestamente infondato. Il punto centrale della decisione risiede nella natura delle ammissioni fatte dall’imputato. Come evidenziato dalla Corte di merito, l’imputato aveva ammesso la propria responsabilità spontaneamente.
Richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale (in particolare la sentenza n. 15197/2020), la Corte ha ribadito un principio fondamentale: le dichiarazioni spontanee che la persona sottoposta a indagini rende alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350, comma 7, del codice di procedura penale, sono pienamente utilizzabili.
La condizione essenziale per la loro validità è che emerga con chiarezza che l’indagato abbia scelto di renderle liberamente, ovvero “senza alcuna coercizione o sollecitazione”. In questi casi, l’assenza del difensore o degli avvisi previsti dall’art. 64 c.p.p. non ne inficia l’utilizzabilità, proprio perché non si tratta di un interrogatorio formale ma di un contributo volontario e non richiesto.
La Discrezionalità del Giudice nella Determinazione della Pena
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla quantificazione della pena, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ricordato che la graduazione della sanzione, inclusa la valutazione delle circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito.
Questo potere deve essere esercitato nel rispetto dei principi sanciti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono al giudice di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo. La Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma può intervenire solo in caso di vizi logici evidenti o di violazione di legge nella motivazione, circostanze non riscontrate nel caso di specie.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si fondano su una netta distinzione tra atti di indagine sollecitati e contributi volontari. Quando è l’indagato a prendere l’iniziativa, senza essere interrogato, le garanzie difensive previste per l’interrogatorio non si applicano con lo stesso rigore. La legge tutela la libertà di autodeterminazione dell’individuo, che include anche la possibilità di confessare spontaneamente. L’elemento chiave è l’assenza di qualsiasi forma di pressione o induzione da parte degli inquirenti. Per quanto riguarda la pena, la motivazione risiede nel principio della separazione delle funzioni tra i gradi di giudizio: al giudice di merito spetta la valutazione dei fatti e la commisurazione della pena, mentre alla Corte di Cassazione spetta il controllo sulla corretta applicazione della legge.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche dell’Ordinanza
Questa pronuncia consolida un importante principio del nostro sistema processuale. Da un lato, essa conferma che le confessioni spontanee, se genuine, costituiscono una prova pienamente legittima, accelerando potenzialmente l’accertamento della verità. Dall’altro, sottolinea l’importanza per gli operatori di polizia di documentare accuratamente le circostanze in cui tali dichiarazioni vengono raccolte, per dimostrarne la spontaneità. Per la difesa, invece, emerge la necessità di concentrare eventuali contestazioni non sull’assenza del difensore in sé, ma sulla prova di eventuali sollecitazioni o coercizioni che avrebbero minato la libertà della dichiarazione. Infine, viene ribadito che le censure sulla misura della pena hanno scarse possibilità di successo in Cassazione, a meno che non si riesca a dimostrare un’errata applicazione della legge o una motivazione palesemente illogica.
Le dichiarazioni che un indagato fa spontaneamente alla polizia sono utilizzabili in un processo?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che sono utilizzabili a condizione che emerga chiaramente che siano state rese liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione da parte della polizia giudiziaria.
Perché le dichiarazioni spontanee sono valide anche senza la presenza di un avvocato?
Perché non si configurano come un interrogatorio formale, ma come un’iniziativa volontaria dell’indagato. La legge tutela la libertà dell’individuo di auto-determinarsi, e questo include la scelta di rendere dichiarazioni di propria iniziativa. Le garanzie difensive più stringenti sono previste per gli atti di indagine sollecitati dagli inquirenti.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice?
Generalmente no. La determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito (primo e secondo grado). Il ricorso in Cassazione su questo punto è ammesso solo se si dimostra che il giudice ha violato la legge o ha fornito una motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, non semplicemente se si ritiene la pena troppo severa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29890 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29890 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
TROVATO NOME nato a CATANIA il 09/08/1995
avverso la sentenza del 10/09/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Letta la memoria del difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo nel ricorso;
RITENUTO IN FATI -0 E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania, che ha confermato la sentenza del giudice di prime cure, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di furto in abitazione;
Considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta violazione delle norme processuali e vizi di motivazione in ordine all’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dallo stesso dinanzi alla polizia giudiziaria, è manifestamente infondato, atteso che lo stesso l’imputato – come anche precisato dalla Corte di merito a pag. 3 della sentenza impugnata – spontaneamente ammetteva la propria responsabilità. D’altronde, secondo la giurisprudenza, «sono utilizzabili nella fase procedinnentale e, dunque, nell’incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta (quale, nella specie, il rito abbreviato), le dichiarazioni spontanee che la persona sottoposta alle indagini abbia reso – in assenza di difensore ed in difetto degli avvisi di cui all’art. 64 cod. proc. pen. – alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., purché emerga con chiarezza che la medesima abbia scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione» (Sez. 1, Sentenza n. 15197 del 08/11/2019 Ud. (dep. 15/05/2020) Rv. 279125 – 01);
Rilevato che il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, non è consentito in sede di legittimità, perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che nella specie l’onere argomentativo del giudice è
adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 3 della sentenza
impugnata, in cui la Corte ha ritenuto condivisibile il calcolo di pena operato dal giudice di prime cure);
Ritenuto che la memoria del difensore in quanto depositata il
26/06/2024, in violazione del rispetto dei termini previsti dall’art. 611
, cod. proc. pen. nel giudizio camerale di legittimità, è tardiva e, pertanto, non può essere prese in considerazione (Sez. 4, Sentenza n.
49392 del 23/10/2018, Rv. 274040 – 01);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 2 luglio 2025
Il Consi liere estensor
Il Presidente