Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21826 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21826 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
QUINTA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CATANIA il 03/08/1983 COGNOME NOME nato a CATANIA il 16/11/1971 avverso la sentenza del 09/10/2024 della Corte d’appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; letta la memoria del difensore dei ricorrenti, avv. NOME COGNOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi;
letta la memoria del difensore dei ricorrenti, avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania ha confermato la pronuncia di condanna di primo grado dei ricorrenti per il delitto di furto pluriaggravato in abitazione.
Avverso la richiamata decisione gli imputati, a mezzo di distinti ricorsi di identico tenore sottoscritti dal medesimo difensore di fiducia avv. NOME COGNOME COGNOME hanno articolato due motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi entro i limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo assumono contraddittorietà della motivazione con riguardo all’irrilevanza per la decisione della disposizione espressa dall’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., della quale avevano lamentato l’illegittimità costituzionale con l’atto di appello.
Premettono, a riguardo, che avevano evidenziato in sede di gravame che la suddetta norma laddove, per come intesa nel diritto vivente, consente, nel rito abbreviato, di acquisire le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato in assenza del difensore anche ove esse, come nell’ipotesi considerata, rispetto alle propalazioni del Consoli, siano ‘autoincriminanti’, viola il diritto di difesa di cui agli artt. 24 e 111 Cost. e pone una disciplina irragionevolmente differenziata rispetto
a quella dettata dall’art. 63 cod. proc. pen.
SennonchØ la sentenza impugnata era poi incorsa nella manifesta contraddittorietà di utilizzare le propalazioni del Consoli, nella parte in cui quali egli aveva riferito che alcuni strumenti (cacciaviti, viti e chiavi inglesi) rinvenuti accanto alla vettura erano suoi, per desumere che la circostanza che tali oggetti erano stati lasciati lì denotava una fuga precipitosa, dovuta a un fattore esterno, ovvero all’intervento della polizia, il che impediva di ritenere integrata una desistenza volontaria dall’azione criminosa.
2.2. Con il secondo motivo gli imputati lamentano erronea applicazione dell’art. 56, terzo comma, cod. pen. in quanto la Corte territoriale non avrebbe ritenuto configurabile la desistenza volontaria sull’assunto che si sarebbe trattato di un tentativo c.d. compiuto, atteso che, nel momento in cui si erano allontanati, era stato già parzialmente smontato il paraurti della vettura per rimuovere il fanale oggetto del tentativo di furto. Inoltre, il fatto che avevano lasciato sul posto gli strumenti all’uopo utilizzati era stato considerato sintomatico dell’intervento determinante di fattori esterni che avevano impedito di portare a compimento l’azione criminosa.
Ciò premesso, a fondamento della censura, i ricorrenti assumono, per un verso, che la circostanza che il paraurti della vettura era stato parzialmente smontato non costituirebbe espressione di un tentativo c.d. compiuto e, per un altro, che non si erano dati alla fuga per l’intervento della polizia poichØ avrebbero avuto a disposizione, prima di tale momento, ben due ore di tempo per portare a compimento l’azione furtiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I ricorsi, le cui doglianze sono suscettibili di valutazione unitaria, non sono fondati.
2.Sotto un primo aspetto, la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., laddove consente, nell’ambito del rito abbreviato, di acquisire le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato in assenza del difensore, anche ove si tratti di dichiarazioni ‘autoincriminanti’, per irragionevole disparità di trattamento rispetto alla differente disciplina dettata dall’art. 63 cod. proc. pen., Ł stata correttamente ritenuta irrilevante dalla decisione impugnata.
Invero, a differenza di quanto assunto nei ricorsi degli imputati, la ragione decisiva per la quale non Ł stato ritenuta configurabile la desistenza Ł che l’azione criminosa, quando si Ł interrotta, era già giunta allo stadio del c.d. tentativo compiuto, avendo i ricorrenti parzialmente smontato il paraurti dell’autovettura.
NØ una contraddittorietà in parte qua della pronuncia impugnata può ravvisarsi nella parte in cui la stessa ha affermato la concorrente responsabilità del Consoli poichØ ciò, ancora una volta, non Ł avvenuto in virtø delle dichiarazioni ‘auto-indizianti’ del medesimo, bensì per il fatto decisivo che egli Ł stato visto darsi alla fuga unitamente all’Intravaia dalle forze dell’ordine attraverso un’uscita secondaria del condominio dove era parcheggiata la vettura.
Ad ogni modo, le dedotte questioni di legittimità costituzionale sono manifestamente infondate.
3.1. Su un piano generale, va ricordato che Ł consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio in forza del quale sono utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell’incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta, le dichiarazioni spontanee che l’indagato abbia reso – in assenza di difensore ed in difetto degli avvisi di cui agli artt. 63, comma 1 e 64 cod. proc. pen. –
alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., anche se non nell’immediatezza dei fatti, purchØ emerga con chiarezza che egli abbia scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione (tra le altre, Sez. 2, n. 22962 del 31/05/2022, COGNOME, Rv. 283409; Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018, COGNOME, Rv. 273642; Sez. 4, n. 6962 del 14/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254396).
Al riguardo, con specifico riguardo al rito abbreviato, si Ł osservato che ha, nell’ambito dei procedimenti speciali, natura e carattere del tutto peculiari, poichØ va svolto “allo stato degli atti”, atteso che l’imputato, nell’accettare questo procedimento speciale, da un lato rinuncia ad avvalersi delle regole ordinarie e dall’altro ottiene un trattamento premiale attraverso l’applicazione della diminuente. Proprio da ciò consegue la legittima utilizzazione da parte del pubblico ministero di tutti gli altri confluiti nel proprio fascicolo, comprese le dichiarazioni, rese dall’indagato in assenza del suo difensore, purchØ acquisite “sul luogo o nell’immediatezza del fatto”, così come stabilito dal comma 5 dell’art. 350 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 697 del 08/01/1997, Zotka, Rv. 206791).
In sostanza, come hanno chiarito in seguito le stesse Sezioni Unite nella pronuncia ‘COGNOME‘, il giudizio abbreviato costituisce un procedimento a prova contratta, alla cui base Ł identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del dibattimento. Tale negozio processuale di tipo abdicativo può in particolare avere ad oggetto i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, con la conseguenza che in esso, per quel che interessa in questa sede, non rilevano ne’ l’inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioŁ quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtø dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte “secundum legem”, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l’art. 526 cod. proc. pen., con i correlati divieti di lettura di cui all’art. 514 stesso codice (in quanto in tal caso il vizio-sanzione dell’atto probatorio Ł neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), nØ le ipotesi di inutilizzabilità “relativa” stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216246).
3.2. Alla luce di quanto premesso, Ł, innanzi tutto, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., nella parte in cui consente di tener conto ai fini della decisione nell’ambito del rito abbreviato delle dichiarazioni spontanee rese dalla parte nell’immediatezza dei fatti senza l’assistenza del difensore, rispetto al parametro, implicitamente evocato, attraverso il richiamo al tertium comparationis, costituito dalla differente disciplina prevista per il dibattimento, dall’art. 3 Cost., venendo in rilievo situazioni non equiparabili.
Infatti, nel giudizio abbreviato Ł lo stesso imputato, optando per il rito speciale, al fine di poter beneficiare di una riduzione del trattamento sanzionatorio, ad ‘accettare’ che vengano utilizzati per la decisione tutti gli atti, comprese le proprie eventuali dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti in assenza dell’avvocato, contenuti nel fascicolo del pubblico ministero. Si tratta, di una situazione che non può essere equiparata in alcun modo a quella dell’imputato che decide di essere giudicato nelle forme del rito ordinario, e dunque insuscettibile di determinare in parte qua una irragionevole disparità di trattamento ex art. 3 Cost. (di recente, per l’impossibilità di comparare il giudizio abbreviato con il rito speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti, v. Corte Cost., sent. n. 83 del 2024).
Del resto, il riferimento alla inutilizzabilità limitata alla sola fase dibattimentale Ł assolutamente chiaro ed esplicito nell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen. e costituisce disciplina speciale rispetto a
quella delle inutilizzabilità generali prevista dall’art. 63 cod. proc. pen., poichØ altrimenti verrebbe meno anche la sua ragion d’essere.
3.3. E’ manifestamente infondata anche la questione espressamente sollevata con riferimento ai parametri di cui agli artt. 24 e 111 Cost., e, in particolare, al diritto di difesa quale connotato del giusto processo.
Invero, come si Ł già evidenziato, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, le dichiarazioni rese dall’indagato senza l’assistenza del difensore utilizzabili nel rito abbreviato ai fini della decisione sono esclusivamente quelle spontanee, ossia quelle che emerga con chiarezza l’indagato ha scelto di rendere liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione (ex ceteris, Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018, COGNOME, Rv. 273642), circostanza, questa, che spetta al giudice accertare, anche d’ufficio, sulla base di tutti gli elementi disponibili, l’effettiva natura spontanea, dandone atto con motivazione congrua ed adeguata (tra le altre, Sez. 3, n. 20466 del 03/04/2019, S., Rv. 275752; Sez. 3 n. 2627 del 19/11/2013, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 258368).
Il requisito della spontaneità costituisce il presupposto necessario della disposizione citata, rendendo legittima l’utilizzazione delle dichiarazioni nel rito abbreviato. Diversa Ł la soluzione prevista, infatti, dall’art. 350, commi 5 e 6, cod. proc. pen., ossia in ipotesi di dichiarazioni c.d. “sollecitate” dalla polizia giudiziaria, sul luogo e nell’immediatezza del fatto, nei confronti della persona indagata, le quali sono affette da inutilizzabilità assoluta, anche pro-reo (Sez. 3, n. 9354 del 08/01/2020, C., Rv. 278639, in motivazione).
Pertanto, nel suo complesso l’art. 350 cod. proc. pen. effettua un adeguato bilanciamento, nel consentire l’utilizzo delle sole dichiarazioni spontanee e non anche di quelle sollecitate nel rito abbreviato, delle esigenze difensive del soggetto che le ha rese rispetto alla scelta di questo per il rito a prova contratta che, come si Ł già osservato, consente allo stesso di beneficiare di una riduzione di pena a cui si accompagna, tuttavia, la possibilità di tener conto per la decisione degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero.
4. Anche il secondo motivo dei ricorsi non Ł fondato.
Giova ricordare che, in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, nei reati di danno a forma libera la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non Ł configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento, rispetto ai quali può, al piø, operare la diminuente per il c.d. recesso attivo, qualora il soggetto tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento (Sez. 2, n. 24551 del 08/05/2015, COGNOME e altro, Rv. 264226; Sez. 1, n. 11746 del 28/02/2012, Price, Rv. 252259). In particolare, la desistenza volontaria dall’azione presuppone un tentativo incompiuto, nel senso che deve intervenire quando l’attività esecutiva non Ł ancora esaurita,altrimenti può configurarsi solo l’ipotesi del recesso attivo, mediante impedimento dell’evento (Sez. 1, n. 6141 del 10/12/1979, dep. 1980, Rv. 145301).
Di conseguenza Ł configurabile il tentativo e non la desistenza volontaria nel caso in cui la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell’evento non per volontaria iniziativa dell’agente ma per fattori esterni che impediscano la prosecuzione dell’azione o la rendano vana (ex aliis, Sez. 2, n. 51514 del 05/12/2013, Rv. 258076; Sez. 5, n. 36919 del 11/07/2008, Rv. 241595).
Nella fattispecie concreta, dunque, diversamente da quanto assunto con i ricorsi, non era rilevante l’intervento delle forze di polizia nel decorso causale, quale fattore esterno suscettibile di escludere la desistenza, al fine di affermare la volontarietà o meno della condotta di allontanamento dei ricorrenti dal domicilio altrui, posto che i giudici di merito hanno entrambi ritenuto e logicamente spiegato come l’avere gli imputati parzialmente smontato il paraurti costituisse di per sØ furto tentato punibile.
Situazione che, peraltro, gli operanti hanno desunto dallo stato dei luoghi e dall’aver visto allontanarsi dagli stessi gli imputati insieme per darsi alla fuga e non, come si Ł già evidenziato, dalle dichiarazioni rese dal Consoli, che riguardavano i soli strumenti a tal fine utilizzati.
I ricorsi devono dunque essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07/05/2025.
Il Presidente NOME COGNOME