Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23532 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23532 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ANTONIMINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/05/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; preso atto che il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO, ha concluso rassegnando requisitoria scritta, ai sensi dell’art. 23 dl. n. 137
del 2020, e chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
preso atto che il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha depositato memoria concludendo per l’accoglimento dell’impugnazione;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, emessa il 18 maggio 2023, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato integralmente la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Locri che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 23, comma 3, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (capo A), e 697 cod. pen. (capo B), per aver detenuto, all’interno di un fabbricato in suo possesso e segnatamente all’interno di un deposito di attrezzi, un fucile monocanna artigianale cal. 9 mm Flobert, con meccanismo da sparo modificato e privo di contrassegno matricolare, arma clandestina, e tre cartucce cal. 10 Flobert, senza averne fatto denuncia all’Autorità di Pubblica Sicurezza, fatti accertati in Ciminà, il 13 giugno 2020.
Il Tribunale – accertata la responsabilità di COGNOME, ritenuti i reati avvinti in continuazione e valutate, in relazione ai criteri espressi dall’art. 133 cod. pen., le mediocri condizioni di conservazione dell’arma (che pure era stata rinvenuta con il colpo in canna) e l’incensuratezza dell’imputato – lo aveva condannato, computata la diminuente per il rito, alla pena di mesi otto di reclusione e di euro 800,00 di multa, con i benefici della sospensione condizionale della predetta pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e con la confisca e la distruzione dell’arma e delle munizioni in sequestro.
Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME chiedendone l’annullamento e prospettando due motivi, unitariamente trattati.
2.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e l’erronea applicazione della legge penale nonché l’inosservanza degli artt. 350, 191, 192, 530 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Anzitutto, la difesa sostiene che i giudici di merito non avrebbero potuto utilizzare il verbale di sommarie informazioni testimoniali reso da COGNOME in data 29 dicembre 2020, risultando questi indagato già in quel momento, con conseguente violazione dell’art. 350 cod. proc. pen.: infatti, quando avevano eseguito il controllo, gli operanti si erano già presentati con l’avviso di garanzia a lui destinato, sicché COGNOME, essendo indagato, avrebbe dovuto essere messo in condizione di difendersi.
Inoltre, si evidenzia che non risulta affatto provata la consapevolezza dell’imputato della presenza in quel casolare-magazzino dell’arma e delle lì
munizioni oggetto dell’imputazione, considerato che: il ricorrente possedeva autorizzazione amministrativa per l’esercizio della caccia e deteneva regolarmente armi e munizioni, anche della stessa natura di quelle rinvenute, dovendo escludersi, dunque, la necessità da parte sua di un ulteriore fucile per coltivare l’hobby della caccia e l’eventualità che egli nutrisse intenzioni illecite; la situazione dei luoghi ove l’arma e le munizioni erano state reperite (una zona campestre incolta, distante diversi chilometri rispetto alla residenza dell’imputato, poco frequentata e con un cancello tenuto da un filo di ferro attorcigliato, praticamente accessibile a chiunque) era tale che qualsiasi persona avrebbe potuto accedere alla proprietà, anche al fine di nascondervi un’arma clandestina; inoltre, non erano state rinvenute tracce papillari, utili per una comparazione al fine di addivenire alla certa riferibilità di quell’arma e di quelle munizioni all’imputato.
Di conseguenza, secondo la difesa, le indicate circostanze impedivano di escludere la possibilità che l’arma e le munizioni fossero state collocate sul luogo da parte di terzi (in particolare, da qualche latitante presente in zona), senza alcuna connessione diretta con l’imputato, non potendo considerarsi sussistente la prova della responsabilità di COGNOME oltre ogni ragionevole dubbio.
3.. Il difensore del ricorrente ha depositato motivi aggiunti, con i quali ha richiamato e ampliato la doglianza già espressa in punto di inutilizzabilità delle sommarie informazioni rese da COGNOME il 29 dicembre 2020 senza le garanzie difensive, evidenziando che nella situazione data l’indagato non poteva, né doveva essere sottoposto all’esame, mancando il difensore ed essendo stati omessi gli avvertimenti delle garanzie assicurate dall’ordinamento processuale al medesimo.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, rassegnata ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre del 2020, n. 176, come richiamato dall’art. 16 d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15, nonché, ulteriormente, dall’art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, poi modificato dal d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, prospettando la manifesta infondatezza di entrambi i motivi, considerato che i giudici di merito sono giunti alla condanna utilizzando elementi di prova ammissibili e percorrendo un iter motivazionale lineare, logico e non contraddittorio nell’accertamento, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, dei reati ascritti all’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso si profila, con riferimento alle due doglianze che lo sostengono, manifestamente privo di fondamento e deve essere dichiarato, pertanto, inammissibile.
Delibando la prima censura, per quanto attiene alla contestata inosservanza delle suindicate norme processuali, è da riaffermare, in premessa, il concetto secondo cui le dichiarazioni contra se, se assunte in assenza delle garanzie normativamente previste in favore di chi doveva essere sentito sin da quel momento come indagato, sono travolte da inutilizzabilità assoluta, anche in sede di giudizio abbreviato, in ossequio al fondamentale principio di civiltà giuridica espresso nel brocardo nemo tenetur se detegere.
Il giudizio abbreviato, infatti, costituisce un procedimento a prova contratta, alla cui base è identificabile un patto negoziale sul rito, in virtù del quale le part (in ipotesi di giudizio abbreviato non condizionato) accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti, rinunciando a chiedere ulteriori mezzi di prova e, così, consentendo ad attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del dibattimento.
Tuttavia, tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, restando esso privo di incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio.
Ne consegue che in esso, mentre non rilevano né l’inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioè quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l’art. 526 cod. proc. pen., con i correlati divieti di lettura di cui all’a 514 dello stesso codice (in quanto, in tal caso, il vizio-sanzione dell’atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo, appunto, abdicativo), né le ipotesi di inutilizzabilità relativa, stabilite dalla legge in esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell’inutilizzabilità definita patologica, ossia quella inerente agli atti probatori assunti contra legem, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto, non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito
i/
(Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216246 – 01; fra le successive, Sez. 1, n. 20834 del 01/03/2023, 0., Rv. 284539 – 01; Sez. 2, n. 34512 del 29/04/2009, COGNOME, Rv. 245226 – 01).
I giudici di merito si sono attenuti a tali principi, ravvisando espressamente l’inutilizzabilità insanabile delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME ai Carabinieri di Antonimina in data 29 dicembre 2020, proprio perché assunte senza le necessarie garanzie, previste dagli artt. 64 e 350 cod. proc. pen.
Ciò posto, va tuttavia aggiunto che l’affermazione della penale responsabilità di NOME COGNOME non si è fondata su quelle dichiarazioni, inutilizzabili, ma si è basata sulla solida analisi degli altri elementi, quali, in particolare, l circostanze oggettive riscontrate nel corso della perquisizione e le dichiarazioni rese dall’imputato in quel frangente: elementi da ritenersi pienamente utilizzabili, a nulla ostando la circostanza che il soggetto fosse già indagato in quel momento.
Già il primo giudice aveva valorizzato questi elementi, del tutto diversi dalle dichiarazioni del 29 dicembre 2020. Invero, COGNOME era risultato nel pieno possesso della consistenza immobiliare in cui erano stati rinvenuti l’arma e i proiettili, siccome lo aveva acquistato dalla cugina NOME COGNOME, residente in Australia, sebbene dovesse ancora formalizzarsi l’atto di trasferimento. Egli, nelle more, possedeva comunque la consistenza stessa in via esclusiva, essendo già procuratore speciale della formale intestataria.
Sull’utilizzabilità delle dichiarazioni rese spontaneamente da COGNOME agli operanti non possono nutrirsi dubbi.
Come l’elaborazione di legittimità non ha mancato di chiarire, nel giudizio abbreviato, sono utilizzabili le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, senza assistenza difensiva, dalla persona sottoposta alle indagini sul luogo . e nell’immediatezza del fatto durante l’esecuzione di una perquisizione domiciliare (Sez. 2, n. 47580 del 23/09/2016, COGNOME, Rv. 268509 – 01; Sez. 4, n. 6962 del 14/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254396 – 01); invero, le spontanee dichiarazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen. rappresentano una rilevante eccezione alla regola dell’inutilizzabilità, essendone consentito l’utilizzo nella sola fase procedimentale – e dunque nell’incidente cautelare e nei riti a prova contratta, incluso l’abbreviato – purché emerga con chiarezza che l’indagato ha scelto di renderle liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione (Sez. 1, n. 15197 del 08/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279125 – 01; Sez. 3, n. 20466 del 03/04/2019, S., Rv. 275752 – 01).
Nel caso di specie, dalle dichiarazioni di COGNOME rilasciate spontaneamente nel corso della perquisizione domiciliare era già emerso il suo esclusivo ed
effettivo possesso, da circa due anni, del fondo, per averlo acquistato dalla suddetta congiunta, residente all’estero. Era risultata, altresì, la sua piena consapevolezza, fin dall’inizio, della presenza del fucile monocanna e delle munizioni all’interno del casolare-magazzino.
I giudici di merito, movendo dall’analisi delle complessive circostanze di fatto, attraverso lo sviluppo di un corpo motivazionale coerente e non contraddittorio, hanno ancorato l’accertamento di responsabilità dell’imputato soltanto agli elementi pienamente utilizzabili, certamente sufficienti e idonei a fondare la valutazione espressa nella sentenza impugnata.
Per questa ragione, risulta evidente che l’inosservanza delle norme procedurali, riconosciuta in modo espresso dai giudici del merito con riferimento alle sommarie informazioni rese dall’indagato ai Carabinieri di NOME il 29 dicembre 2020, non ha intaccato in alcun modo la solidità e la coerenza delle argomentazioni poste a fondamento della decisione della Corte territoriale.
In ordine al secondo motivo, attinente alla dedotta contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, le considerazioni finora svolte confermano ictu oculi la congruità e la linearità del discorso giustificativo offerto dalla Corte di merito, senza che sia affiorata alcuna cesura logica nel tessuto argomentativo che ha connotato la decisione di secondo grado.
Per quanto concerne, poi, la persistenza del ragionevole dubbio ventilata dal ricorrente, deve osservarsi che affinché sia ravvisabile il mancato rispetto di tale canone è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato che intenda far valere l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di un’ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi – oggettivo e soggettivo – fare riferimento a elementi sostenibili, ossia desunti dai dati effettivamente acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237 – 01).
In questo caso, nel ragionamento valutativo oggetto di impugnazione, non è dato ravvisare i vizi logici segnalati e la critica avanzata dal ricorrente non riesce in alcun modo a scalfire l’accertamento di responsabilità, congruamente motivato mediante il richiamato, coerente discorso giustificativo, alla luce del quale deve convenirsi che l’insieme di elementi acquisiti ha fornito indicazioni univocamente contrarie alla deduzione del ricorrente: il fatto che si trattasse di un terreno privato, presidiato da una recinzione e chiuso da un cancello, sebbene lasciato all’incuria, contrasta la prospettiva che terzi estranei abbiano potuto utilizzarlo
per nascondere armi clandestine, vieppiù se si considera che il fucile e le munizioni non sono stati rinvenuti nel fondo, bensì all’interno del deposito di attrezzi, al quale – è stato ragionevolmente considerato – il solo COGNOME avrebbe potuto, in concreto, accedere.
Il perno logico-giuridico del ragionamento esposto dalla Corte territoriale non vacilla neppure di fronte alle obiezioni dell’imputato circa il possesso da parte sua di regolare porto d’armi e la detenzione legittima da parte sua di altre armi e munizioni: tali affermazioni, al contrario, sono state ritenute logicamente confermative del fatto che COGNOME, possedendo altre armi, era a conoscenza dell’impossibilità giuridica di esternare la titolarità dell’arma clandestina e, quindi, era ben consapevole che non avrebbe potuto denunciare la detenzione di quel fucile, in sé connotata da illiceità, e delle inerenti munizioni; cose, come tali, estranee alla pratica legittima dell’hobby venatorio da parte sua.
Conclusivamente, il ricorrente, oltre a offrire una lettura delle risultanze processuali meramente alternativa e, come tale, inidonea a minare il tessuto argomentativo dell’impugnata sentenza, ha dedotto la violazione del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio in modo generico e assertivo, senza indicare in quale punto o con quale valutazione esso sarebbe stato trasgredito e senza confrontarsi con le prove ritenute, in modo congruo, di segno e valenza tali da smentire la tesi difensiva.
Alla luce di queste argomentazioni, il ricorso – manifestamente infondato – va dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende nella misura che, in ragione del contenuto dei motivi dedotti, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle …pmmende.
Così deciso il 21 febbraio 2024
Il Consig ere estensore