Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13384 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13384 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto
da:
NOME nato a NIZZA MONFERRATO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/04/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di ASTI in difesa di NOME, che insiste nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 12 aprile 2023 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Lodi in data 28.1.2022 aveva dichiarato COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 624 bis cod.pen., contestato in fatto, e, riconosciuta l’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod.pen ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod.pen., lo aveva condannato alla pena di anni tre e mesi due di reclusione ed Euro 1000,00 di multa.
I fatti come ricostruiti dalle sentenze di merito possono essere così riassunti: NOME NOME, sentita presso la Stazione RAGIONE_SOCIALE Borghetto Lodigiano, aveva riferito che il 6 febbraio 2014 due persone, qualificatisi come vigile urbano ed addetto all’acquedotto, si erano introdotte nella abitazione in cui viveva unitamente a COGNOME NOME con il pretesto di effettuare un controllo del contatore e, approfittando di un momento di distrazione, erano riuscite ad introdursi nella camera da letto ed a prelevare la somma di Euro 1500,00 dal comò.
Successivamente NOME, in sede di individuazione fotografica, aveva riconosciuto al 100% in uno dei due soggetti l’imputato COGNOME NOME; tale riconoscimento, secondo quanto riferito in udienza dal brigadiere COGNOME, veniva effettuato anche da NOME.
Sulla scorta della lettura della testimonianza di NOME, nelle more deceduta, e l’assunzione della testimonianza del Brigadiere COGNOME, entrambi i giudici di merito hanno ritenuto provata in maniera univoca la commissione del reato ai danni di NOME e NOME ad opera di COGNOME NOME.
Avverso la sentenza d’appello l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi chiedendo altresì l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
Con il primo deduce l’inosservanza del disposto dell’art. 526, comma 1 bis, cod.proc.pen. quale norma processuale stabilita a pena di inutilizzabilità e rilevante ex art. 606 comma 1, lett. c) cod.proc.pen. risultando la sussistenza del fatto reato e l’ascrivibilità all’imputato fondata in modo esclusivo o quanto meno significativo su prove “dichiarative pre dibattimentali rese in assenza di contraddittorio” in violazione del divieto sancito dalla norma processuale de qua, allegando a supporto giurisprudenza di legittimità che afferma, conformemente alla giurisprudenza della Cedu, che non sia possibile basare la colpevolezza
dell’imputato sulle dichiarazioni della persona offesa rese nel corso delle indagini, neanche ove acquisite legittimamente ex art. 512 cod.proc.pen.
E sottolineando come la stessa Corte di merito, dando atto della contrastante giurisprudenza esistente sul punto, abbia aderito ad un orientamento meno garantistico avallato da recenti pronunce in cui si afferma il principio della natura non vincolante per il giudice interno delle pronunce della Corte E.D.U. ponenti nella massima estensione il divieto di fondare esclusivamente o almeno significativamente, su dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio la condanna dell’imputato, in quanto tali pronunce non avrebbero natura di “diritto consolidato” non essendo espressione di Grande Camera.
Al contrario, la Corte territoriale, dopo aver recepito il principio secondo cui compatibile con le garanzie convenzionali la condanna fondata su dichiarazioni decisive assunte in via unilaterale ogni volta che il sacrificio del diritto di dif (ovvero l’impossibilità di interrogare direttamente il teste fondamentale) appaia bilanciato da “adeguate garanzie procedurali”, è entrata nel merito della valutazione dei c.d. “bilanciamenti procedurali” con motivazione del tutto incongruente dal punto di vista logico. In particolare con riferimento alla deposizione del Mar. COGNOME, sul contenuto dell’individuazione fotografica cui è stato sottoposto COGNOME NOME, ha equiparato tout court tale peculiare prova dichiarativa alle dichiarazioni de relato relative allo svolgimento dei fatti ed superato anche l’accertata mancata allegazione del verbale di riconoscimento derivante dallo smarrimento dell’atto stesso che ha impedito ad entrambi i giudici di vagliare, almeno nella forma cartolare, le dichiarazioni dal medesimo rese.
Peraltro, la giurisprudenza più garantista afferma che l’atto ricognitorio non può da solo supportare una sentenza di condanna.
Con il secondo motivo deduce la manifesta illogicità della motivazione resa sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che nella specie non ricorrono i presupposti di cui all’art. 618 cod.proc.pen., atteso che sulla questione oggetto di censura non si registra un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, i motivi di ricorso, da scrutinar congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono infondati.
Le censure attingono la sentenza impugnata laddove, nel rigettare analogo motivo di appello, dopo aver dato atto dei diversi orientamenti succedutisi nella giurisprudenza di legittimità, anche alla luce dei principi di matrice eurounitaria ha ritenuto di poter fondare il giudizio di penale responsabilità nei confronti
dell’odierno imputato sulle sole dichiarazioni predibattimentali, segnatamente le dichiarazioni acquisite ex art. 512 cod.proc.pen. rese da COGNOME NOME (deceduta nel corso del processo) e quelle rese da un teste di P.G. circa il riconoscimento fotografico dell’odierno imputato effettuato nel corso delle indagini da parte di COGNOME NOME.
Punto di partenza dell’evoluzione giurisprudenziale dell’ultimo decennio, in materia, è la decisione Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D.F. Rv. 250199, la quale consacrò il principio secondo cui “Le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono, conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell’art. 6 Conv. EDU , fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale”.
Oggetto di interpretazioni difformi, che avevano motivato la rimessione, era la nozione di “assoluta impossibilità” dell’esame dibattimentale, postulata dall’art. 512-bis cod. proc. pen. ai fini della lettura delle dichiarazioni predibattimentali rese da persona residente all’estero, essendo ai tempi controverso se tale condizione dovesse identificarsi nella impossibilità totale e definitiva di ottener la presenza del dichiarante.
Nel percorso ricostruttivo seguito, le Sezioni Unite individuarono anzitutto le ragioni ispiratrici della disposizione che sono state ricondotte all’esigenza di armonizzare la disciplina delle letture col principio del contraddittorio di cui novellato art. 111 Cost., l’esigenza di garantire, per quanto possibile, la dialettica delle parti nella fase acquisitiva della prova, l’esigenza di conformare l’ordinamento interno agli obblighi internazionali.
Alla luce del novellato art. 111 Cost., con le circoscritte e tassative eccezioni d cui al comma quinto (consenso dell’imputato, accertata impossibilità di natura oggettiva, provata condotta illecita in danno del dichiarante), la Corte ritenne che si imponesse un’interpretazione restrittiva dei presupposti applicativi dell’art. 512-bis cod. proc. pen., anch’esso contenente una previsione derogatoria rispetto al metodo dialettico di assunzione della prova; e che la lettura delle dichiarazioni predibattimentali, intanto potesse valutarsi legittima, in quanto i giudice avesse esplorato senza successo tutte le possibilità ed adoperato ogni strumento utile a disposizione al fine di consentire la dinamica “fisiologica” di escussione dei testi.
Nel descritto scenario, un deciso mutamento di prospettiva si deve alla pronuncia della Corte di Strasburgo, Grande Camera, 15 dicembre 2011, COGNOME e COGNOME c/ Regno Unito, la quale stabilì che la violazione del principio di equità processuale espresso dall’art. 6, §§ 1 e 3, lett. d), CEDU va esclusa quando
rilevino elementi sufficienti, ovvero solide garanzie procedurali, idonee a controbilanciare l’applicazione della regola della prova unica o determinante.
Introducendo un elemento di flessibilità che smussava il rigore del precedente orientamento, la Corte dei Diritti si pose nell’ottica dell’equità complessiva, dell’intero processo, disponendo che fossero apprezzati contestualmente tutti quei contrappesi idonei a compensare, nel loro insieme, l’oggettiva restrizione delle prerogative della difesa derivata dall’utilizzazione di una prova decisiva perché capace di incidere sull’alternativa condanna/assoluzione – non verificata in contraddittorio. In linea di continuità con detta pronuncia si pose Corte EDU, Grande Camera, sentenza 15 dicembre 2015, COGNOME c. Germania, che ne ribadisce i contenuti e la necessità che il giudice scrutini la compatibilità dell dichiarazioni rese da un testimone assente con le garanzie convenzionali.
All’esito della svolta europea, le pronunce rese dalla giurisprudenza di legittimità hanno proseguito nella lettura adeguatrice delle norme interne rispetto alla garanzia convenzionale.
Sez. 2, n. 19864 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 276531, ha puntualizzato la nozione di “garanzie procedurali” idonee a compensare il deficit di contraddittorio, che ha individuato anzitutto nell’accurato vaglio di credibilità de contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e, sotto altro profilo, nella compatibilità di tali contenuti con i da contesto. La stessa decisione chiarisce, in proposito, come la verifica dell’esistenza di “adeguate garanzie procedurali”, possa essere eventualmente anche alternativa alla verifica dell’esistenza di elementi di conferma esterna ai contenuti accusatori.
Sez. 6, n. 50994 del 26/03/2019, D., Rv. 278195 ha evidenziato come la sentenza Corte EDU Al COGNOME e COGNOME c/ Regno Unito sia stata realmente uno spartiacque.
Ed invero, se in precedenza era consentito – secondo la nozione europea di corroboration – un uso solo indiretto della fonte di prova non verificata, cioè un uso meramente confermativo di una prova raggiunta aliunde, a partire dalla detta pronuncia europea, mutata la regola di giudizio, la irripetibilità dell’at dichiarativo dovuta ad un fatto impeditivo oggettivo ed assoluto non preclude l’utilizzabilità piena di quelle dichiarazioni rese in fase investigativa, ma condizione che sussistano altri elementi corroborativi della loro attendibilità. La portata del principio è stata successivamente precisata da Sez. 2, n. 15492 del 05/02/2020, Rv. 279148, nel senso che le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell’ art. 512 cod.proc.pen. possono costituire, conformemente all’interpretazione espressa dalla Grande Camera della Corte EDU con le sentenze 15 dicembre 2011, caso COGNOME e COGNOME c/Regno Unito e 15
dicembre 2015, caso COGNOME c/Germania, la base “esclusiva e determinante” dell’accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di “adeguate garanzie procedurali”, individuabili nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto, tra i qua possono rientrare anche le dichiarazioni dei testi indiretti, che hanno percepito in ambiente extra-processuale le dichiarazioni accusatorie della fonte primaria, confermandone in dibattimento la portata (In motivazione la Corte ha precisato che ciò che rafforza la credibilità della dichiarazione predibattirnentale non è i contenuto omologo e derivato della dichiarazione de relato, quanto la circostanza che il dichiarante assente abbia riferito ad altri i contenuti accusatori introdo nel fascicolo del dibattimento attraverso l’art. 512 cod. proc. pen.) (Sez. 2, n.15492 del 05/02/2020, C., Rv. 279148 ; Sez. 4, n. 44902 del 12.10.2023, n.m.).
Tale più recente giurisprudenza, prendendo atto delle sopravvenute sentenze della Corte di Strasburgo “supera” l’approdo ermeneutico delle Sezioni Unite n. 27918 del 2010 cit. segnando un rilevante intervento di interpretazione conformativa effettuato sull’art. 512 cod.proc.pen., teso ad adeguare le garanzie interne a quelle convenzionali, nella materia della capacità dimostrativa di dichiarazioni assunte in assenza di contraddittorio chiarendo che non ogni sentenza della Corte Edu genera l’obbligo di interpretazione adeguatrice, ma solo quelle che siano espressione di un diritto consolidato, che offra una ratio decidendi non frutto di una elaborazione episodica, ma di un percorso interpretativo sedimentato e condiviso, se non addirittura avvallato dall’intervento di una pronuncia di Grande camera.
La natura di diritto consolidato deve essere senz’altro riconosciuta alle pronunce di Grande Camera che hanno chiarito l’estensione delle garanzie previste dall’art. 6 della Convenzione, e segnatamente le sentenze COGNOME v. Regno Unito (Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2011) e COGNOME v. Germania (Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2015); queste due sentenze hanno così superato il precedente orientamento della stessa Corte di Strasburgo che riteneva non compatibile con le garanzie convenzionali le condanne fondate su testimonianze cartolari che costituivano l’elemento “decisivo e determinante” dell’accertamento di responsabilità.
Posti tali principi, nel caso in esame, la Corte territoriale, ponendosi nel solco della più recente giurisprudenza di legittimità, in coerenza con le indicate linee ermeneutiche, ha individuato una serie di bilanciamenti procedurali che sostengono la valutazione in ordine alla credibilità dei contenuti accusatori delle
dichiarazioni predibattimentali della persona offesa acquisite ex art. 512 cod.proc.pen.
Con riguardo a COGNOME NOME, sentita a sommarie informazioni nella immediatezza dei fatti, si é posto in luce che la stessa ha riferito in modo logico e preciso le modalità del furto, ha descritto uno degli autori ed ha effettuato i riconoscimento dell’odierno imputato con certezza, visionando un album fotografico appositamente predisposto dagli operanti in quanto raffigurante soggetti aventi tratti comuni tra loro.
Con specifico riguardo alla testimonianza resa dal teste di COGNOME. in ordine all’individuazione fotografica effettuata in fase di indagini da COGNOME NOME, va premesso che il riconoscimento fotografico effettuato in sede di indagini costituisce una prova atipica, la cui rilevanza dipende dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi l’ha compiuto. (Sez. 6, n. 17103 del 31/10/2018, dep. 2019, Rv. 275548). Non essendo regolato dal codice di rito, costituisce un accertamento di fatto e, come tale, è utilizzabile nel giudizio in base al principio della non tassatività dei mezzi di prova ed a quello del libero convincimento del giudice (Sez. 5, n. 6456 del 01/10/2015, dep. 2016, Rv. 266023).
In tal caso, la certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (Sez. 5, n. 22612 del 10/02/2009, Rv. 244197).
Si é altresì affermato che in tema di testimonianza indiretta, possono formare oggetto della testimonianza “de relato” del personale di polizia giudiziaria i risultati dell’individuazione fotografica poiché essa consiste in una dichiarazione ricognitiva resa da un teste della propria percezione visiva. (Fattispecie in cui è stata ritenuta utilizzabile la testimonianza “de relato”, non avendo la difesa richiesto l’esame della fonte diretta) (Sez. 5, n. 5701 del 05/11/2021 dep. 2022, Rv. 282779).
Nella specie correttamente la Corte di merito ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese dal teste di NOME.NOME COGNOME circa l’avvenuto riconoscimento fotografico dell’odierno imputato, pur essendone stato smarrito il relativo verbale. Peraltro, va rilevato che la difesa dell’imputato non ha neanche chiesto l’assunzione della testimonianza diretta di COGNOME NOME.
6. In conclusione il ricorso va rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta GLYPH il GLYPH ricorso GLYPH e GLYPH condanna GLYPH il GLYPH ricorrente GLYPH al GLYPH pagamento GLYPH delle spese processuali.
Così deciso» 15.2.2024