Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 287 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 287 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/06/2024 della Corte d’appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27/06/2024, la Corte d’appello di Torino confermava la sentenza del 20/10/2022 del Tribunale di Vercelli, emessa in esito a giudizio ordinario, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di sei mesi di reclusione ed C 100,00 di multa per il reato di truffa ai danni di NOME COGNOME.
Avverso la menzionata sentenza del 27/06/2024 della Corte d’appello di Torino, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 526, comma 1-bis, dello stesso codice.
Il ricorrente lamenta che, in violazione di tale disposizione, la sua colpevolezza sarebbe stata provata sulla base delle sole dichiarazioni predibattimentali della persona offesa NOME COGNOME, le quali erano state acquisite, ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., per la sopravvenuta irreperibilità dello stesso COGNOME.
Dopo avere menzionato le disposizioni di cui all’art. 111, quarto comma, secondo periodo, Cost., e all’art. 6, comma 3, lett. d), CEDU, il COGNOME contesta anzitutto l’affermazione della Corte d’appello di Torino secondo cui «l’assenza della persona offesa a dibattimento non è riconducibile univocamente a una sua volontà di sottrarsi all’escussione, dovendo considerarsi che si tratta di soggetto straniero e che il dibattimento si è svolto tre anni dopo i fatti» (pagg. 3-4 della sentenza impugnata).
Nel richiamare l’affermazione di Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D.F., Rv. 250198-01, secondo cui, ai fini dell’operatività del divieto previsto dal comma 1-bis dell’art. 526 cod. proc. pen., «è sufficiente la volontarietà dell’assenza del teste determinata da una qualsiasi libera scelta (anche per difficoltà economiche, disagi del viaggio, mancanza di interesse, e così via)», il ricorrente deduce che, «[n]el caso di specie, dunque, si deve affermare che l’impossibilità dell’esame della persona offesa, soggetto comunitario, era dovuta unicamente alla totale mancanza di volontà di tornare in Italia per mancanza di interesse». Il COGNOME aggiunge che la volontà del testimone di sottrarsi al contraddittorio «potrebbe presumersi anche sulla base di elementi diversi dalla avvenuta citazione».
In secondo luogo, il ricorrente, premesso che la Corte d’appello di Torino ha rigettato il suo motivo di appello sul punto sulla base del principio affermato da Sez. 4, n. 13384 del 15/02/2024, Massa, Rv. 286348-01, rappresenta che, nel caso oggetto di tale pronuncia, le dichiarazioni predibattimentali della persona offesa risultavano corroborate, oltre che dal riconoscimento fotografico dell’autore del reato che era stato effettuato con certezza dalla persona offesa, anche dalle dichiarazioni che erano state rese dal testimone della polizia giudiziaria circa analogo riconoscimento che era avvenuto, nel corso delle indagini, a opera di un informatore. Nel caso in esame, invece, la persona offesa – le cui dichiarazioni, unitamente al riconoscimento fotografico che essa aveva effettuato nell’immediatezza del fatto, sono state poste a fondamento della sentenza di condanna – era l’unico testimone dei fatti. Il ricorrente richiama a tale proposito i principio affermato da Sez. 3, n. 28988 del 20/06/2012, COGNOME, Rv. 25320601 (secondo cui: «[l]e dichiarazioni predibattimentali della persona offesa legittimamente acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., per fondare l’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, devono trovare conforto in
altri elementi individuati dal giudice nelle risultanze processuali, che non possono essere costituiti da altre dichiarazioni acquisite con le medesime modalità»).
In relazione a questo principio, il COGNOME sottolinea le due circostanze che: 1) il numero di targa dell’autovettura che era stata utilizzata dall’autore del reato era stato fornito sempre dalla persona offesa «che si è sottratta all’esame dibattimentale»; 2) l’COGNOME, nell’immediatezza del fatto, aveva affermato che l’autore del reato «aveva circa trent’anni» (pag. 2 della sentenza di primo grado), a fronte dei quasi cinquant’anni che aveva invece l’imputato all’epoca dello stesso fatto, sicché «il macroscopico errore sull’età dell’uomo – a memoria molto fresca – va a incidere sull’attendibilità dell’uomo e rafforza la tesi della non utilizzabi delle dichiarazioni rese dall’extracomunitario in sede di indagine».
Il ricorrente richiama poi il principio, affermato da Sez. 5, n. 21877 del 26/03/2010, T., Rv. 247446-01, della necessità che la dichiarazione accusatoria acquisita ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. trovi conforto in ulteriori elemen individuati dal giudice.
Il ricorrente argomenta ancora che, mentre secondo la citata Sez. 4, n. 13384 del 15/02/2024, invocata dalla Corte d’appello di Torino, le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., per costituire base esclusiva e determinante dell’accertamento di responsabilità, dovrebbero essere accompagnate da «adeguate garanzie procedurali», Sez. 6, n. 50994 del 26/03/2019, D., Rv. 278195-01, avrebbe enunciato «un canone di giudizio più rigoroso», avendo affermato che l’assenza del contraddittorio deve essere controbilanciata «da solide garanzie procedurali, individuabili nella esistenza di elementi di riscontro, che corroborino quei contenuti dichiarativi».
Il ricorrente ribadisce in proposito che: gli elementi probatori a proprio carico sono stati tutti forniti dalla persona offesa NOME COGNOME, mediante la querela e il verbale di individuazione fotografica; anche l’unico atto di indagine che era stato compiuto dalla polizia giudiziaria, COGNOME «l’elaborazione dei dati accostabili alla targa dell’autovettura di proprietà dell’autore del reato», si fondava sempre sulle dichiarazioni dell’COGNOME, il quale avrebbe annotato il numero di targa dell’autovettura che era stata utilizzata dall’autore del reato; «l’evidente error sull’indicazione dell’età dell’autore della truffa compiuto dalla persona offesa in querela […] è elemento tale da far ritenere non attendibile quest’ultimo».
Il ricorrente conclude che le dichiarazioni predibattimentali rese dall’COGNOME in assenza di contraddittorio non potrebbero pertanto ritenersi supportate da «solide garanzie procedurali» tali da assicurare l’equità del processo nel suo insieme.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’unico motivo non è fondato.
Si deve anzitutto dire che tale motivo attiene non alla legittimità dell’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali del testimone ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., la quale non è in contestazione, ma all’utilizzabili probatoria di tali dichiarazioni quale prova determinante dell’accertamento di responsabilità dell’imputato, nella prospettiva del divieto che è previsto dal comma 1-bis dell’art. 526 cod. proc. pen., disposizione della quale il ricorrente ha infatt denunciato l’inosservanza.
3. Ciò detto, premesso che, nel caso in esame, le dichiarazioni predibattimentali della persona offesa NOME COGNOME sono state acquisite, ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., per la sopravvenuta irreperibilità dello stesso COGNOME, la quale rendeva impossibile la ripetizione delle sue dichiarazioni, si deve anzitutto ribadire l’orientamento della Corte di cassazione secondo cui all’irreperibilità sopravvenuta non si può attribuire presuntivamente il significato della volontaria scelta di sottrarsi all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 225470-01), atteso che tale irreperibilità costituisce di per sé un dato neutro, che può assumere valenza ai fini del divieto di cui al comma 1-bis dell’art. 526 cod. proc. pen. solo qualora sia connotata dalla volontà di sottrarsi all’esame, desumibile o da prova diretta o da presunzione collegata all’avvenuta citazione per il dibattimento (Sez. 1, n. 23571 del 20/06/2006, COGNOME, Rv. 234281 -01. In senso analogo, Sez. 3, n. 25327 del 19/02/2019, S., Rv. 276040-01, secondo cui la mera irreperibilità del teste non determina automaticamente l’inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, costituendo un dato neutro che assume valenza solo qualora sia connotata dalla provata volontà del testimone di sottrarsi all’esame).
Alla stregua di tali principi, si deve ritenere corretta la considerazione della Corte d’appello di Torino secondo cui la mancata comparizione della persona offesa al dibattimento, in quanto dovuta al fatto che essa non era stata citata perché irreperibile, suffragava la conclusione che la stessa mancata comparizione non fosse il risultato di una scelta della persona offesa di sottrarsi all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore, in assenza di altri elementi dai quali si potesse desumere una scelta di questo tipo.
Tenuto conto di quanto precede, appare priva di qualsiasi riscontro l’affermazione del ricorrente secondo cui l’impossibilità di esaminare l’COGNOME sarebbe stata dovuta alla «totale mancanza di volontà [dello stesso] di tornare in Italia per mancanza di interesse».
È vero che, come sostiene il ricorrente, ai fini della dimostrazione della volontà del testimone di sottrarsi all’esame, non è indispensabile che egli sia stato raggiunto da una citazione (Sez. 6, n. 50994 del 26/03/2019, cit.). Tuttavia, per potere ritenere una tale volontà, occorre pur sempre che siano emersi degli
elementi, diversi dalla citazione, in virtù dei quali sia possibile desumere la stessa volontà. Elementi che, però, non risultano essere emersi nel caso di specie né sono stati specificamente indicati dal ricorrente.
4. Escluso, perciò, che la persona offesa si possa ritenere avere scelto di sottrarsi all’esame dell’imputato o del suo difensore, proseguendo nel discorso, il punto di partenza di esso, in quanto punto di partenza dell’evoluzione giurisprudenziale successiva, è costituito dalla già citata Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, la quale affermò il principio secondo cui «[l]e dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono – conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell’art. 6 della CEDU – fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale» (così la massima Rv. 250199-01).
Successivamente a tale pronuncia, lo scenario della richiamata giurisprudenza europea in tema di applicazione dell’art. 6 CEDU ha tuttavia visto un deciso mutamento in conseguenza della sentenza della Grande Camera della Corte EDU 15/12/2011, COGNOME e COGNOME c. Regno Unito (ricorsi n. 26766/05 e n. 22228/06), con la quale è stato affermato che, quando la dichiarazione predibattimentale resa in assenza di contraddittorio costituisce la prova unica o determinante («sole or decisive»; «unique ou déterminant») sulla quale si basa la condanna, ciò non si traduce automaticamente in una violazione del diritto a un processo equo. Questa, infatti, deve essere esclusa qualora la restrizione dei diritti della difesa che ciò comporta sia controbilanciata da elementi sufficienti, inclusa l’esistenza di solide garanzie procedurali («would require sufficient counterbalancing factors, including the existence of strong procedura! safegards»; «doit étre contrebalancé par des éléments suffisants, notamment par des garanties pro cédurales solides») (punto 147 della sentenza).
Tale prospettiva dell’equità complessiva del processo e, quindi, dell’apprezzamento degli elementi di contrappeso in grado di compensare la restrizione delle prerogative difensive che deriva dall’utilizzazione di una prova decisiva non verificata in contraddittorio, è stata successivamente ribadita dall’altra sentenza della Grande Camera della Corte EDU 15/12/2015, COGNOME c. Germania (ricorso n. 9154/10).
A seguito di tali due pronunce, le quali, anche per essere state entrambe rese dalla Grande Camera della Corte EDU, si devono ritenere espressive di un diritto consolidato espresso dalla giurisprudenza europea, la Corte di cassazione ha proseguito nella propria opera di interpretazione conformativa della normativa interna e, in particolare, dell’art. 526, comma 1 -bis, cod. proc. pen.
Così, Sez. 2, n. 19864 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 276531-02, ha precisato la nozione di «garanzie procedurali» idonee a compensare il deficit di contraddittorio, individuando le stesse «nell’accurato vaglio della credibilità dei contenuti accusatori effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta» e, sotto un altro profilo, «nella compatibilità della dichiarazione con i da di contesto». La verifica dell’esistenza di solide garanzie procedurali è stata pertanto ritenuta poter essere eventualmente anche alternativa alla verifica di elementi di conferma esterna ai contenuti accusatori.
Sez. 6, n. 50994 del 26/03/2019, cit., ha sottolineato come la sentenza sul caso COGNOME e COGNOME abbia segnato uno spartiacque («[i]l quadro generale convenzionale è tuttavia mutato»), rilevando che «se, in precedenza, era consentito solo un uso indiretto dell’elemento di prova precedentemente formato senza contraddittorio sulla relativa fonte (COGNOME solo un uso confermativo di una prova sostanzialmente raggiunta “aliunde”), a seguito della sentenza COGNOME, la irripetibilità dell’atto derivante da determinati fatti impeditivi, non preclude l probatorio pieno delle dichiarazioni unilateralmente rese in fase predibattimentale, a condizione, tuttavia, che vi siano altre risultanze che fungano da riscontro […] dell’attendibilità delle dichiarazioni in questione».
Il principio è stato successivamente ribadito e precisato da Sez. 2, n. 15492 del 05/02/2020, C., Rv. 279148-01, secondo cui le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. possono costituire, conformemente all’interpretazione espressa dalla Grande Camera della Corte EDU nelle due sentenze COGNOME e COGNOME c. Regno Unito e COGNOME c. Germania, la base «esclusiva e determinante» dell’accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di «adeguate garanzie procedurali», individuabili nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto, tra i quali possono rientrare anche le dichiarazioni dei testi indiretti, che hann percepito in ambiente extra-processuale le dichiarazioni accusatorie della fonte primaria, confermandone in dibattimento la portata.
Tale principio è stato ancora ribadito da Sez. 4, n. 13384 del 15/02/2024, Massa, cit., richiamata anche dalla Corte d’appello di Torino, con la quale Corte di cassazione, in applicazione dello stesso principio, ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata sul rilievo che le puntuali e logiche dichiarazioni predibattimentali della persona offesa risultavano corroborate dal riconoscimento fotografico dell’autore del reato dalla stessa effettuato con certezza, nonché dalle dichiarazioni rese dal teste di polizia giudiziaria circa analogo riconoscimento avvenuto, nel corso delle indagini, ad opera di un informatore.
5. Così riassuntivamente esposta l’evoluzione giurisprudenziale sul tema – la quale ha pertanto segnato, sul fronte europeo, il superamento della precedente giurisprudenza della Corte di Strasburgo che reputava automaticamente non compatibili con il diritto a un processo equo le condanne fondate su testimonianze “cartolari” costituenti l’elemento di prova unico o determinante dell’accertamento di responsabilità, e, sul fronte interno, il superamento di Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D.F., Rv. 250199-01, che su quella precedente giurisprudenza europea si era in gran parte basata – il Collegio ritiene che la Corte d’appello di Torino, ponendosi nel solco della più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, abbia individuato delle solide garanzie procedurali in grado di controbilanciare la restrizione dei diritti di difesa dell’imputato derivan dall’impossibilità di esaminare o di fare esaminare la persona offesa, unico testimone del fatto, e di assicurare, perciò, l’equità complessiva del processo.
La Corte d’appello di Torino ha da un lato compiuto un accurato vaglio della credibilità dei contenuti accusatori delle dichiarazioni che erano state unilateralmente rese dalla persona offesa NOME COGNOME, avendo riscontrato la coerenza, la logicità e la verosimiglianza delle stesse, oltre che l’assenza di qualsiasi elemento che potesse indurre a ritenere che l’COGNOME potesse volere accusare falsamente il COGNOME, che neppure conosceva.
Inoltre, l’COGNOME aveva riconosciuto il COGNOME, tra i soggetti che erano ritratti ne fascicolo fotografico – contenente, evidentemente, più fotografie -, che gli fu sottoposto il giorno stesso del reato (16/11/2019), come il soggetto autore della truffa commessa ai suoi danni «senza ombra di dubbio» (pag. 3 della sentenza di primo grado).
In proposito, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, si deve ritenere che la Corte d’appello di Torino abbia non illogicamente reputato che l’indicazione, da parte dell’COGNOME, dell’età apparente di circa trent’anni del soggetto autore della truffa ai suoi danni (a fronte di quella di quasi cinquant’anni dell’imputato) non potesse inficiare l’attendibilità di un riconoscimento che era stato effettuato, come si è detto, «senza ombra di dubbio».
Si tratta di garanzie procedurali che appaiono tali da consentire di ritenere che, ove pure fosse stato possibile l’esercizio del diritto al contraddittorio, risultato che si sarebbe conseguito attraverso il metodo dialettico non sarebbe stato sostanzialmente dissimile da quello raggiunto (Sez. 6, n. 50994 del 26/03/2019, cit.).
Inoltre, la Corte d’appello di Torino ha indicato anche una significativa risultanza che, contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, si deve ritenere idonea a fungere da efficace riscontro esterno dell’attendibilità delle dichiarazioni in questione, COGNOME il fatto che il COGNOMECOGNOME COGNOME il soggetto che era stato riconosciut
dalla persona offesa, era risultato avere in uso l’automobile che la stessa persona offesa aveva indicato (fornendone la targa) come quella a bordo della quale si trovava la persona che l’aveva truffato.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/12/2024.