Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27462 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
SECONDA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27462 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 07/10/1969 a NAPOLI NOME nato il 31/08/1985 a NAPOLI NOME nato il 21/06/1967 a NAPOLI avverso l’ordinanza in data 13/09/2025 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, in sostituzione dell’Avvocato NOME COGNOME e nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la conferma della sentenza della Corte di appello di Napoli e la condanna rei ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado di legittimità;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di COGNOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di NOME COGNOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
letta la nota dell’Avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME coimputato non ricorrente, con estensione degli effetti dell’impugnazione di NOME NOME e di COGNOME NOME NOME siano estesi alla posizione di COGNOME NOME;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME per il tramite dei rispettivi procuratori speciali, impugnano la sentenza in data 13/09/2025 della Corte di appello di Napoli che, in riforma della sentenza in data 27/05/2014 del Tribunale di Napoli, ha ritenuto COGNOME NOME e COGNOME NOME colpevoli dei reati loro ascritti al capo N) (danneggiamento seguito da incendio
aggravato, violenza privata, entrambi pluriaggravati, anche ai sensi dell’art. 416bis .1 cod. pen.) e, riconosciuta la recidiva reiterata per COGNOME e la recidiva semplice per COGNOME, ritenuta la continuazione, li ha condannati alla pena di giustizia. Il Tribunale, li aveva assolti. La sentenza di primo grado Ł stata invece confermata nella parte in cui aveva condannato NOME COGNOME per il reato ascrittogli al capo D) (tentativo di estorsione pluriaggravato, anche ai sensi dell’attuale 416bis .1 cod. pen.)
Deducono:
COGNOME NOME (tentativo di estorsione capo D).
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 110 cod. pen., 416bis .1 cod. pen., 629, comma secondo, cod. pen., in relazione all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen. e 192 e ss. cod. proc. pen..
Il ricorrente premette che gli elementi a carico di COGNOME sono costituiti dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa NOME COGNOME dai verbali di trascrizione delle intercettazioni ambientali eseguite presso la sala d’attesa della Stazione dei Carabinieri di Poggioreale e dalla denuncia sottoscritta da un gruppo di commercianti di INDIRIZZO di Portici.
Con riguardo al concorso nell’estorsione, osserva che la condotta realizzata Ł stata quella di telefonare a COGNOME e a farlo incontrare con gli autori dell’estorsione (COGNOME e COGNOME), i quali avanzavano la richiesta estorsiva solo dopo che COGNOME si allontanava dal luogo dell’incontro, così che questi non istigava, non agevolava e non rafforzava la condotta incriminata.
Aggiunge che probabilmente COGNOME era lui stesso vittima di estorsione, in quanto costretto ad accompagnare gli estortori presso la vittima del reato.
Con riguardo alla sussistenza dell’aggravante mafiosa, il ricorrente denuncia il vizio di motivazione, atteso che la corte di appello, oltre a sminuire la valenza dell’assoluzione per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen., non spiega come si sarebbero estrinsecate le modalità mafiose nella condotta realizzata da COGNOME.
Con riguardo all’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen., denuncia la violazione di legge, osservando che per la configurabilità di detta aggravante Ł necessaria l’appartenenza a un sodalizio mafioso, mentre COGNOME Ł stato assolto dal reato di cui all’art. 416bis cod. pen..
Il ricorrente denuncia anche la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., al quale proposito osserva che la corte di appello e il giudice di primo grado sono pervenuti a una sentenza di condanna sulla base di una valutazione arbitraria degli elementi sopra indicati, ove confrontata il giudice con quella del giudice della cautela che, sulla base dei medesimi elementi, aveva escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Infine, il ricorrente sostiene che la corte di appello non ha sviluppato argomentazioni proiettate verso la ricerca della verità storica e rimarca che i giudici hanno respinto i motivi d’impugnazione limitandosi a richiamare la motivazione del giudice di primo grado, in termini apodittici e ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sull’inconsistenza ovvero sulla non pertinenza delle censure difensive.
NOME NOME NOME (Danneggiamento seguito da incendio, violenza privata, 416bis .1 cod. pen.).
3.1. Il primo motivo d’impugnazione si rivolge alle dichiarazioni di NOME COGNOME e NOMECOGNOME acquisite in primo grado ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. e, attesa l’irreperibilità dei due dichiaranti cittadini rumeni, riacquisite in appello sempre ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen..
Va precisato che il tribunale aveva assolto gli odierni ricorrenti dai reati loro contestati; la corte di appello ha ribaltato la sentenza assolutoria e ha condannato COGNOME e COGNOME.
Secondo i ricorrenti, il caso in esame Ł diverso da quello considerato dalle sezioni unite con la sentenza n. 11586 del 30/09/2021 (dep. 2022, D., Rv. 282808 – 01), che si Ł espressa nel senso di consentire la rinnovazione del dibattimento con l’acquisizione, ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., delle dichiarazioni non ripetibili per la sopravvenuta irreperibilità dei dichiaranti.
Tanto sostengono osservando che nel caso esaminato dalle Sezioni Unite i dichiaranti erano stati ascoltati in primo grado nel contraddittorio delle parti, mentre nel caso in esame i dichiaranti non sono stati sentiti nel contraddittorio delle parti neanche in primo grado.
Rimarcano che l’acquisizione disposta dalla corte di appello era, peraltro, superflua, visto che quelle dichiarazioni erano già in atti, in quanto già acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. dal giudice di primo grado.
Viene denunciata anche la mancanza del presupposto dell’imprevedibilità, pure richiesto per l’acquisizione delle dichiarazioni divenute irreperibili.
3.2. I ricorrenti si dolgono anche della declaratoria d’inammissibilità dell’appello incidentale da loro proposto in data 20.11.2024, in ragione della sopravvenuta novellazione dell’art. 593, comma 2, cod. proc. pen., che si assume applicabile al caso in esame, alla luce della sentenza delle Sezioni Unite c.d. Lista (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Rv. 236537 – 01), così che la corte di appello ha errato a dichiaralo inammissibile.
Denunciano, quindi, la mancata valutazione delle memorie difensive depositate ai sensi dell’art. 121 cod. proc. pen..
Concludono per l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME NOME Ł inammissibile.
1.1. Per come evidenziato dallo stesso ricorrente, la corte di appello ha ritenuto che COGNOME fosse responsabile del tentativo di estorsione in danno di NOME COGNOME sulla base dei verbali di trascrizione delle intercettazioni ambientali eseguite presso la sala d’attesa della Stazione dei Carabinieri di Poggioreale e in forza dalla denuncia sottoscritta da un gruppo di commercianti di INDIRIZZO di Portici.
La ricostruzione del fatto Ł pacifica nel senso che COGNOME (titolare di un’officina meccanica) veniva contattato telefonicamente da COGNOME al quale dava appuntamento presso la propria autofficina, ritenendo che quello lo avesse chiamato per un problema meccanico alla sua automobile.
COGNOME invece, si presentava all’appuntamento presso l’autofficina con tali COGNOME e COGNOME che COGNOME non conosceva.
Una volta fatte le presentazioni, COGNOME si allontanava e restava in disparte, lasciando COGNOME solo con i due sconosciuti. In quel frangente, COGNOME e COGNOME attuavano la richiesta estorsiva, dicendo alla vittima che il ‘regalo’ che prima faceva ai Sarno ( clan mafioso) doveva farlo a loro.
Fatta la richiesta, i due andavano via insieme a COGNOME e con la sua autovettura. I due non si sarebbero piø ripresentati.
Va detto incidentalmente che NOME e NOME sono stati condannati in via definitiva per questo tentativo di estorsione, aggravato dalle modalità mafiose.
1.2. I giudici della doppia sentenza conforme -oltre a inquadrare il fatto in un contesto di occupazione mafiosa del territorio- hanno ritenuto il concorso di COGNOME osservando che la condotta da lui realizzata fosse significativa della sua consapevolezza delle ragioni per accompagnava COGNOME e NOME presso COGNOME.
In tal senso hanno evidenziato che era stato lui a telefonare in tarda serata alla vittima
designata, chiedendo con urgenza un appuntamento, facendo credere di avere bisogno di un intervento tecnico sulla sua autovettura, celandogli le ragioni dell’incontro e sottacendo che sarebbe arrivato con i due mafiosi, a lui noti.
COGNOME, inoltre, si allontanava durante l’interlocuzione tra gli estortori e la loro vittima, così dimostrando di conoscere il tema ‘scabroso’ che COGNOME e NOME avrebbero introdotto in danno di COGNOME. Era sempre COGNOME che riaccompagnava i due mafiosi con la propria autovettura, dopo la richiesta estorsiva.
I giudici osservano, inoltre, che COGNOME non aveva mai dichiarato di essere stato costretto a tenere quella condotta, così che, quanto ritenuto dal giudice della cautela (ossia che forse COGNOME era stato costretto) era una mera ipotesi del G.i.p., non confermata da alcuna emergenza investigativa.
Sulla base della ritenuta consapevolezza delle ragioni dell’incontro e della matrice mafiosa della stessa -in quanto evocativa di un gruppo mafioso che si sostituiva a quello precedentemente egemone- i giudici della doppia sentenza conforme hanno ritenuto la responsabilità di COGNOME per concorso nel tentativo di estorsione, aggravato dalle modalità mafiose per i quali hanno già riportato condanna definitiva COGNOME e NOMECOGNOME
I giudici, inoltre, hanno rimarcato come l’assoluzione di COGNOME per il reato di associazione mafiosa non fosse di ostacolo a tale affermazione di responsabilità.
La corte di appello, inoltre, in ragione della ritenuta consapevolezza dell’appartenenza di COGNOME e NOME a un sodalizio mafioso, ha esteso anche a COGNOME l’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3 cod. pen., ossia quella della violenza o minaccia posta in essere da persona che fa parte dell’associazione di cui all’articolo 416bis cod. pen..
1.2.1. Ciò premesso, va evidenziato che le censure esposte in punto di partecipazione all’estorsione sono inammissibili perchØ vanno collocate nel paradigma del travisamento del fatto, in quanto la sentenza impugnata viene sostanzialmente censurata per non avere accolto la ricostruzione fattuale proposta dalla difesa, sulla base di una lettura delle emergenze istruttorie alternativa a quella ritenuta dalla corte di appello.
Le questioni sollevate, infatti, si risolvono in una valutazione delle risultanze processuali alternativa a quella ritenuta dai giudici di merito, non scrutinabile in sede di legittimità.
Da qui l’inammissibilità del motivo, atteso che «il giudice di legittimità, investito di un ricorso che proponga una diversa valutazione degli elementi di prova (cosiddetto travisamento del fatto), non può optare per la soluzione che ritiene piø adeguata alla ricostruzione dei fatti, valutando l’attendibilità dei testi e le conclusioni dei periti e consulenti tecnici, potendo solo verificare, negli stretti limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il risultato della prova sia quello indicato dal giudice di merito, sempre che questa verifica non si risolva in una valutazione della prova. (…)» (Sez. 4, n. 36769 del 09/06/2004, COGNOME, Rv. 229690 – 01).
1.2.2. Le obiezioni mosse in merito alle due aggravanti sono manifestamente infondate.
Quanto all’aggravante della modalità mafiose, va ribadito che «Ł configurabile la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416bis .1 cod. pen., nel caso in cui le modalità esecutive della condotta siano idonee, in concreto, a evocare, nei confronti dei consociati, la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso, quand’anche quest’ultima non sia direttamente indirizzata sui soggetti passivi, ma risulti comunque funzionale a una piø agevole e sicura consumazione del reato (Sez. 1, n. 38770 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283637 – 01).
La circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416bis .1, comma primo, cod. pen.), in quanto riferita alle modalità di realizzazione dell’azione criminosa, ha natura oggettiva ed Ł valutabile a carico dei concorrenti, sempre che siano stati a conoscenza dell’impiego del metodo mafioso ovvero l’abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa (Sez. 4, n. 5136 del 02/02/2022, COGNOME Rv. 282602 – 02).
La motivazione della sentenza impugnata rispetta i principi di diritto ora richiamati.
Invero, una volta ritenuta la consapevolezza della condotta dei due estortori e della sua finalità e della loro appartenenza a un sodalizio mafioso, può logicamente ritenersi sussistente la ragionevole percezione e la compartecipazione all’azione delittuosa materialmente perpetrata dai due correi, con il pieno e consapevole contributo agevolatore dell’odierno ricorrente, che si Ł reso parte attiva nel contattare e sostanzialmente intrappolare la vittima, che di fatto consegnava agli esecutori materiali dell’estorsione.
Peraltro, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, ai fini della configurabilità dell’aggravante della modalità mafiose non Ł necessaria l’effettiva esistenza dell’associazione criminale nØ -tanto meno- che l’agente vi faccia parte, bastando il rafforzamento della portata minatoria e intimidatrice della richiesta, grazie all’evocazione della sua provenienza da un gruppo criminale mafioso.
In tal senso, va ribadito che «la contestazione dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203), non presuppone necessariamente un’associazione di tipo mafioso costituita, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa» (Sez. 2, n. 36431 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277033 – 01; Sez. 5, n. 21530 del 08/02/2018, COGNOME, Rv. 273025 – 01).
1.2.2. Quanto all’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen., il ricorrente sostiene che essa non può essere ritenuta a carico di COGNOME perchØ l’imputato Ł stato assolto dal reato di cui all’art. 416bis cod. pen..
Anche tale assunto Ł manifestamente infondato, alla luce del principio di diritto a mente del quale «in tema di estorsione, la circostanza aggravante della commissione del fatto ad opera di un partecipe all’associazione di tipo mafioso non richiede che tutti gli agenti rivestano tale qualità e si estende anche ai concorrenti nel reato, trattandosi di circostanza che, ancorchØ soggettiva, attiene alla qualità personale del colpevole (Sez. 5, n. 2910 del 04/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287482 04).
La motivazione della sentenza impugnata Ł conforme all’enunciato principio di diritto, giacchŁ, anche in questo caso Ł stata valorizzata la piena compartecipazione di COGNOME alla condotta di COGNOME e COGNOME della cui qualifica criminale era pienamente consapevole.
1.3. La presenza di una puntuale motivazione su tutte le questioni sollevate con il gravame dimostra la manifesta infondatezza anche dell’ulteriore censura, secondo cui la corte di appello si sarebbe limitata a richiamare i contenuti della sentenza di primo grado.
1.4. Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
1.4. L’esito del giudizio e la soccombenza che ne consegue portano alla condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla costituita parte civile, nella misura liquidata in dispositivo.
2. I ricorsi di NOME NOME e di NOME NOME sono fondati.
Va ricordato in punto di fatto che gli odierni ricorrenti sono stati assolti in primo grado e poi condannati in appello sulla base di un compendio probatorio immutato, costituito dalle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari dai coniugi NOME COGNOME e NOME che, nelle more del giudizio, diventavano irreperibili, così che le loro dichiarazioni non venivano raccolte in dibattimento nel contraddittorio delle parti e venivano acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., mediante lettura.
La Corte di appello ha ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado richiamando la
sentenza delle Sezioni Unite n. 11586 del 30/09/2021, là dove afferma che «la riforma, in grado di appello, della sentenza di assoluzione non Ł preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva sia divenuta impossibile per decesso del dichiarante, e tuttavia la relativa decisione deve presentare una motivazione rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, acquisibili dal giudice anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., ivi compresa la possibilità di lettura delle dichiarazioni predibattimentali già rese dal suddetto deceduto» (Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808 – 01).
I ricorrenti osservano che nel fatto sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite i testimoni erano stati sentiti in primo grado e la loro audizione era divenuta irripetibile solo in grado di appello, mentre, nel caso in esame, i dichiaranti non sono stati sentiti nØ in primo grado, nØ in appello, così non potendo trovare applicazione i principi applicati dalla Corte di appello.
Così inquadrata la questione sollevata dalle difese, va osservato che quanto alle condizioni necessarie per pervenire alla condanna dell’imputato sulle base delle dichiarazioni di testimoni che l’imputato non ha avuto la possibilità di esaminare, senza violare l’art. 6 della CEDU, si Ł di recente nuovamente pronunciata la Corte EDU (Terza Sezione, 29 aprile 2025, Jaupi c. Albania, n. 23369/16), che si Ł espressamente ricollegata alla sentenza pronunciata nel caso COGNOME e COGNOME c. Regno Unito, del 15 dicembre 2011, con la quale la Grande Camera ha ammesso la possibilità che una sentenza di condanna si fondi in via esclusiva o determinante sulle dichiarazioni predibattimentali, qualora si appuri che nel corso del procedimento penale sono state adottate adeguate garanzie compensative di natura procedurale, le quali sovvengono a controbilanciare il pregiudizio arrecato ai diritti della difesa; nell’ambito di tali garanzie procedurali, in particolare, vengono dalla Corte annoverati anche i riscontri intrinseci ed estrinseci di attendibilità del dichiarante.
Successivamente, la Grande Camera, con la sentenza RAGIONE_SOCIALE c. Germania, del 15 dicembre 2015, ha chiarito che il cd. ‘Al-Khawaja test’ può rendersi necessario anche quando la prova non sia esclusiva nØ determinante, poichØ alla Corte spetta comunque di valutare l’equità complessiva del procedimento, precisando, altresì, che quanto maggiore risulta la rilevanza probatoria delle dichiarazioni predibattimentali, tanto piø intense dovranno palesarsi le garanzie compensative.
I principi appena evocati sono stati recepiti dalla giurisprudenza di legittimità.
Al riguardo, infatti, si Ł affermato che le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. possono costituire, conformemente all’interpretazione espressa dalla Grande Camera della Corte EDU con le sentenze 15 dicembre 2011, COGNOME e COGNOME c/Regno Unito e 15 dicembre 2015, Schatschaachwili c/Germania, la base «esclusiva e determinante» dell’accertamento di responsabilità, purchØ rese in presenza di «adeguate garanzie procedurali», individuabili nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto, tra i quali possono rientrare anche le dichiarazioni dei testi indiretti, che hanno percepito in ambiente extra-processuale le dichiarazioni accusatorie della fonte primaria, confermandone in dibattimento la portata (Sez. 2, n. 15492 del 05/02/2020, C., Rv. 279148 – 01, la quale ha precisato che ciò che rafforza la credibilità della dichiarazione predibattimentale non Ł il contenuto omologo e derivato della dichiarazione de relato , quanto la circostanza che il dichiarante assente abbia riferito ad altri i contenuti accusatori introdotti nel fascicolo del dibattimento attraverso l’art. 512 cod. proc. pen.). Si Ł anche precisato che le solide garanzie procedurali richieste dalla Corte EDU possono essere individuate nella esistenza di elementi di riscontro che corroborino quei contenuti dichiarativi (Sez. 6, n. 50994 del 26/03/2019, D., Rv. 278195 – 03).
Riconducendo tali principi al caso in esame, si rileva che le dichiarazioni acquisite mediante lettura, oltre a rivestire una valenza probatoria esclusiva, non risultano raccolte con garanzie procedurali, tali da compensare la mancata sottoposizione dei dichiaranti al contraddittorio delle parti.
4.1. Quanto alla valenza probatoria esclusiva, le dichiarazioni rese dai coniugi NOME COGNOME e NOME e il riconoscimento fotografico da loro effettuato siano gli unici elementi a carico di COGNOME NOME e di COGNOME
Tale determinante esclusività probatoria avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a una rigorosa applicazione del cd. ‘Al-Khawaja test’, iniziando da un attento scrutinio delle modalità di raccolta, appurando la compatibilità delle dichiarazioni con i dati di contesto, l’esistenza di testi indiretti che hanno percepito in ambiente extra-processuale le dichiarazioni accusatorie della fonte primaria, confermandone in dibattimento la portata, ovvero l’esistenza di elementi di riscontro che corroborino i contenuti dichiarativi e, soprattutto, se, nella raccolta delle dichiarazioni, siano state adottate adeguate garanzie compensative di natura procedurale, le quali devono sovvenire a controbilanciare il pregiudizio arrecato ai diritti della difesa.
Nella motivazione della sentenza impugnata non si rinviene questo sforzo accertativo, tanto piø necessario ove si consideri che essa ha ribaltato l’esito assolutorio della sentenza di primo grado, così richiedendosi una motivazione rafforzata, anche in relazione alla ritenuta utilizzabilità probatoria delle dichiarazioni di che trattasi, negata dal Tribunale.
Il giudice di primo grado, invero, aveva rilevato la mancanza delle garanzie procedurali compensative dell’assenza del contraddittorio, osservando che le dichiarazioni era state assunte in maniera definita ‘anomala’, visto che i coniugi venivano sentiti congiuntamente, con NOME che fungeva da interprete anche per la moglie, così risultando indistinguibile il patrimonio conoscitivo dell’uno e dell’altra, tale da non permettere l’autonoma valutazione delle loro dichiarazioni, anche sotto il profilo della loro coerenza, convergenza, spontaneità e non contraddittorietà.
Le osservazioni del giudice di primo grado sono state superate dalla corte di appello con un’assertiva quanto apodittica affermazione secondo cui doveva ritenersi che le dichiarazioni di dei due coniugi rumeni «avessero detto le stesse cose, sì da giustificare, in coloro che li stavano ascoltando, la scelta, verosimilmente dovuta all’urgenza delle indagini, di redigere un solo verbale».
Va rilevato come le argomentazioni esposte dalla corte di appello -oltre che il frutto di valutazioni soggettive, prive di oggettività e per ciò solo manifestamente illogiche- non elidono il dato oggettivo costituito dalle modalità di assunzione delle dichiarazioni dei due unici accusatori degli odierni ricorrenti.
La Corte di merito non attua nessuno scrutinio sulle modalità di raccolta delle dichiarazioni e non spiega come possano attribuirsi i connotati di una garanzia procedurale compensativa dell’assenza del contraddittorio alle dichiarazioni rese nel corso di un’audizione simultanea e sovrapposta dei due accusatori, tale da rendere indistinguibile quanto riferito dall’uno rispetto a quanto narrato dall’altra, così da rendere impossibile l’autonoma valutazione della credibilità di ciascuno.
In realtà, una tale modalità (non solo non costituisce una garanzia procedurale compensativa, ma) aggiunge un ulteriore vulnus al diritto di difesa, visto che gli imputati, oltre a non avere potuto sottoporre a contraddittorio i propri accusatori, non sono stati neanche messi nelle condizioni di distinguere le dichiarazioni dell’uno e dell’altra, così vedendosi preclusa ogni possibilità di verificare la stessa credibilità intrinseca di NOME e di NOME COGNOME.
Verifica, peraltro, resa necessaria da quanto esposto dal giudice di primo grado che, nel negare la valenza probatoria di tali dichiarazioni, ha osservato che NOME COGNOME era legato ai fratelli COGNOME da gravi cointeressenze illecite, ragione per la quale potrebbe essere portatore di ragioni di risentimento verso gli stessi.
La corte di appello, ancora, non si preoccupa di superare -nØ supera- tale ulteriore rilievo del
giudice di primo grado, il quale ha, altresì, rimarcato che le dichiarazioni dei due accusatori erano rimaste prive di riscontri estrinseci in relazione alle posizioni di COGNOME Alfonso e di COGNOME Emanuele.
Nessun elemento estrinseco di corroborazione delle dichiarazioni in questione viene indicato dalla corte di appello che, anche su tale punto decisivo, risulta silente, così violando l’obbligo di motivazione rafforzata che richiede l’indicazione di elementi ulteriori capaci di superare le argomentazioni della sentenza di primo grado e, al contempo, eludendo i criteri del cd. ‘Al-Khawaja test’, mancando ogni disamina delle condizioni richieste per il suo superamento.
Da ciò consegue l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, che rinnoverà il giudizio tenendo conto dei precedenti rilievi.
4.2. I restanti motivi restano assorbiti.
Infine, l’Avvocato NOME COGNOME ha chiesto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME NOME non ricorrente, con estensione degli effetti dell’impugnazione di COGNOME NOME e di COGNOME NOME alla posizione di COGNOME NOME.
Tale richiesta, però, non può avere alcun seguito, atteso che quello della estensione degli effetti della sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di cassazione Ł tema che interessa la Corte di appello nel giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 627, comma 5, ultima parte, cod. proc. pen., ma non la Corte di cassazione.
P.Q.M
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME Alfonso e NOME NOMECOGNOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato COGNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile A.L.I.L.A.C.C.O. SOS impresa in persona del legale rappr.te pro tempore, che liquida in complessivi euro 3.686/00, oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 06/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME