Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20031 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20031 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di: COGNOME NOMECOGNOME nato in Germania il 04/10/1970, avverso la sentenza emessa in data 03/07/2024 dalla Corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Con sentenza del 3 luglio 2024 la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza emessa il 18 dicembre 2019 dal Tribunale del medesimo capoluogo, che aveva riconosciuto la responsabilità dell’imputato per i fatti di ricettazione di ciclomotori ascritti in imputazione, rendendo equivalenza tra l’attenuante speciale prevista dal quarto comma dell’art. 648 cod. pen. e la recidiva qualificata riconosciuta ed unificando i distinti reati sotto la disciplina della continuazione.
1.1. La Corte rigettava il motivo di gravame speso in tema di circostanze attenuanti generiche e quello che invocava la concessione della sospensione condizionale della pena.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, a ministero del difensore all’uopo officiato, deducendo i vizi esiziali di motivazione e le violazioni della legge penale e processuale penale (art. 606, comma 1, lett. b, c ed e, cod. proc. pen.), per avere la Corte di appello, in perfetta consonanza con la decisione di primo grado:
2.1. confermato l’affermazione di responsabilità dell’imputato, senza tener conto della labile contraddittorietà delle prove, utilizzando evidenze formate fuori dal contraddittorio ed elementi indiziari di dubbia significatività;
2.2. utilizzato ai fini del decidere le dichiarazioni predibattimentali rese alla polizia giudiziaria dalla persona trovata nel possesso di uno dei due ciclomotori oggetto di imputazione, che conduceva la polizia giudiziaria presso il locale ove aveva acquistato il detto ciclomotore ed ove la polizia giudiziaria rinveniva altro ciclomotore provento di delitto; tali dichiarazioni erano acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen.; tanto in contrasto con il testo dell’art. 111 (commi quarto e sesto) della Costituzione e con l’interpretazione del diritto convenzionale offerta dalla Corte europea dei diritti umani sul testo dell’art. 6 CEDU. In particolare, la difesa del ricorrente si duole del fatto che le dichiarazioni predibattimentali dell’unica fonte di prova dichiarativa (soggetto ritenuto irreperibile, senza procedere ad accertamenti specifici anche all’estero) siano state recuperate, attraverso lettura, al dibattimento (art. 512 cod. proc. pen.), nonostante l’evidenza originaria della precaria presenza nello Stato e nonostante la fonte informativa si fosse sempre volontariamente sottratta all’esame della difesa nel contraddittorio. Su tali aspetti la Corte, pur sollecitata da specifici motivi di gravame, nessuna pertinente argomentazione aveva opposto, limitandosi ad evidenziare che l’identificazione dell’imputato era avvenuta sulla base della condotta concludente (non consistente in dichiarazioni verbalizzate inserite in ambito procedimentale) del soggetto informato e del verbale di sequestro
(valorizzato anche dalla sentenza di primo grado); il medesimo vizio rileverebbe anche sotto l’aspetto-della violazione degli artt. 512 bis, 526, comma 1 bis, cod. proc. pen. e 111 Cost., non potendo la Corte fondare la decisione di conferma sulle dichiarazioni predibattimentali di soggetto che, per libera scelta o strategia personale e processuale, ha deciso di sottrarsi al contraddittorio;
2.3. redatto una motivazione meramente apparente ed assertiva in tema di riconoscimento della recidiva specifica, come pure quella sul rifiuto della invocata prevalenza della riconosciuta attenuante speciale del fatto lieve (art. 648, comma quarto, cod. pen.);
2.4. Ancora, i medesimi vizi sono denunziati in riferimento alla dosimetria della pena, eccessivamente rigorosa, al rifiuto di riconoscere le circostanze attenuanti generiche alla misura dell’aumento per la continuazione interna.
2.5. Infine, le medesime censure si appuntano sulla decisione di non concedere la sospensione condizionale della pena, argomentata in maniera del tutto apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi di ricorso si palesano infondati, ma in modo non manifesto, in quanto si confrontano comunque con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata, insorgendo (con argomentazioni non condivise dal Collegio) avverso la ratio decidendi che ne argomenta la decisione.
I restanti motivi (terzo, quarto e quinto) sono meramente reiterativi delle censure rigettate dal giudice di appello con congruo e logico argomentare.
1.1-2. I giudici del gravame, confermando la decisione impugnata ed integrando sul punto la motivazione della sentenza di primo grado (che aveva valorizzato non solo l’esame del teste di polizia giudiziaria, che aveva riferito circostanze raccolte nella immediatezza dell’intervento nel corso di attività ispettiva, ma anche il contenuto del verbale di sequestro dei ciclomotori), hanno dato seguito al condiviso orientamento di questa Corte, assolutamente consolidato sul punto, che ha provveduto a definire e delimitare il divieto probatorio della deposizione indiretta resa dall’uff.le di polizia giudiziaria (solo tra le più recenti Sez. 4, n. 16830 del 10/02/2021, Rv. 281073; Sez. 2, n. 29172 del 08/09/2020, Rv. 279811) attenendosi strettamente al dato testuale (conformato dalla Corte costituzionale, sent. 305/2003 e già interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte, n. 36747 del 28/5/2003, Torcasio, Rv. 225469), concludendo che il divieto imposto dall’art. 195, comma 4, del codice di rito opera solo in relazione alle “dichiarazioni” (verbalizzate o meno esse siano) rese nel corso del procedimento,
non ostracizzando invece le libere espressioni verbali rese al di fuori di esso (tra le tante: Sez. 1, n. 33821, del 20/6/2014, Ry.- 263219; Sez. 2, n. 150 del 18/10/2012, dep. 2013, Rv. 254678), intendendo con l’espressione “dichiarazioni”, non le libere espressioni verbali rese nel corso di colloqui estemporanei intervenuti nell’immediatezza del fatto ed essenziali nelle fasi concitate del postfatto, ma solo quelle inserite in un momento dialogico investigativo (un dialogo sincronico) che muove nell’alveo di un procedimento già incardinato. Gli “altri casi” per i quali l’art. 195, comma 4, legittima l testimonianza de auditu dell’uff.le di polizia giudiziaria si riducono, infatti, alle sole ipotesi in cui dichiarazioni di contenuto narrativo siano state rese da terzi e percepite dal teste dibattimentale “al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione delle medesime”, in una situazione operativa eccezionale o di straordinaria urgenza e, quindi, al di fuori di un “dialogo tra teste e ufficiale o agente di p.g., ciascuno nella propria qualità”. Esemplificativamente, si pensi alle frasi pronunciate dalla persona offesa o da altri soggetti presenti al fatto, nell’immediatezza dell’episodio criminoso; alle dichiarazioni percepite nel corso di attività investigative tipiche – quali perquisizioni, accertamenti su luoghi o atipiche – quali appostamenti, pedinamenti e osservazioni (così, in motivazione, le Sezioni unite del 2003, n. 36747).
L’eccepita GLYPH inutilizzabilità GLYPH delle GLYPH dichiarazioni GLYPH rese GLYPH da GLYPH soggetto GLYPH poi volontariamente sottrattosi al contraddittorio, non tiene peraltro conto del differente corredo indiziario convergente (la individuazione dell’imputato e dell’esercizio commerciale da questi gestito, il sopralluogo di polizia giudiziaria, la perquisizione ed il conseguente sequestro dei ciclomotori), autonomamente utilizzabile sia per la ricettazione ritenuta più grave che per quella satellite.
Il ricorrente ha comunque dedotto che la decisione sarebbe illegittimamente fondata sulle dichiarazioni rese in indagini preliminari dalla persona che era in possesso del ciclomotore provento di furto, acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen.. Tale fonte narrativa doveva ritenersi prevedibilmente precaria, sin dalla fase delle indagini preliminari, in ogni caso nessuna particolare ricerca successiva all’estero (Paese di nascita e di residenza) ha accompagnato la stimata irreperibilità. Non poteva dunque attingersi alla clausola derogatoria del principio di formazione dibattimentale della prova (art. 111 Cost.) in difetto dei presupposti della imprevedibilità e della infruttuosa ricerca.
Orbene, la difesa elude il tema probatorio centrale della decisione impugnata. Non si tratta qui infatti di porsi in difformità rispetto alla ratio decidendi espressa dalla Grande Camera della Corte EDU nelle sentenze 15 dicembre 2011, COGNOME e COGNOME c/ Regno Unito e 15 dicembre 2015, Schatschaachwili ci Germania, quanto piuttosto di apprezzare l’argomento speso per il recupero, a fini
decisori, delle dichiarazioni predibattimentali rese dalla persona non più rinvenuta all’atto della citazione dibattimentale (per quanto compiutamente identificata e ricercata presso gli indirizzi conosciuti).
Si tratta, quindi, di evocare i “bilanciamenti procedurali” utili per validare la credibilità della testimonianza cartolare acquisita nella fase investigativa in assenza di contraddittorio (Sez. 2, n. 15492, del 5/2/2020, Rv. 279148; Sez. 2, n. 19864 del 17/04/2019 – dep. 09/05/2019, COGNOME, Rv, 276531; Cass. sez. 6, n. 2296 det 13/11/2013 – dep. 20/01/2014, COGNOME, Rv. 257771), al fine di valorizzare, come accaduto nel giudizio di merito, altre dichiarazioni legittimamente attinte presso la fonte dichiarativa privilegiata, che ha pure percepito in ambiente extraprocessuale (nella immediatezza dei fatti) le dichiarazioni accusatorie dalla fonte primaria, il cui recupero dibattimentale non appare comunque aver violato la normativa processuale che disciplina l’istituto. Anzi, nel giudizio di merito diffusamente si argomenta, in forma logica e congruente con i dati di fatto disponibili, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per attingere alla previsione recuperatoria di cui all’art. 512 cod. proc. pen.
Diverso è il profilo afferente alla presa d’atto della volontà di sottrarsi all’esame in contraddittorio, essendo sufficiente -ai fini della esclusione della prova dal panorama degli elementi utilizzabili- la mera volontarietà dell’assenza del teste, per libera scelta determinata da un qualsivoglia motivo interno; sempre che non siano ravvisabili elementi esterni, determinanti la scelta, che volgano in direzione contraria (Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D.F., Rv. 250198).
La questione doveva esser valutata, nel merito, alla luce di quanto dispone l’art. 6 CEDU, così come interpretato dalle decisioni della Corte EDU. Sul punto, i più recenti indirizzi interpretativi della Corte di legittimità, invero, ammettono la possibilità che l’accertamento della penale responsabilità si fondi sulle dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., purché rese in presenza di «adeguate garanzie procedurali», individuabili nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto (Sez. 2, n. 19864 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 276531, parzialmente difforme da Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D.F., Rv. 250199).
Ritiene il Collegio, sul punto dedotto, che, per quanto non sia necessario (ai sensi di quanto previsto dal comma 1 bis dell’art. 526 del codice di rito) che venga in rilievo la specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, occorre pur sempre che il soggetto possa aver contezza della prevedibile necessità di comparizione, in modo che la mancata presenza possa dirsi dipendente da una opzione libera, consapevole ed informata: in tale prospettiva la circostanza che il dichiarante sia
POI risultato irreperibile, senza aver ricevuto notizia della citazione, suffraga sul piano sintomatico l’assunto che la mancata comparizione in giudizio non abbia
costituito il risultato di una scelta (libera, consapevole ed informata), in assenza di elementi dai quali quella scelta possa essere se del caso desunta (così, Sez. 2,
n. 36515 del 16/07/2019, COGNOME, non massimata sul punto). Del resto, anche in caso di irreversibile ed esiziale irreperibilità, per essere la fonte deceduta (Sez. U,
n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, Rv. 282808 – 01), la presenza di elementi esterni di rafforzamento della “conoscenza esaurita” è idonea a comportare
addirittura il ribaltamento della precedente decisione di proscioglimento.
2.3. Quanto ai successivi motivi di ricorso (spese in tema di qualificazione circostanziale del fatto e trattamento sanzionatorio), la Corte argomenta (sia pur
succintamente) ogni altra decisione assunta, valorizzando elementi di fatto non controversi e misurando con parsimonia la sanzione e l’aumento per la
continuazione (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, COGNOME, Rv. 275057 – 01).
Nessuna particolare evidenza legittima il riconoscimento delle circostanze innominate, così come il bilanciamento recessivo della recidiva, che fonda sulla
specificità dei precedenti penali, indicativi di professionalità nel settore (Sez. 3, n.
54179 del 17/07/2018, D., Rv. 275440 – 01).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso 1’11 aprile 2025.