Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9597 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9597 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/02/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a MUGNANO DI NAPOLI il 21/10/1969 NOME COGNOME nato a AVERSA il 03/12/1986 avverso la sentenza del 28/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME uditi i difensori degli imputati: avv.to COGNOME per COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; avv.to COGNOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento della sentenza; avv.to COGNOME per COGNOME il udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso COGNOME e dichiararsi l’inammissibilità del ricorso COGNOME quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 28 giugno 2024, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Napoli Nord datata 9-3-2023, riduceva la pena inflitta a COGNOME NOME ad anni 12 di reclusione ed € 4.000 di multa ed a COGNOME NOME ad anni 10 di reclusione ed € 3700 di multa, in ordine ai delitti di concorso in rapina aggravata, ricettazione, detenzione illecita e porto abusivo di armi agli stessi contestati nonchØ, al solo COGNOME, di induzione a rendere dichiarazioni mendaci (art. 377 bis cod.pen).
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati tramite i rispettivi difensori; l’avv.to COGNOME per COGNOME deduceva, con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:
violazione dell’articolo 606 lettera d) cod.proc.pen. per mancata assunzione di una prova decisiva in ordine ai fatti per cui si procede relativamente al capo e) dell’imputazione e cioŁ il delitto di cui all’articolo 377 bis codice penale; al proposito si rappresentava che benchØ fosse indubbio che il ricorrente avesse percosso il dichiarante NOME COGNOME le ragioni per cui quest’ultimo si era avvalso della facoltà di non rispondere in sede di esame dibattimentale non potevano ricondursi a tale scontro posto che i due erano stati già da tempo allontanati e ristretti presso diverse sezioni
della casa circondariale; risultava, pertanto, indispensabile procedere all’escussione del Direttore del carcere al fine di accertare le modalità dell’episodio di intimidazione nonchØ verificare sei tra i due detenuti vi fossero mai stati degli screzi; risultava altresì decisiva l’escussione di un teste (il commercialista dott. COGNOME COGNOME, al fine di dimostrare l’alibi del ricorrente COGNOME il giorno della rapina; la mancata assunzione delle prove a discarico comportava una violazione del diritto alla prova di cui all’articolo 495 comma secondo cod.proc.pen.;
-violazione dell’articolo 606 lettera b) cod.proc.pen. erronea applicazione degli articoli 468 e 493 stesso codice di rito in relazione alla omessa indicazione, nella lista del P.M., degli altri correi (soggetti da escutere ex articolo 210 cod.proc.pen.), la cui posizione era stata definita in sede di rito abbreviato; all’omessa indicazione nella predetta lista conseguiva l’impossibilità di essere sentiti nel dibattimento senza che, pertanto, avesse alcun rilievo il successivo avvenuto rifiuto di rispondere da parte degli stessi che aveva poi provocato l’acquisizione delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini;
violazione dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen. e violazione delle norme sulla corrispondenza tra fatto contestato e fatto ritenuto ex artt. 521 e 522 cod.proc.pen., nullità della sentenza impugnata; il COGNOME era stato chiamato a rispondere di concorso nella rapina di cui al capo A) quale esecutore materiale e risultava, invece, condannato a titolo di concorso morale per avere presenziato all’azione criminosa dei correi; erano state violate le regole della Corte E.D.U. fissate nelle sentenze COGNOME con conseguente nullità della pronuncia;
violazione dell’art. 606 lett. e) cod.proc.pen., mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla affermazione di responsabilità per tutti i capi di imputazione in assenza di adeguato materiale probatorio; la corte di appello non aveva precisato da quali conversazioni intercettate poteva desumersi la colpevolezza del ricorrente affidandosi a supposizioni e congetture incorrendo poi nella violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio;
violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod.proc.pen. quanto alla negazione delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.
2.1 Gli avv.ti COGNOME e COGNOME nell’interesse di COGNOME NOME, deducevano con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp.att. cod.proc.pen.:
contraddittorietà della motivazione ex art. 606 lett. e) cod.proc.pen. e travisamento della prova, con riferimento alle modalità di acquisizione della stessa nel corso dell’istruzione dibattimentale; si lamentava che l’imputato aveva optato per il rito ordinario, che i coimputati non erano stati indicati nella lista dei soggetti da sentire da parte del P.M. e che, nonostante ciò, il tribunale aveva citato COGNOME Vincenzo ex art. 507 cod.proc.pen.; questi si era poi avvalso della facoltà di non rispondere e, su sollecitazione del P.M., il giudice aveva acquisito le sue dichiarazioni predibattimentali ritenendo sussistere i presupposti dell’art. 500 comma 4 cod.proc.pen.; tuttavia, il reato di cui all’art. 377 bis cod.pen., contestato al capo e), non riguardava la posizione del COGNOME bensì il coimputato, e si era ancora errato nell’acquisizione delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini anche dagli altri due coimputati che pure loro si erano avvalsi della facoltà di non rispondere; nei confronti di questi ultimi, infatti, non si era accertata alcuna azione intimidatoria sicchØ l’acquisizione delle dichiarazioni era avvenuta in violazione dei principi del contraddittorio non potendosi, comunque, estendere l’azione intimidatoria verificata ai danni dello COGNOME anche agli altri;
violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) cod.proc.pen. quanto alla mancata osservanza delle norme in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per essersi negata l’assoluta indispensabilità della stessa; al proposito, si deduceva che aveva errato il giudice di appello: – nel negare l’audizione di COGNOME NOME, soggetto che risultava presente a bordo della vettura e che avrebbe potuto rendere informazioni circa la presenza del COGNOME; – nel non procedere alla
acquisizione di informazioni presso la società portavalori in ordine alla somma di denaro in quel momento trasportata, non potendosi escludere un previo concerto tra autori del fatto e trasportatori; – nell’escludere l’audizione di COGNOME circa il contenuto di conversazioni tra lo stesso e COGNOME; sicchØ, la decisione della corte di appello sul punto, peccava di superficialità ricorrendo nel caso in esame il requisito della decisività delle prove richieste;
violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) cod.proc.pen. quanto alla inutilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni tra presenti ex artt. 267 e 271 cod.proc.pen.; la corte di appello aveva basato l’affermazione di responsabilità del ricorrente sul contenuto delle conversazioni a bordo dell’autovettura Fiat 500 L e ciò benchØ fosse stata eccepita la non utilizzabilità delle stesse, alla luce dell’orientamento secondo cui tale mezzo di ricerca della prova non può essere snaturato in un mezzo per la ricerca delle notizie di reato; inoltre, si era eccepita l’assenza di motivazione del decreto autorizzativo circa l’individuazione della specifica utenza da intercettare e del soggetto da sottoporre a intercettazione; le autorizzazioni erano state disposte prima della consumazione del fatto di rapina di cui al capo A) ed in relazione ad altri episodi delittuosi rispetto ai quali mancavano gli indizi di riferibilità anche al COGNOME; da ciò doveva desumersi che erano state disposte intercettazioni preventive sulla base di meri spunti di Polizia per la ricerca di notizie di reato senza che sussistesse alcun elemento che collegava l’imputato agli episodi di rapina in precedenza consumati; esclusa l’utilizzabilità della conversazione effettuata a bordo della Fiat 500 L il 25 gennaio 2021, non residuavano altri elementi di prova a carico del ricorrente;
erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’aumento di pena per la recidiva e ciò benchØ la stessa non fosse stata applicata dal giudice di primo grado che non aveva operato a tale titolo alcun aumento di pena, con sostanziale disapplicazione della circostanza predetta e conseguente illegalità della sanzione inflitta in appello.
2.2 Con ricorso del solo avv.to COGNOME si deduceva ancora:
contraddittorietà della motivazione ex art. 606 lett. e) cod.proc.pen. quanto alle modalità di acquisizione della prova in dibattimento; aveva errato la corte di appello nel motivare con riferimento alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 507 cod.proc.pen. senza analizzare il motivo di appello in ordine alla non applicabilità della disciplina dettata dall’art. 500 comma 4 cod.proc.pen.;
-violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) cod.proc.pen. in tema di omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale;
erronea applicazione della legge penale ed illegalità della pena inflitta quanto al riconoscimento della recidiva in appello ed in relazione all’aumento di pena ex art. 81 comma 4 cod.pen. pur in assenza di corrispettivo aumento disposto in primo grado dal Tribunale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo del ricorso COGNOME Ł infondato e deve, pertanto, essere respinto. Al proposito basta ricordare come per costante interpretazione della Corte di legittimità il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020 Ud. (dep. 25/01/2021 ) Rv. 280589 – 01); inoltre si Ł affermato come il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, Rv. 247872 – 01).
Orbene, nel caso in esame, il giudice di appello ha svolto ampie argomentazioni poste a sostegno del giudizio di responsabilità del Meles anche in relazione al fatto di cui al capo E) della rubrica, ritenendo del tutto superflua la richiesta di rinnovazione avente natura del tutto esplorativa;
ed invero, l’affermazione difensiva secondo cui COGNOME non avrebbe dovuto avere alcuna remora a testimoniare perchØ allontanato da tempo dallo stesso luogo di detenzione del Meles, trova smentita in quella precisa ricostruzione dell’aggressione patita dal coimputato e delle minacce allo stesso rivolte, così che, a fronte di tale emergenza, correttamente si negava rilevanza decisiva alla deposizione del personale della casa circondariale. Quanto poi alla richiesta di audizione di un teste che avrebbe potuto fornire un supposto alibi, la stessa si rilevava evidentemente puramente esplorativa ed anche tardiva non essendo stato indicato nelle liste della difesa.
Peraltro, il giudice di appello, ha anche motivato sulla superfluità della suddetta richiesta a pagina 18 della motivazione, argomentando specificamente sul punto con conclusioni prive di illogicità così che la lamentata violazione del diritto alla prova non appare pertanto sussistere.
1.1 Anche il secondo motivo del ricorso COGNOME non Ł fondato poichØ, per costante interpretazione adottata anche dalle Sezioni Unite, il giudice può esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 507 cod. proc. pen., anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto; al proposito va osservato come la Corte ha affrontato la questione alla luce della nuova formulazione dell’art. 111 Cost. ed ha ritenuto che condizioni necessarie per l’esercizio di tale potere sono l’assoluta necessità dell’iniziativa del giudice, da correlare a una prova avente carattere di decisività, e il suo essere circoscritto nell’ambito delle prospettazioni delle parti, la cui facoltà di richiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova resta, peraltro, integra ai sensi dell’art. 495 comma secondo cod.proc.pen. (Sez. U, n. 41281 del 17/10/2006, Rv. 234907 – 01); il principio risulta poi ribadito anche dalle sezioni semplici che anche recentemente hanno affermato come il potere-dovere del giudice di disporre attività istruttoria integrativa ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. Ł esercitabile anche in funzione di supplenza dell’inerzia delle parti, allorchØ le lacune e la contraddittorietà del quadro probatorio non consentano la decidibilità del giudizio (Sez. 6, n. 25770 del 29/05/2019, Rv. 276217 – 01).
L’applicazione dei sopra esposti principi comporta proprio il rigetto della doglianza poichØ in alcun vizio appare essere incorso il tribunale nell’adottare l’ordinanza che disponeva ex art. 507 cod.proc.pen. l’audizione dei coimputati giudicati con rito abbreviato che, in quanto imputati del medesimo fatto, erano evidentemente portatori di conoscenza fondatamente ritenute decisive.
1.3 Alcuna violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e quello ritenuto nel giudizio di colpevolezza appare essere poi integrato poichØ COGNOME rinviato a giudizio per rispondere di concorso materiale nella rapina, Ł stato ritenuto avere personalmente partecipato proprio alla fase esecutiva, facendo parte di quel commando che si recava sui luoghi ed assaliva il portavalori, pur con il ruolo di soggetto incaricato di avvisare i coimputati dell’arrivo del mezzo. Sul punto la corte di appello ha già reso ampia esplicitazione delle ragioni della decisione a pagina 14 della motivazione, svolgendo argomenti ineccepibili riferiti al preciso ruolo assunto dal ricorrente nella fase esecutiva che esclude ogni fondatezza alla doglianza.
1.4 Il quarto ed il quinto motivo appaiono proporre doglianze non deducibili nella presente fase di legittimità e manifestamente infondate; sotto il profilo del difetto di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità si ricorda che il sindacato di legittimità, secondo quanto dispone l’art. 606.1 lett. e) cod. proc. pen., Ł circoscritto nei limiti della assoluta “mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato”. Tale controllo di legittimità Ł diretto ad accertare che a base della pronuncia esista un concreto apprezzamento delle risultanze processuali e che la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici, restando escluse da tale controllo non soltanto le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi di prova e la scelta di quelli determinanti, ma anche le incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti,
assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate o con altri passaggi argomentativi utilizzati dai giudici. La verifica di legittimità riguarda cioŁ la sussistenza dei requisiti minimi di esistenza e di logicità della motivazione, essendo inibito dall’art. 606.1 lett. e) cit. il controllo sul contenuto della decisione. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti addotta dai ricorrenti ne’ su altre spiegazioni fornite dalla difesa, per quanto plausibili e logicamente sostenibili (Sez. 6, n. 1662 del 04/12/1995, Rv. 204123). Nel caso in esame, a fronte di una motivazione che in senso conforme a quanto già argomentato dai giudici di primo grado evidenzia l’ampio materiale probatorio sussistente a carico del ricorrente, costituito dal contenuto di alcune conversazioni intercettate oltre che dalle chiamate di correità formulate dai coimputati nelle dichiarazioni acquisite ex art. 500 comma 4 cod.proc.pen. proprio a seguito delle violenze ed intimidazioni poste in essere da COGNOME, il ricorso propone prospettazioni alternative meramente ipotetiche.
Infine, alcuna censura sussiste nella negazione delle attenuanti generiche e nella determinazione della pena ricollegate dal giudice di appello ad argomentazioni relative alle modalità dei fatti esposte in assenza di qualsiasi illogicità a pagina 18 della sentenza impugnata.
2. Anche i ricorsi avanzati nell’interesse del Lametta si rilevano infondati. Il primo motivo di entrambi gli atti di impugnazione prospetta una insussistente violazione di legge e ciò per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, la ricostruzione dei fatti esposta dal giudice di appello a pagina 9 della motivazione, confuta la tesi della avvenuta intimidazione del solo COGNOME con assenza di qualsiasi attività illecita nei confronti dei rimanenti coimputati che potesse giustificare anche per gli stessi l’acquisizione ex art. 500 comma 4 cod.proc.pen.. Con ampi argomenti il giudice di appello ha proprio spiegato che, oltre allo COGNOME, COGNOME aveva posto in essere attività intimidatorie anche nei confronti del COGNOME sicchØ l’acquisizione delle dichiarazioni rese in sede di indagini anche da questi doveva ritenersi pienamente conforme ai presupposti indicati dalla norma. Tale dato viene concretamente ricavato dal giudice di appello da una conversazione intercettata nella quale, proprio COGNOME, fa preciso riferimento alle intimidazioni rivolte al COGNOME le cui dichiarazioni poi venivano acquisite e correttamente utilizzate a sostegno dell’affermazione di responsabilità del COGNOME perchØ sostanzialmente coincidenti con quelle dello COGNOME.
Accertato quindi che sia COGNOME che COGNOME avevano subito aggressioni e minacce, rimane irrilevante la circostanza che autore dei fatti non fosse stato lo stesso COGNOME bensì il coimputato; con diverse pronunce di questa Corte si Ł difatti affermato come l’acquisizione probatoria delle dichiarazioni predibattimentali, che siano state oggetto di contestazioni in dibattimento, Ł determinata dall’apprezzamento di situazioni di compromissione della genuinità dell’esame, che non necessariamente deve ricollegarsi ad un fatto attribuibile all’imputato (Sez. 4, n. 38230 del 19/05/2009, Rv. 245036 – 01; Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, Rv. 273819 – 01). Il presupposto per l’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali ha, quindi, natura essenzialmente oggettiva richiedendosi una verifica incidentale del giudice del dibattimento sull’avvenuta intimidazione del teste o dell’imputato di reato connesso, senza che rilevi quale presupposto imprescindibile che autore delle condotte sia proprio l’imputato, ben potendosi giovare lo stesso di attività poste in essere da terzi al fine di coartare la volontà dei soggetti dichiaranti a conoscenza dei fatti. Nel caso in esame, pertanto, accertata l’avvenuta compromissione della libera volontà dello COGNOME e del COGNOME da parte del coimputato COGNOME correttamente i giudici di merito procedevano all’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali dei medesimi oltre che del terzo coimputato, ed alla loro utilizzazione anche nei confronti di COGNOME.
NØ Ł possibile operare una distinzione tra ritrattazione del teste intimidito ovvero ricorso alla facoltà di non rispondere da parte del coimputato ugualmente coartato per inferirne, così come pure
sostenuto dalla difesa, che nel secondo caso la disciplina dettata dall’art. 500 comma 4 cod.proc.pen. dovrebbe trovare applicazione ancora piø rigorosa in quanto la ratio del permettere l’utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali a fronte di palesi attività intimidatorie Ł essenzialmente identica pur a fronte di distinti mezzi di prova aventi uguale natura dichiarativa.
2.1 Il secondo motivo richiama doglianze già confutate con riferimento alla posizione del coimputato COGNOME al punto 1. della presente motivazione cui si rinvia; il giudice di appello, anche con riferimento alla posizione COGNOME ha proceduto ad una completa e dettagliata analisi del materiale probatorio che rendeva del tutto superflua ogni altra acquisizione istruttoria come espressamente argomentato a pagina 4 prima ed a pagina 11 della motivazione con specifico riferimento al teste COGNOME E le prove richieste appaiono meramente esplorative sia in relazione alle audizioni testimoniali che ad una prospettata complicità di soggetti intranei alla ditta portavalori totalmente ipotetica.
2.2 In relazione al terzo motivo, che deduce l’inutilizzabilità delle intercettazioni per la natura puramente esplorativa delle autorizzazioni emesse, l’evoluzione giurisprudenziale elaborata dalla corte di legittimità esclude che la gravità indiziaria debba essere analoga a quella richiesta per l’applicazione delle misure cautelari nei confronti di un singolo individuo. Si Ł al proposito affermato come l’autorizzazione a disporre l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione presuppone l’esistenza di gravi indizi di reato e l’indispensabilità dell’intercettazione. L’apprezzamento di tali condizioni investe la prospettazione, attraverso elementi definibili gravi per la loro concreta attendibilità, dell’esistenza di un fatto penalmente sanzionato, compreso tra quelli indicati nel primo comma dell’art. 266 cod. proc. pen., quali che siano i modi con cui la notizia Ł stata acquisita e la fonte da cui promana, dovendo valutarsi gli elementi sintomatici di un reato e non quelli della riferibilità soggettiva di questo; ciò in conformità del dettato normativo, che fa riferimento ai “gravi indizi di reato” e non ai “gravi indizi di colpevolezza”, espressione usata in tema di applicazione di misure cautelari personali dall’art. 273 stesso codice (Sez. 1, n. 4979 del 11/07/2000, Rv. 216747 – 01). Piø recentemente il principio Ł stato ribadito da altre pronunce secondo cui i gravi “indizi di reato”, presupposto per il ricorso alle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, attengono all’esistenza dell’illecito penale e non alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicchØ per procedere legittimamente ad intercettazione non Ł necessario che tali indizi siano a carico di persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano essere captate a fine di indagine (Sez. 1, n. 2568 del 18/09/2020 Cc. (dep. 21/01/2021 ) Rv. 280354 – 01; negli stessi termini: Sez. 2, n. 42763 del 20/10/2015, Rv. 265127 – 01).
L’applicazione del sopra esposto principio comporta proprio affermare la non fondatezza del motivo posto che, a fronte dell’accertata verificazione di gravi fatti di rapina già avvenuti nello stesso territorio, deve essere escluso che le intercettazioni siano state disposte in via preventiva per la ricerca di notizie di reato, essendosi i gravi fatti già verificati e procedendosi alla raccolta di elementi di prova sugli stessi. E difatti nel caso in esame il decreto, richiamando la già avvenuta verificazione di precedenti gravi episodi, autorizzava l’intercettazione con riferimento a COGNOME e COGNOME perchØ soggetti ‘attivi in particolare nella fase di preparazione di rapine’ con ciò espressamente richiamando il collegamento tra indagati e fatti già avvenuti a fronte peraltro della sussistenza di vari precedenti a carico del ricorrente per analoghi episodi delittuosi.
2.3 Quanto all’ultimo motivo, correttamente le conclusioni del procuratore generale rappresentano che nel caso in esame si procedeva alla applicazione della recidiva già in primo grado senza però operare alcun aumento in virtø della sussistenza di piø aggravanti ad effetto speciale e, quindi, dell’applicazione della disciplina mitigatoria ex art. 63 quarto comma cod.pen.. Del resto l’inequivocabile applicazione della recidiva già in primo grado a carico del COGNOME si ricava:
dall’espresso riferimento contenuto nel dispositivo del tribunale in cui viene riconosciuta la recidiva;
da quanto argomentato a pagina 108 della motivazione di primo grado circa la maggiore pericolosità manifestata dall’imputato;
dall’aumento di pena stabilito proprio ex art. 81 comma 4 cod.pen. a pagg. 109 e 110 della stessa pronuncia di primo grado.
Ne consegue, pertanto, che anche tale doglianza deve ritenersi non fondata.
Alla declaratoria di infondatezza consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 05/02/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME