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Dichiarazioni predibattimentali: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9597/2025, ha rigettato i ricorsi di due imputati condannati per rapina aggravata e altri reati. La Corte ha confermato la validità dell’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali dei coimputati che si sono avvalsi della facoltà di non rispondere a causa di intimidazioni subite, specificando che il presupposto per tale acquisizione è di natura oggettiva e non richiede che l’intimidazione provenga direttamente dall’imputato. Sono stati inoltre respinti i motivi relativi alla mancata rinnovazione del dibattimento in appello e all’inutilizzabilità delle intercettazioni.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazioni Predibattimentali: Quando sono Ammissibili in Giudizio?

La recente sentenza n. 9597/2025 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sull’utilizzo delle dichiarazioni predibattimentali nel processo penale, specialmente in contesti complessi segnati da intimidazioni. La Corte ha stabilito che, per acquisire le dichiarazioni rese in fase di indagine da un coimputato che in aula si avvale della facoltà di non rispondere, è sufficiente accertare l’esistenza di una pressione illecita, a prescindere da chi ne sia l’autore. Analizziamo insieme questo caso.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine da una condanna emessa dalla Corte di Appello di Napoli nei confronti di due imputati per una serie di gravi reati, tra cui concorso in rapina aggravata, ricettazione e porto abusivo di armi. Uno degli imputati era stato inoltre condannato per induzione a rendere dichiarazioni mendaci, ai sensi dell’art. 377 bis del codice penale.

Avverso la sentenza di secondo grado, gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni di legittimità. I motivi del ricorso si concentravano su presunti errori procedurali, sulla valutazione delle prove e sulla legittimità di alcuni strumenti investigativi utilizzati.

I Motivi del Ricorso e le Eccezioni sulle Dichiarazioni Predibattimentali

Le difese hanno articolato i loro ricorsi su più fronti, ma il nucleo delle doglianze riguardava la gestione del materiale probatorio.

Un imputato lamentava:
* La mancata ammissione di prove ritenute decisive, come l’audizione di testimoni che avrebbero potuto confermare un alibi o chiarire un episodio di intimidazione in carcere.
* L’erronea acquisizione delle dichiarazioni dei coimputati, non inseriti nella lista testi del Pubblico Ministero.
* La violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

L’altro imputato contestava principalmente:
* La contraddittorietà della motivazione riguardo all’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali di altri coimputati. Secondo la difesa, l’intimidazione era stata esercitata solo su uno di essi e non poteva giustificare l’acquisizione delle dichiarazioni di tutti.
* Il rigetto della richiesta di rinnovare l’istruzione dibattimentale in appello.
* L’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, considerate di natura puramente esplorativa e non supportate da gravi indizi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato integralmente entrambi i ricorsi, ritenendoli infondati. La Corte ha confermato la correttezza dell’operato dei giudici di merito, sia per quanto riguarda la valutazione delle prove che per l’applicazione delle norme procedurali. Di conseguenza, ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Le Motivazioni

La sentenza si sofferma con particolare attenzione sui punti giuridici sollevati dalle difese, offrendo principi di diritto di notevole interesse.

In primo luogo, riguardo all’utilizzo delle dichiarazioni predibattimentali ai sensi dell’art. 500, comma 4, c.p.p., la Corte ha ribadito un principio fondamentale: il presupposto per l’acquisizione è la compromissione della genuinità dell’esame testimoniale dovuta a violenza, minaccia o altre forme di pressione illecita. Tale presupposto ha una natura essenzialmente oggettiva. Ciò significa che è sufficiente accertare che il dichiarante sia stato intimidito; non è necessario che l’autore dell’intimidazione sia l’imputato a cui le dichiarazioni sono sfavorevoli. Nel caso di specie, essendo provato che un coimputato aveva minacciato almeno due dei dichiaranti, i giudici hanno correttamente acquisito le loro dichiarazioni rese in fase di indagine, utilizzandole anche contro l’altro imputato.

Sul tema delle intercettazioni, la Cassazione ha chiarito che il requisito dei “gravi indizi di reato” per autorizzarle non va confuso con i “gravi indizi di colpevolezza” necessari per le misure cautelari personali. Per disporre le intercettazioni è sufficiente che vi siano elementi concreti sull’esistenza di un’attività criminale, non necessariamente sulla responsabilità di un soggetto specifico. Nel caso in esame, le intercettazioni erano state autorizzate sulla base di precedenti episodi di rapina, rendendo legittima la raccolta di prove su fatti analoghi.

Infine, la Corte ha respinto le censure sulla mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello, ricordando che tale decisione rientra nel potere discrezionale del giudice di secondo grado, il quale può negarla quando ritenga il quadro probatorio già sufficientemente completo e le prove richieste non assolutamente necessarie o meramente esplorative.

Le Conclusioni

La sentenza n. 9597/2025 consolida importanti principi in materia di procedura penale. Sancisce che la tutela della genuinità della prova prevale quando si accerta un’intimidazione, consentendo l’uso delle dichiarazioni predibattimentali in base a un criterio oggettivo che prescinde dall’identità dell’intimidatore. Inoltre, riafferma i limiti del sindacato della Cassazione, che non può riesaminare il merito delle valutazioni fattuali dei giudici, ma solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione. Infine, delinea con chiarezza i presupposti per l’utilizzo di strumenti investigativi incisivi come le intercettazioni, bilanciando le esigenze di indagine con le garanzie individuali.

Quando possono essere utilizzate le dichiarazioni predibattimentali di un coimputato che si rifiuta di rispondere in aula?
Possono essere utilizzate quando viene accertato che il rifiuto di rispondere è causato da violenza, minaccia o altra illecita pressione che ha compromesso la libertà del dichiarante. La valutazione è oggettiva: è sufficiente provare l’intimidazione, non è necessario che sia stata posta in essere direttamente dall’imputato contro cui le dichiarazioni vengono usate.

Per autorizzare le intercettazioni sono necessari indizi di colpevolezza a carico di una persona specifica?
No. Per autorizzare le intercettazioni sono necessari ‘gravi indizi di reato’, cioè elementi concreti sull’esistenza di un’attività illecita, non necessariamente ‘gravi indizi di colpevolezza’ a carico di un soggetto determinato. Pertanto, possono essere disposte legittimamente anche per accertare i responsabili di crimini già avvenuti.

Il giudice d’appello è obbligato a riammettere le prove richieste dalla difesa?
No, il giudice d’appello non è obbligato. Il rigetto di un’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è legittimo quando la motivazione della sentenza si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione della responsabilità e le prove richieste non sono ritenute assolutamente decisive o hanno carattere meramente esplorativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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