Dichiarazioni Predibattimentali: Quando e Come Possono Essere Usate in Giudizio?
La testimonianza è uno dei pilastri del processo penale, ma cosa accade quando un testimone mostra incertezze o vuoti di memoria in aula? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale: il valore probatorio delle dichiarazioni predibattimentali, ovvero quelle rese prima del dibattimento. La pronuncia chiarisce in quali condizioni queste dichiarazioni, raccolte spesso nell’immediatezza dei fatti, possano essere validamente utilizzate per fondare una sentenza di condanna, anche quando il testimone in aula appare esitante.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine dalla condanna per rapina aggravata inflitta a un imputato, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello. La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge nella valutazione della prova. Il punto centrale del ricorso era la presunta inattendibilità della persona offesa. Secondo la difesa, le dichiarazioni rese dalla vittima in dibattimento erano discordanti rispetto a quelle fornite nella fase delle indagini preliminari, in particolare riguardo all’elemento della minaccia, fondamentale per configurare il reato di rapina.
La difesa sosteneva che i giudici di merito avessero erroneamente basato la condanna sul recupero delle dichiarazioni predibattimentali, senza considerare le incongruenze e il deficit di memoria manifestato dalla vittima durante l’esame in aula.
La Decisione della Corte e le dichiarazioni predibattimentali
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ritenuto che il motivo di ricorso non facesse altro che riproporre le stesse censure già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. Il cuore della decisione risiede nella corretta applicazione dei principi che regolano l’acquisizione e la valutazione delle dichiarazioni predibattimentali.
La Corte ha ribadito che il giudizio sulla credibilità di un testimone è una valutazione di fatto che spetta esclusivamente ai giudici di merito e non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica o contraddittoria, cosa che in questo caso non è avvenuta.
Le Motivazioni
La motivazione dell’ordinanza si fonda su un principio cardine del diritto processuale penale, sancito dall’articolo 500, comma 2, del codice di procedura penale.
La Conferma in Aula delle Dichiarazioni Predibattimentali
La Corte territoriale aveva evidenziato che la persona offesa, durante l’esame dibattimentale e a seguito delle contestazioni mosse, non aveva mai negato di aver subito minacce. Pur mostrando un deficit di memoria, aveva ribadito la sua volontà di confermare integralmente quanto dichiarato in precedenza.
Secondo la Cassazione, i giudici d’appello hanno applicato correttamente il principio per cui le dichiarazioni predibattimentali usate per le contestazioni, se vengono confermate dal testimone in aula, anche se in modo laconico o generico, vengono recepite e valutate come se fossero state rese direttamente in dibattimento. In pratica, la conferma “salda” la dichiarazione precedente a quella resa in aula, conferendole pieno valore probatorio. Questo meccanismo permette di superare le naturali difficoltà di elaborazione del ricordo che un testimone può manifestare a distanza di tempo, specialmente a seguito di un evento traumatico.
I Limiti del Giudizio di Cassazione
La Suprema Corte ha inoltre ricordato che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio nel merito. Non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella compiuta dai giudici delle istanze precedenti. Il controllo della Cassazione si limita a verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Nel caso specifico, la motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta esente da vizi, in quanto aveva adeguatamente considerato le presunte discrasie e le difficoltà mnemoniche della vittima, giungendo a una conclusione logicamente argomentata sulla sua attendibilità complessiva.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza un importante orientamento giurisprudenziale: la conferma in dibattimento delle dichiarazioni rese in fase di indagini è sufficiente a conferire loro piena efficacia probatoria. Questo principio garantisce che elementi di prova cruciali, raccolti a ridosso dei fatti, non vadano persi a causa di comprensibili difficoltà del testimone nel rievocare i dettagli in un’aula di tribunale, a mesi o anni di distanza. La decisione offre un chiaro monito: un appello basato sulla mera riproposizione di questioni di fatto, come la credibilità di un testimone già vagliata dai giudici di merito con motivazione logica, è destinato all’inammissibilità.
Le dichiarazioni fatte prima del processo (predibattimentali) possono essere usate come prova?
Sì, possono essere usate come prova a tutti gli effetti se il testimone, durante il suo esame in dibattimento, le conferma, anche in modo sintetico o generico. In tal caso, tali dichiarazioni vengono considerate come se fossero state rese direttamente in aula.
Cosa succede se un testimone in aula non ricorda bene i fatti ma conferma quanto detto in precedenza?
Secondo la Corte, anche in presenza di un deficit di memoria, la ferma volontà del testimone di confermare tutto quanto dichiarato in precedenza è sufficiente a rendere quelle dichiarazioni pienamente utilizzabili ai fini della decisione del giudice.
La Corte di Cassazione può stabilire se un testimone è credibile o no?
No, la valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza su quel punto è manifestamente illogica, contraddittoria o viola una specifica norma di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36831 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36831 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME (CUI: 050HPIK) nato a TREVISO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/06/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia che ha confermato la responsabilità dell’imputato e il trattamento sanzionatorio inflitto per il delitto di rapina aggravata;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo alla valutazione della prova e, in particolare, alla ritenuta sussistenza dell’elemento costitutivo della minaccia sulla base del recupero probatorio delle dichiarazioni predibattimentali della p.o., reitera rilievi adeguatamente scrutinati in sede d’appello e disattesi con corretti argomenti giuridici; la difesa dissente sulla valutazione in ordine alla credibilità e genuinità della persona offesa, in considerazione delle discrasie esistenti tra le dichiarazioni predibattimentali e quelle rese in dibattimento, sollecitando una rivalutazione della fonte dichiarativa in questa sede preclusa a fronte di una motivazione esente da profili di manifesta illogicità;
che, a tal proposito, la Corte territoriale ha evidenziato che, a seguito delle contestazioni rivoltele nell’esame dibattimentale, la p.o. non ha mai negato di aver riferito, nell’immediatezza del fatto, di aver ricevuto delle minacce e di essersi sentita, anche solo indirettamente, coartata dall’atmosfera di intimidazione creata dal ricorrente e dai complici, limitandosi a far presente il proprio deficit mnemonico e ribadendo la ferma volontà di confermare in ogni caso tutto quanto in precedenza dichiarato;
che, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone che siano state confermate, anche se in termini laconici, vanno recepite e valutate come dichiarazioni rese dal testimone direttamente in sede dibattimentale, poiché l’art. 500, comma 2, cod. proc. pen. concerne il solo caso di dichiarazioni dibattimentali difformi da quelle contenute nell’atto utilizzato per le contestazioni (Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018, COGNOME, Rv. 273455 – 01;n.17089 del 28/2/2017, COGNOME, Rv. 270091 – 01; n. 10483 del 21/02/2012, COGNOME, Rv. 252707 – 01) e, in esito ad un ampio scrutinio dei contenuti dichiarativi resi dalla p.o., ha confermato l’attendibilità del dichiarante segnalando l’oggettiva difficoltà di elaborazione del ricordo dimostrata dai passi richiamati a pag. 11;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 10 ottobre 2025
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Il Consigliere estensore
Il Presidente