Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1787 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1787 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a Locri il 25/11/1979
avverso la sentenza del 27/06/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME enerale NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile in quanto proposto per motivi manifestamente infondati; udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOME, il quale, dpo la discussione, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27/06/2024, la Corte d’appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza del 05/07/2023 del G.i.p. del Tribunale di Locri, emessa in esito a giudizio abbreviato: 1) confermava la condanna di NOME COGNOME per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di tentata estorsione (così riqualificato il fatto a seguito dell’esclusione della continuazione interna) danni di NOME COGNOME di cui al capo 1) dell’imputazione e di lesione personale aggravata (dall’essere stata commessa per eseguire il reato di tentata estorsione) sempre ai danni di NOME COGNOME di cui al capo 2) dell’imputazione; 2)
rideterminava in tre anni e due mesi di reclusione ed C 1.533,00 di multa la pena irrogata per tali due reati.
Avverso la menzionata sentenza del 27/06/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 210, comma 6, cod. proc. pen. in combinato disposto con gli artt. 63, comma 3, lett. c), e 371, comma 2, lett. b) , cod. proc. pen., «per inutilizzabilità delle dichiarazioni della parte offesa sull’assunto che l’COGNOME «sin dall’inizio, doveva essere ritenuto indagato nella presente procedura».
Lo COGNOME lamenta in proposito che la Corte d’appello di Reggio Calabria, nel rigettare il suo motivo di appello sul punto, non avrebbe «rispo in maniera adeguata» a tre rilievi.
In primo luogo, la Corte d’appello, nell’affermare l’assenza, in capo all’COGNOME, «della consapevolezza e volontà di concorrere nel reato di cessione di sostanza stupefacente posto in essere da COGNOME NOME», avrebbe omesso di valutare le due condotte «agevolative della commissione del reato di cessione di sostanze stupefacenti» costituite dall’«acquisto dello scotch, richiesto dallo COGNOME» e dalla «riparazione della gomma all’interno della quale era stato rinvenuto uno dei panetti contenente sostanza stupefacente». Secondo il ricorrente, tali due condotte «inferiscono sotto il profilo della consapevolezza e volontà di concorrere nel reato» e, compiendo le stesse, l’COGNOME avrebbe concorso nel reato traffico di sostanze stupefacenti, «seppur, attraverso una condotta di comunicazione confidenziale con le Forze dell’Ordine».
In secondo luogo, la Corte d’appello di Reggio Calabria, nell’escludere la rilevanza dell’elemento della notifica all’Alvaro del decreto di convalida del sequestro della sostanza stupefacente per la ragione che l’art. 355, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen., prevede che il decreto di convalida del sequestro venga notificato «alla persona alla quale le cose sono state sequestrate» e non necessariamente all’indagato, non avrebbe considerato il dato che, nel caso di specie, il decreto di convalida del sequestro della sostanza stupefacente era stato notificato «con l’invito a nominare un difensore di fiducia», l’ausilio del quale sarebbe necessario solo nel caso in cui il destinatario della notificazione sia indagato.
In terzo luogo, la Corte d’appello di Reggio Calabria, nell’escludere il ruolo di agente provocatore dell’COGNOME: a) da un lato, con l’argomentare che l’COGNOME non aveva «determinato in alcun modo il compimento dell’illecito in materia di stupefacente», non avrebbe considerato come ciò si dovesse ritenere smentito
dalle due sopra indicate condotte dell’COGNOME di «acquisto dello scotch» e di «riparazione della gomma»; b) dall’altro lato, avrebbe illogicamente dato atto di come l’COGNOME «fin dal principio aveva aggiornato il M.NOME COGNOME permettendo alle forze dell’ordine di seguire pressoché in diretta lo scambio di sostanza stupefacente e di operare un sequestro», dal che sarebbe risultato «evidente che la condotta dell’COGNOME fosse funzionale allo svolgimento e al compimento dell’illecito in questione, con tutte le conseguenze in termini di agente provocatore».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 56 e 629 cod. pen., in combinato disposto con gli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., «per mancanza degli elementi in ordine alle condotte idoneità ed univocità su cui si fonda il reato di tentata estorsione».
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe ritenuto la sussistenza di atti idonei univocamente diretti a esercitare una pretesa estorsiva «sulla base di un unico dato costituito dalle dichiarazioni dell’COGNOME», atteso che l’elemento delle immagini delle telecamere di videosorveglianza potrebbe «tuttalpiù, confermare, in uno dei due casi, il dato dell’aggressione non certamente il dato, invece, conclusivo relativo alla certezza che a fronte di quella minaccia e a fronte di quell’aggressione vi possano essere delle precise richieste come quelle indicate dall’COGNOME in sede di redazione di denuncia e di sommarie informazioni».
Lo COGNOME deduce altresì che l’«unico dato costituito dalle dichiarazioni dell’COGNOME» sarebbe stato «non confermato dai documenti proposti dalla difesa e ritenuti non utilizzabili e non decisivi nella valutazione della Corte, sebbene, proprio dagli stessi emerga un pacifico dato di pregressa frequentazione e di conoscenza ed una ragione di doglianza (una riparazione effettuata erroneamente su un’autovettura in uso allo COGNOME) che certamente determinerebbero una diversa motivazione, ove esistente e quindi concorrente rispetto a quanto dichiarato dall’COGNOME».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo non è fondato.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quin al di là del riscontro di indici formali, come l’eventuale già intervenuta iscrizio nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qua di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo
accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 246585-01. Successivamente, nello stesso senso: Sez. 5, n. 39498 del 25/06/2021, COGNOME, Rv. 282030-01; Sez. 4, n. 46203 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 277947-01; Sez. 6, n. 20098 del 19/04/2016, COGNOME, Rv. 267129-01; Sez. 2, n. 51840 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 258069-01).
Il Collegio condivide tale indirizzo – che, come si è detto, è stato affermato dalla Corte di cassazione anche nella sua più autorevole composizione – e intende perciò dargli continuità, ancorché sia consapevole dell’esistenza, in seno alla giurisprudenza della stessa Corte, del diverso indirizzo secondo cui il divieto di utilizzazione nei confronti di terzi delle dichiarazioni rese da persona che avrebbe dovuto essere sentita in qualità di indagato non attiene alle dichiarazioni rese al giudice da un soggetto che mai abbia assunto la qualità di imputato o di persona sottoposta a indagini, considerato che, a differenza del pubblico ministero, il giudice non può attribuire ad alcuno, di propria iniziativa, la qualità di imputato o di persona sottoposta ad indagini, dovendo solo verificare che essa non sia già stata formalmente assunta, sussistendo in tal caso l’incompatibilità con l’ufficio di testimone. Pertanto, il riferimento alla posizione sostanziale del dichiarante non esaurisce la verifica dei presupposti di applicabilità dell’art. 63 cod. proc. pen. verifica che si estende alla necessità della successiva formale instaurazione del procedimento a suo carico (Sez. 5, n. 29357 del 22/03/2019, B., Rv. 276856-01; Sez. 5, n. 24300 del 19/03/2015, COGNOME, Rv. 263908-01).
Con la menzionata e condivisa sentenza COGNOME, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno anche chiarito che, quanto al tipo e alla consistenza degli elementi apprezzabili dal giudice al fine di verificare l’effettivo status del dichiarante, «devono ritenersi rilevanti i soli indizi non equivoci di reità, sussiste già prima dell’escussione del soggetto e conosciuti dall’autorità procedente». Inoltre, «’originaria esistenza di gravi indizi di reità no automaticamente farsi derivare dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro carico, occorrendo invece che tali vicende, per come percepite dall’autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l’esistenza di responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di talun essi».
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha argomentato che, ancorché l’COGNOME fosse stato casualmente coinvolto nello scambio di sostanza stupefacente che aveva avuto luogo, a opera dello Strangio, presso l’autofficina dello stesso COGNOME – anche, quindi, effettuando le operazioni di acquisto dello
scotch e di riparazione della gomma che lo Strangio gli aveva chiesto di fare – il fatto che l’COGNOME, fin dal principio di tale vicenda illecita, ne avesse costantemente informato i Carabinieri, consentendo loro di seguire pressoché in diretta lo scambio di sostanza stupefacente e di procedere al sequestro della stessa sostanza, escludeva ictu ()cui/ qualunque volontà dell’COGNOME di concorrere nel reato di traffico illecito di sostanza stupefacente posto in essere dallo Strangio e, quindi, che, al momento in cui l’COGNOME rese le proprie dichiarazioni alla polizia giudiziaria, egl fosse suscettibile di essere indagato per lo stesso reato.
Tale motivazione delle ragioni per le quali, al di là della mai assunta veste formale di indagato, l’COGNOME non si doveva reputare neppure “indagabile” al momento delle dichiarazioni da lui rese, si deve ritenere del tutto congrua e non manifestamente illogica, sicché essa non è censurabile in questa sede di legittimità.
La valutazione che, pertanto, la qualità di indagato si doveva ritenere non attribuibile all’COGNOME neppure in termini sostanziali ha poi indotto la Corte d’appello di Reggio Calabria a escludere, con una motivazione che appare anch’essa priva di illogicità, oltre che giuridicamente corretta, che la suddetta motivata valutazione potesse essere scalfita dal fatto che all’COGNOME fosse stato notificato il verbale d sequestro della sostanza stupefacente – atteso che, a norma del secondo periodo del comma 2 dell’art. 355 cod. proc. pen., la copia del decreto di convalida del sequestro deve essere notificata «alla persona alla quale le cose sono state sequestrate» e non necessariamente all’indagato, e che lo stupefacente era stato almeno in parte rinvenuto presso l’officina dell’Alvaro, dove era stato occultato o dalla circostanza che lo stesso COGNOME avesse nominato un proprio difensore.
Del tutto logica e giuridicamente corretta risulta anche la valutazione della Corte d’appello di Reggio Calabria in ordine all’assenza, in capo all’COGNOME, della qualità di agente provocatore, atteso che lo stesso COGNOME non solo non aveva agito previa concertazione con le forze dell’ordine, alle quali si era limitato a riferi spontaneamente del traffico illecito di sostanze stupefacenti che era stato programmato dallo Strangio e nel quale era rimasto casualmente coinvolto, ma, soprattutto, non aveva in alcun modo incitato o indotto lo stesso COGNOME a commettere il menzionato traffico, al quale lo COGNOME si era autonomamente determinato e che l’COGNOME si era limitato a disvelare.
Né, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, un siffatto incitamento o induzione possono essere ravvisati nel fatto che l’COGNOME potesse avere, su richiesta dello Strangio, acquistato lo scotch e riparato la gomma, o nel fatto che lo stesso COGNOME avesse consentito alle forze dell’ordine di seguire pressoché in diretta lo scambio della sostanza stupefacente e di procedere al sequestro della stessa sostanza.
2. Il secondo motivo non è consentito.
La sentenza impugnata, aderendo alle valutazioni del primo giudice, ha richiamato e applicato il principio affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo il quale occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilità soggettiva e oggettiva della persona offesa, specie se costituita parte civile – il che, peraltro, non era nella specie avvenuto -, accertando l’assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettività, senza la necessità, però, della presenza di riscontri esterni, stabilita dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., per il dichiarante coinvolto nel fatto (tra le tantissime: Sez. U, n. 41461 de 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214-01; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070-01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312-01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 274489-01; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104-01; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261730-01).
Le Sezioni Unite hanno anche statuito che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifest contraddizioni» (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, cit.; più di recente: Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01).
Quest’ultima circostanza risulta del tutto assente nel caso di specie, con la conseguenza che, poiché, pertanto, la credibilità dell’COGNOME e l’attendibilità delle sue dichiarazioni – anche in ordine al fatto che le minacce e la violenza che erano state commesse dall’imputato nei suoi confronti (e che erano state anche riprese dalle telecamere di videosorveglianza) erano dirette a ottenere l’ingiusto profitto costituito dalla somma di € 160.000,00 corrispondente al valore della sostanza stupefacente della quale lo COGNOME accusava l’COGNOME di avere causato il sequestro (con la conseguente integrazione del delitto di tentata estorsione) – non possono essere rivalutate in questa sede di legittimità, ne discende che il motivo si deve ritenere non consentito.
Alla stessa conclusione si deve pervenire anche con riguardo alla parte dello stesso motivo con la quale è invocato il contenuto della documentazione che era stata prodotta dall’imputato, atteso che la Corte d’appello di Reggio Calabria ha motivato, in modo che si deve ritenere non illogico (si vadano, in particolare, le pagg. 10-11 della sentenza impugnata), in ordine al fatto che la suddetta documentazione non era risultata idonea a dimostrare che vi fosse un pregresso rapporto tra l’COGNOME e lo Strangio per questioni afferenti a un’autovettura e, comunque, anche se fosse stata idonea a dimostrare la sussistenza di un tale
rapporto, ciò non avrebbe affatto escluso la credibilità del narrato dell’COGNOME ma, al contrario, l’avrebbe corroborata.
Le doglianze del ricorrente al riguardo, oltre ad apparire generiche, risultano sostanzialmente dirette a sollecitare, a fronte di una motivazione non illogica della sentenza impugnata, una diversa valutazione del significato probatorio e della valenza probatoria della menzionata documentazione, il che non è possibile fare in sede di legittimità (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 28074701; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 05/12/2024.