Dichiarazioni Persona Offesa: Quando la Sua Parola Basta per la Condanna?
Nel processo penale, la testimonianza della vittima rappresenta un elemento di prova cruciale. Ma può essere sufficiente, da sola, a determinare una condanna? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a fare chiarezza sul valore probatorio delle dichiarazioni persona offesa, delineando i rigorosi criteri che il giudice deve seguire per valutarne l’attendibilità. Questo principio è fondamentale per garantire sia la tutela delle vittime sia il diritto di difesa dell’imputato.
Il Caso in Esame: Un Ricorso contro la Credibilità
Il caso trae origine dal ricorso presentato da due imputati contro una sentenza di condanna della Corte d’Appello. La difesa dei ricorrenti si fondava principalmente sulla presunta inattendibilità della persona offesa, arrivando a ipotizzare una sua condizione di demenza senile, senza tuttavia fornire alcuna prova a sostegno di tale affermazione. Secondo i ricorrenti, le dichiarazioni della vittima non erano sufficienti a fondare un verdetto di colpevolezza.
Il Valore delle Dichiarazioni Persona Offesa nel Processo
Il cuore della questione giuridica riguarda il valore probatorio che la legge attribuisce alle parole della vittima di un reato. A differenza di quanto previsto per le dichiarazioni di un coimputato, che necessitano sempre di riscontri esterni per essere utilizzate come prova (secondo l’art. 192, comma 3, del codice di procedura penale), le dichiarazioni persona offesa possono costituire l’unica base per un’affermazione di responsabilità penale.
Questo non significa che la parola della vittima sia automaticamente legge. Al contrario, la giurisprudenza, consolidata da una pronuncia delle Sezioni Unite, impone al giudice un dovere di verifica particolarmente scrupoloso.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, nel dichiarare i ricorsi inammissibili, ha ribadito i principi cardine in materia. Innanzitutto, ha chiarito che le regole probatorie speciali previste per i coimputati non si estendono alla persona offesa, neanche quando questa si costituisce parte civile per ottenere un risarcimento.
La Corte ha sottolineato che la valutazione del giudice deve essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella riservata a un qualsiasi altro testimone. Questo controllo si articola su due livelli:
1. Credibilità soggettiva: Il giudice deve analizzare la personalità del dichiarante, le sue condizioni psicofisiche, i suoi rapporti pregressi con l’imputato e l’eventuale presenza di motivi di rancore o interesse personale che potrebbero inficiare la genuinità del suo racconto.
2. Attendibilità intrinseca: Il racconto deve essere esaminato nella sua coerenza interna, logicità, precisione e assenza di contraddizioni.
Nel caso specifico, la Cassazione ha evidenziato come i ricorrenti non avessero fornito alcuna prova a sostegno della presunta demenza senile della vittima, limitandosi a mere supposizioni. Di conseguenza, in assenza di elementi concreti che minassero la credibilità della persona offesa, la valutazione positiva compiuta dai giudici di merito è stata ritenuta corretta e adeguatamente motivata.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La decisione in commento conferma un orientamento consolidato: la testimonianza della vittima ha un peso significativo nel processo penale e può, da sola, portare a una condanna. Tuttavia, questa possibilità è subordinata a un vaglio di credibilità e attendibilità estremamente severo da parte del giudice. Per la difesa, ciò significa che non è sufficiente contestare genericamente la parola della vittima, ma è necessario fornire elementi concreti e provati che ne dimostrino l’inattendibilità. Per le vittime, questa pronuncia rappresenta una conferma della tutela offerta dall’ordinamento, che valorizza la loro testimonianza come strumento fondamentale per l’accertamento della verità.
La testimonianza della persona offesa può essere l’unica prova per una condanna?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato.
Quali controlli deve fare il giudice sulle dichiarazioni della persona offesa?
Il giudice deve compiere una verifica particolarmente penetrante e rigorosa, corredata da idonea motivazione, che riguardi sia la credibilità soggettiva del dichiarante (la sua persona) sia l’attendibilità intrinseca del suo racconto (la coerenza dei fatti narrati).
Le regole sulla prova previste per i coimputati si applicano anche alla persona offesa?
No, le regole dettate dall’art. 192, comma 3, del codice di procedura penale, che richiedono riscontri esterni per le dichiarazioni dei coimputati, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, anche se si è costituita parte civile nel processo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 25303 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 25303 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CATANIA il 01/06/1978
NOME nato a CATANIA il 23/01/1985
avverso la sentenza del 27/09/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letti i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME
COGNOME proposti con medesimo atto, rilevato
che il primo motivo di ricorso che contesta la mancata riqualificazione della fattispecie di estorsione in quella di tentativo punibile
ex artt. 56 e 629 cod. pen., non è consentito dalla legge in sede di legittimità,
perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito;
considerato che il secondo motivo di ricorso che contesta la motivazione
posta a fondamento della dichiarazione di responsabilità per il reato di estorsione sulla base della querela del 21/03/2013 acquisita agli atti dell’istruttoria
dibattimentale, è manifestamente infondato, perché tende ad ottenere un’inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da
quelli adottati dal giudice di merito;
che alla stregua della corretta e non illogica argomentazione di cui a pag. 1
della sentenza impugnata, le dichiarazioni della persona offesa nella querela risultano logiche, dettagliate, prive di contraddizioni e trovano riscontro in quelle
rese in dibattimento dal teste specificamente esaminato sul tema dedotto e non vi è alcuna prova circa la demenza senile della persona offesa e, inoltre, le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, anche se costituita parte civile, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del/della dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214);
ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 giugno 2025.