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Dichiarazioni persona offesa: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22356/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato. La Corte ha stabilito che le dichiarazioni della persona offesa, deceduta prima del processo, sono legittimamente utilizzabili ai sensi dell’art. 512 c.p.p., in quanto il decesso rappresenta un’oggettiva impossibilità di esame. Tale utilizzo non viola il diritto al contraddittorio sancito dalla CEDU. La Corte ha inoltre ribadito l’impossibilità di rivalutare nel merito la concessione di attenuanti in sede di legittimità.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazioni Persona Offesa Deceduta: Quando Sono Ammissibili nel Processo?

L’utilizzabilità delle dichiarazioni persona offesa rese durante le indagini preliminari rappresenta un tema cruciale nel diritto processuale penale, specialmente quando il dichiarante non può più testimoniare in aula. Con l’ordinanza n. 22356 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso emblematico, chiarendo i confini dell’applicazione dell’art. 512 del codice di procedura penale in caso di decesso della vittima e la sua compatibilità con il diritto al giusto processo.

I Fatti del Caso

Un imputato presentava ricorso in Cassazione avverso una sentenza di condanna della Corte d’Appello. La difesa contestava la decisione dei giudici di merito su due fronti principali. In primo luogo, lamentava un vizio di motivazione e una violazione di legge riguardo all’acquisizione e all’utilizzo delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la quale era deceduta prima della fase dibattimentale. Secondo il ricorrente, tali dichiarazioni erano state ammesse senza adeguati riscontri esterni. In secondo luogo, l’imputato chiedeva il riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità, proponendo una diversa valutazione dei fatti rispetto a quella operata dalla Corte territoriale.

L’Uso delle Dichiarazioni Persona Offesa e l’Art. 512 c.p.p.

Il primo motivo di ricorso si concentrava sulla presunta illegittimità dell’uso delle dichiarazioni della vittima. La difesa sosteneva che la condanna si basasse su queste testimonianze senza che fossero state corroborate da altri elementi di prova, violando così il principio del contraddittorio. La questione centrale era se il decesso della vittima potesse giustificare l’applicazione dell’art. 512 c.p.p., che permette la lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione.

Il secondo motivo, invece, era di natura più sostanziale. Il ricorrente chiedeva alla Cassazione di riconsiderare i fatti per applicare l’attenuante prevista dall’art. 62, n. 4 c.p., sostenendo che il danno causato alla vittima fosse di lieve entità. Tale richiesta mirava a una rivalutazione del merito della vicenda, un’operazione tipicamente preclusa in sede di legittimità.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte. Gli Ermellini hanno ritenuto manifestamente infondato il primo motivo e inammissibile il secondo, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha fornito una motivazione chiara e in linea con la giurisprudenza consolidata. Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno affermato che la motivazione della sentenza impugnata era logica, coerente e completa. Il decesso della persona offesa, già sentita come persona informata sui fatti durante le indagini, integra un’ipotesi di impossibilità di natura oggettiva che legittima pienamente l’acquisizione e l’utilizzabilità delle sue dichiarazioni ai sensi dell’art. 512 c.p.p.

La Corte ha inoltre precisato che tale meccanismo processuale non viola l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La sopravvenuta morte del dichiarante, infatti, non può essere interpretata come un tentativo di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale. Di conseguenza, quando la sentenza di condanna si fonda su tali dichiarazioni, non si configura una lesione del diritto al giusto processo.

Relativamente al secondo motivo, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una terza istanza di merito. Proporre una diversa interpretazione dei dati di fatto per ottenere il riconoscimento di un’attenuante è un’attività che esula dalle competenze della Corte, la quale può sindacare solo la logicità e la correttezza giuridica della motivazione, non la valutazione fattuale compiuta dai giudici di merito.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un importante principio processuale: la morte di un testimone o della persona offesa è un evento che, pur privando il processo di un contributo diretto in dibattimento, non rende inutilizzabili le dichiarazioni precedentemente rese. L’art. 512 c.p.p. funge da strumento di bilanciamento tra l’esigenza di accertamento della verità e la tutela dei diritti della difesa. La decisione ribadisce che la garanzia del contraddittorio non è assoluta e può cedere di fronte a un’impossibilità oggettiva e imprevedibile di assunzione della prova. Per gli operatori del diritto, ciò significa che le dichiarazioni rese in fase di indagine da soggetti poi deceduti mantengono un pieno valore probatorio, a condizione che la motivazione del giudice di merito ne valuti attentamente l’attendibilità alla luce del complesso degli elementi raccolti.

Le dichiarazioni rese da una persona offesa durante le indagini possono essere usate in processo se questa muore prima del dibattimento?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che il decesso della persona offesa costituisce un’ipotesi di impossibilità di natura oggettiva che consente l’acquisizione e l’utilizzabilità delle sue precedenti dichiarazioni ai sensi dell’art. 512 del codice di procedura penale.

L’uso delle dichiarazioni di un testimone deceduto viola il diritto al contraddittorio garantito dalla CEDU?
No. Secondo la sentenza, quando la condanna si fonda in modo significativo su tali dichiarazioni, non si configura una violazione dell’art. 6 della CEDU, in quanto la sopravvenuta morte del dichiarante non può essere collegata all’intento di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare i fatti per ottenere un’attenuante?
No, la Corte ha dichiarato inammissibile tale richiesta. Proporre una diversa interpretazione dei dati di fatto, al fine di ottenere il riconoscimento di un’attenuante come quella per il danno di speciale tenuità, costituisce una valutazione di merito preclusa al giudice di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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