Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18973 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18973 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato il 22/05/1970 a San Giuseppe Vesuviano avverso l’ordinanza del 30/01/2025 del Tribunale di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME COGNOME sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME impugna l’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli 30 gennaio 2025, emessa a seguito di annullamento con rinvio pronunziato da questa Corte di Cassazione, Sezione Seconda, n. 1813 del 5 dicembre 2024, che ha rigettato il riesame, confermando l’ordinanza cautelare emessa il 20 agosto
2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, con cui era stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere, in quanto gravemente indiziato del reato di tentata estorsione ai danni di NOME COGNOME – gestore di un centro di assistenza fiscale -, aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1. cod. pen. con riferimento ad entrambi i profili del metodo mafioso e della finalità di agevolazione del clan di stampo camorristico COGNOME.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen. per avere ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona offesa, NOME COGNOME ripetendo i medesimi vizi già censurati dalla sentenza di annullamento con rinvio della Sezione Seconda n. 1813 della Corte di cassazione ed esprimendo argomenti meramente assertivi.
La persona offesa non poteva essere esaminata come persona informata dei fatti ma andava iscritta, sin dall’inizio, nel registro degli indagati per ave commesso un reato connesso o collegato a quello per cui si procede.
Infatti, sin dalla prima dichiarazione di Boccia, del 2 aprile 2024, era risultato: a) che avesse intrattenuto affari illeciti con soggetti di particolare spessore criminale, come il pregiudicato NOME COGNOME – amico di infanzia ed esponente del clan COGNOME -, l’avvocato COGNOME e il commercialista COGNOME; b) che avesse contatti con NOME COGNOME sulla sua utenza personale; c) che avesse avviato, autonomamente da qualsiasi imposizione criminale, un’attività truffaldina connessa ai flussi migratori, svolta, parallelamente, anche con altri gruppi delinquenziali.
La motivazione resa sul punto dal provvedimento impugnato deve ritenersi illogica e contraddittoria in quanto ha riconosciuto che COGNOME, descritto come losco imprenditore vicino a contesti camorristici locali (pag. 18), fosse in rapporti professionali con soggetti legati ad ambienti criminali proprio in relazione alla gestione del suo CAF e alle pratiche inerenti i flussi migratori e, dunque, risultasse il suo coinvolgimento in un reato probatoriamente collegato alla presunta estorsione subìta.
2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen. e vizio di motivazione, anche nei termini del travisamento, in quanto i crediti vantati da COGNOME, culminati con la consegna di C 2.500 il 9 agosto 2024, dovevano essere ricondotti non a pretese estorsive, ma a reciproci rapporti illeciti tra i due, co accordo paritario sulla suddivisione dei profitti al 50% per le truffe praticate (intercettazione del 3 agosto 2024) in cui COGNOME veniva pagato direttamente dai lavoratori.
Infatti, dai dialoghi intercettati e dalle stesse dichiarazioni della persona offesa era risultato che COGNOME avesse investito somme di denaro nell’attività illecita del CAF di COGNOME consegnandogli pratiche, nel numero assai superiore a cinque (intercettazione del 6 agosto 2024), inerenti i flussi migratori di cui il ricorre infatti gli chiedeva conto, menzionando anche l’inadempimento del commercialista COGNOME risultato essere un comune debitore di COGNOME e COGNOME, diversamente da quanto sostenuto nella ricostruzione delle prime sommarie informazioni.
Alla luce di detti elementi, dimostrativi di accordi e non certo di imposizioni, mancano la credibilità soggettiva della persona offesa e l’intrinseca attendibilità del suo racconto su cui invece è fondata l’intera ricostruzione della condotta illecita contestata. Inoltre, secondo il ricorrente: la dizione valorizzata dal Tribunale alle “cose nostre” andava intesa con riferimento al rapporto collaborativo illecito tra il ricorrente e la presunta persona offesa; la conversazione del 7 agosto 2024 mostrava come COGNOME si fosse limitato ad offrire la sua disponibilità, subito accolta da COGNOME; la richiesta di tangenti da consegnare a Natale e Pasqua non era stata confermata dalle registrazioni consegnate alle forze dell’ordine. Peraltro, del tutto inconciliabile con una condotta estorsiva è la circostanza che dal 30 marzo 2024, data del primo incontro tra il ricorrente e COGNOME, il successivo fosse stato procrastinato proprio dalla persona offesa sino al 3 agosto 2024 con motivazioni che escludono qualsiasi timore.
2.3. Violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 416-bis.1. cod. pen. in entrambe le sue declinazioni e vizio di motivazione in quanto il provvedimento impugnato si è limitato all’inserimento del ricorrente nel clan camorristico COGNOME senza accertare l’assenza di atteggiamenti mafiosi o violenti nella condotta di COGNOME, come dimostrato dalla registrazione del 3 agosto 2024, dalla concordata suddivisione degli introiti illeciti al 50%, dalla richiesta dell persona offesa di interventi del ricorrente per riscuotere i suoi crediti e dal contenuto degli stessi dialoghi registrati, in assenza di qualsiasi condotta intimidatoria. Infine, COGNOME ha posto in essere le sue condotte per solo profitto personale, mancando qualsiasi collegamento con il sodalizio e in assenza del dolo specifico.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, ai sensi dell’ar 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020, come prorogato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
2.Va premesso che la Corte di Cassazione, con la sentenza della Seconda Sezione, n. 1813 del 5 dicembre 2024, aveva annullato con rinvio l’ordinanza, pronunciata dal Tribunale del riesame di Napoli il 10 settembre 2024, nei confronti del ricorrente per avere ritenuto che non avesse fornito adeguata motivazione sull’assenza di «collegamento probatorio sostanziale» tra le attività truffaldine di NOME COGNOME nella gestione dei flussi migratori e la parallela condotta estorsiva di NOME COGNOME ai suoi danni.
3. Il primo motivo di ricorso deve essere rigettato.
L’ordinanza impugnata, con argomenti logici, previa approfondita disamina delle numerose dichiarazioni rese da NOME COGNOME persona offesa del delitto di estorsione aggravata dall’art. 416-bis.1 cod. pen. contestato a NOME COGNOME ha dato puntuale conto dell’assenza di connessione o collegamento con le ipotetiche attività illecite della vittima, così da non determinare l’obbligo adozione delle garanzie di difesa e l’incompatibilità con l’ufficio di testimone.
In particolare, il Tribunale alle pagg. da 3 a 38, esaminando l’intera attività investigativa compiuta e valutando tutte le conversazioni e le registrazioni depositate dallo stesso COGNOME, alla luce delle dichiarazioni sino a quel momento rese da questi, oltre che le fotografie e i filmati dei vari incontri, ha spiegato perch non fossero emerse né condotte delittuose nella gestione dei flussi migratori ad opera di COGNOME – utili a qualificarlo come indagato di reato connesso o collegato attraverso il Caf da lui gestito e rispetto al quale emergeva l’interesse della locale camorra (sia di COGNOME che di Casillo) con pretese estorsive rispetto ai proventi dell’attività svolta; né una sua collaborazione commerciale volontaria con COGNOME, in quanto questa era stata frutto di imposizione; né elementi per ritenere COGNOME mandante delle riscossioni coattive di suoi crediti ad opera del ricorrente con modalità camorristiche trattandosi, al più, di un progetto astratto (pag. 33).
Ma il provvedimento impugnato va oltre perché aggiunge che, anche volendo ritenere che la conversazione del 3 agosto 2024, tra COGNOME e COGNOME registrata dal primo e consegnata alla polizia giudiziaria il 5 agosto 2024 – offrisse elementi a carico della persona offesa circa la cogestione truffaldina del Caf con COGNOME o la posizione di mandante del recupero crediti da parte del ricorrente, comunque sarebbero affette da inutilizzabilità, ex art. 63, comma 2, cod. proc. pen., soltanto le dichiarazioni rese il 5, 1’8 e il 9 agosto 2024, il cui rilievo no tale da incidere sulla gravità indiziaria per il delitto contestato a NOME COGNOME
Infatti, sono proprio i dialoghi registrati dalla persona offesa il 3 ed il agosto 2024 (riportati pressochè integralmente nel provvedimento), supportati dai filmati dei servizi di appostamento e poi dall’arresto dell’indagato all’esito dell’incontro con la persona offesa, in possesso dell’ingiusto profitto
dell’incontro con la persona offesa, in possesso dell’ingiusto profitto dell’estorsione, con banconote messe a disposizione della stessa polizia giudiziaria, a rendere solido l’impianto argomentativo dell’ampia e dettagliata ricostruzione offerta dal Tribunale.
Le circostanze, riconosciute dal provvedimento impugnato, che COGNOME fosse un imprenditore che gestiva il Caf in modo torbido, che si servisse di professionisti opachi (NOME COGNOME) e fosse vicino a contesti camorristici locali (NOME COGNOME) non solo non costituiscono, in sé, elementi dimostrativi della commissione di delitti, ma anche a volerlo astrattamente ipotizzare questi non risulta fossero connessi o collegati all’estorsione subìta. Infatti, l’appartenenza ad ambiti che lambiscono quelli criminali non esclude, di per sé, di diventarne vittima.
Inoltre, il provvedimento impugnato ha offerto una non illogica interpretazione della apparente condotta “collaborativa” di Boccia con il ricorrente – in relazione al prestito dell’orologio o alla gestione delle pratiche di Maturo valorizzando sia le plurime denunce sporte a partire da aprile 2024; sia il contesto della conversazione con il noto camorrista, avvenuta in un luogo appartato, in cui dunque la vittima cercava di assecondare l’interlocutore per evitare conseguenze pregiudizievoli (pag. 18).
Alla luce di detti articolati argomenti, la censura contenuta nel ricorso, in ordine all’ inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME per violazione dell’art. 63 cod. proc. pen., deve ritenersi infondata mancando elementi per ritenere il legame, ex art. 12 cod. proc. pen., tra la condotta estorsiva contestata in questa sede e gli ipotizzati delitti commessi dalla persona offesa, solo prospettati in chiave difensiva, ma non indicati e, comunque, esclusi dal provvedimento impugnato.
Peraltro, il mero collegamento probatorio, pur ove sussistente, potrebbe astrattamente rilevare ai fini della disposizione di cui all’art. 192, comma 4, cod. proc. pen., senza comportare effetti sulla posizione del dichiarante esaminato nel corso delle indagini preliminari quale parte offesa di uno specifico reato, in relazione al quale diventa processualmente ininfluente la veste di indiziato che la stessa persona potrebbe avere assunto in un altro autonomo procedimento, solo eventualmente suscettibile di riunione con il primo, ai sensi dell’art. 17, lett. d cod. proc. pen.
4. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente in quanto attengono alla gravità indiziaria del delitto e dell’aggravante, sono inammissibili in quanto contengono mere censure in fatto volte ad ottenere una lettura alternativa delle risultanze probatorie non consentita nel giudizio di legittimità.
4.1. L’ordinanza impugnata fonda i gravi indizi di colpevolezza di NOME COGNOME sull’ampia attività investigativa indicata al § 3 che precede, cui si rinvia, da cui era risultato che il ricorrente, per conto del clan di camorra COGNOME, dominante a San Giuseppe Vesuviano, avesse preteso da NOME COGNOME tramite il fratello NOME, somme di denaro, alludendo al mantenimento di soggetti detenuti e alle festività («per i carcerati… in occasione delle ferie estive»), come ulteriormente comprovato dall’arresto con euro 2500 in banconote, segnate dalla polizia giudiziaria all’esito di registrazione della conversazione e dalle riprese video, sulla base di argomenti che non appaiono affatto arbitrari e, dunque, non sindacabili in questa sede (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
Peraltro, a fronte di elementi indiziari diversi e convergenti, costituiti non solo dalle numerose dichiarazioni della persona offesa, ma anche dal contenuto e dallo sviluppo delle conversazioni puntualmente indicate, di cui il provvedimento ha offerto una propria ragionevole lettura, anche in rapporto alle convergenti risultanze dei filmati e delle registrazioni, collocandole in un quadro di insieme che dà conto del rapporto di soggezione di COGNOME rispetto alle dinamiche camorristiche di COGNOME, di cui era vittima e alle quali non poteva sottrarsi perché costretto, la censura tenta di offrire una lettura alternativa delle conversazioni, anch’essa non consentita in questa sede, valorizzando elementi inidonei a contrastare il solido quadro indiziario esposto come, ad esempio, il rinvio, da parte di COGNOME, degli incontri con NOME COGNOME o l’assenza di atti esplicitamente intimidatori.
4.2. Infatti, il Tribunale ha superato le argomentazioni difensive escludendo che la cifra sequestrata fosse riferibile alla collaborazione commerciale e paritaria nella gestione dei flussi migratori intercorrente tra le parti e che vi fosse la piena consapevolezza del ricorrente di operare in nome e per conto del proprio clan di camorra.
Infatti, con puntuali argomenti il provvedimento impugnato ha dato conto di come l’attività imprenditoriale di COGNOME (“il magazzino”) fosse stato oggetto di spartizione tra gruppi criminali, ai fini del pagamento delle prezzo delle estorsioni, e fosse passato sotto l’influenza del clan camorrista cui apparteneva COGNOME («il magazzino sta qua, se tu vieni e ti serve qualcosa, noi stiamo a disposizione, ma toglitelo dalla testa che ti facciamo fare il padrone del magazzino, finché sta bene a noi ti diamo anche il sospeso, capiscilo» pag. 19) e che, dunque, la cogestione delle pratiche del ricorrente si innestasse proprio in questo contesto criminale, privo di scelte per la vittima (per tutte, Sez. 2, n. 18566 del 10/04/2020, Rv. 279474), fondato sul notorio spessore criminale del ricorrente e della sua consorteria di appartenenza.
Altrettanto generico è il motivo relativo alla volontà di NOME di perseguire solo un interesse personale non solo alla luce dell’utilizzo diffuso, nelle
conversazioni, del pronome “noi” e del richiamo ad ambiti operativi tipici dei clan
(l’aiuto ai carcerati),
ma anche in ragione della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’aggravante contestata sussiste anche quando l’agente
persegua l’ulteriore finalità di un vantaggio proprio, purchè nella consapevolezza di favorire così anche l’interesse della cosca beneficiata (Sez. 6, n. 11101 del
04/02/2015, Platania, Rv. 262713), come è avvenuto nella specie.
5. Degli argomenti che precedono, consegue il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso l’ 8 aprile 2025
La Consigliera estensora