Dichiarazioni persona offesa: quando bastano per una condanna?
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema centrale del processo penale: il valore probatorio delle dichiarazioni della persona offesa. Questa decisione ribadisce principi consolidati, offrendo chiarimenti cruciali sui limiti del ricorso in Cassazione e sul ruolo fondamentale del giudice di merito nella valutazione delle prove. L’ordinanza analizza il caso di un ricorso contro una condanna per lesioni, fornendo spunti essenziali per comprendere come la parola della vittima possa essere decisiva per l’affermazione della responsabilità penale.
I Fatti del Caso
Un imputato, a seguito di una condanna in appello per i reati di lesioni personali, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione. La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando l’estinzione di un’accusa minore ma confermando la responsabilità per le lesioni. L’imputato lamentava diversi vizi nella sentenza, sostenendo che i giudici avessero errato nella valutazione delle prove, ignorato le sue argomentazioni difensive e violato il principio del “oltre ogni ragionevole dubbio”.
I Motivi del Ricorso e le dichiarazioni della persona offesa
Il ricorrente ha fondato la sua impugnazione su cinque motivi principali, tutti incentrati su un presunto vizio di motivazione. In sostanza, egli contestava il modo in cui i giudici di merito avevano ricostruito i fatti e affermato la sua colpevolezza, ritenendo illogica la valutazione degli elementi a sua disposizione.
Un motivo specifico di ricorso riguardava la violazione dell’articolo 192 del codice di procedura penale, che disciplina la valutazione della prova. Secondo la difesa, le dichiarazioni della persona offesa, che si era anche costituita parte civile, non sarebbero state sufficientemente corroborate da altri elementi, come invece richiesto da specifiche norme procedurali. Si contestava, quindi, che la condanna si basasse unicamente sulla parola della vittima, senza un adeguato supporto probatorio esterno.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Questa decisione non entra nel merito delle argomentazioni difensive, ma le respinge sul piano procedurale, confermando la correttezza dell’operato dei giudici dei gradi precedenti. La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha articolato la sua decisione sulla base di due principi cardine del nostro ordinamento processuale.
1. I Limiti del Giudizio di Cassazione
In primo luogo, i giudici hanno ribadito che la Corte di Cassazione non è un “terzo grado di giudizio” dove si possono riesaminare i fatti. Il suo compito è quello di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata, non di effettuare una nuova e diversa valutazione delle prove. I motivi presentati dal ricorrente, secondo la Corte, erano generici e miravano proprio a ottenere una “rilettura” degli elementi probatori, un’attività che è di esclusiva competenza del giudice di merito (primo grado e appello). Poiché la motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta logica e priva di vizi giuridici, ogni tentativo di rimettere in discussione i fatti è stato giudicato inammissibile.
2. Il Valore delle Dichiarazioni della Persona Offesa
Il punto centrale dell’ordinanza riguarda la valutazione delle dichiarazioni della persona offesa. La Corte ha chiarito che le regole probatorie che impongono la ricerca di riscontri esterni (come quelle previste dall’art. 192, comma 3, c.p.p.) non si applicano automaticamente alle dichiarazioni della vittima. Queste possono, da sole, costituire la base per un’affermazione di responsabilità penale. Tuttavia, proprio per la loro importanza, il giudice ha l’obbligo di sottoporle a un vaglio di credibilità particolarmente attento e rigoroso. Questo controllo deve riguardare sia la credibilità soggettiva del dichiarante (la sua personalità, i suoi rapporti con l’imputato, eventuali motivi di rancore) sia l’attendibilità intrinseca del racconto (la coerenza, la precisione, la logica interna). Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente eseguito tale valutazione, motivando in modo adeguato le ragioni del loro convincimento.
Le Conclusioni
Questa ordinanza riafferma con forza due concetti fondamentali. Da un lato, il ricorso in Cassazione deve essere fondato su precise violazioni di legge o vizi logici manifesti, non su un semplice disaccordo con la valutazione dei fatti operata dai giudici di merito. Dall’altro, consolida il principio secondo cui la testimonianza della vittima ha un valore probatorio autonomo e potenzialmente decisivo, a patto che sia sottoposta a un controllo di credibilità più penetrante e rigoroso rispetto a quello riservato a un qualsiasi altro testimone. La decisione, pertanto, bilancia la necessità di tutelare la vittima del reato con la garanzia di un giusto processo per l’imputato.
Le sole dichiarazioni della persona offesa possono portare a una condanna?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, le dichiarazioni della vittima di un reato possono essere sufficienti a fondare una sentenza di condanna. Tuttavia, è indispensabile che il giudice conduca una verifica particolarmente approfondita e rigorosa sulla credibilità della persona e sull’attendibilità del suo racconto.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha il compito di giudicare sulla corretta applicazione delle norme di diritto e sulla logicità della motivazione, ma non può effettuare una nuova valutazione delle prove o una ricostruzione dei fatti. Questa attività è riservata esclusivamente ai giudici di primo grado e d’appello.
Cosa significa che un ricorso è dichiarato inammissibile?
Significa che il ricorso viene respinto senza che la Corte entri nel merito delle questioni sollevate. Ciò avviene quando i motivi presentati non rientrano tra quelli previsti dalla legge (ad esempio, chiedono un riesame dei fatti), sono eccessivamente generici o non rispettano i requisiti formali richiesti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20477 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20477 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CAMPOMAGGIORE il 24/09/1955
avverso la sentenza del 24/04/2024 della CORTE APPELLO di POTENZA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
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Rilevato che COGNOME Rocco ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Potenza, che ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando di non doversi procedere per il reato di cui all’art. 4 L. 110/1975, rideterminando la pena inflitta per il reato di cui agli artt. 582, 585 cod. pen. e confermando nel resto;
Considerato che i cinque motivi di ricorso – con i quali il ricorrente si duole del vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità, della violazione dei criteri di valutazione della prova, dell’assenza di motivazione in merito alle allegazioni difensive, della violazione del principio di non colpevolezza e del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio – sono inammissibili in quanto, oltre ad essere tutti particolarmente generici, essendo fondati su argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, sono volti ad ottenere un’inammissibile rivalutazione degli elementi probatori, mediante criteri diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pag. 3 e 4 della sentenza impugnata). Esula, invero, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944);
Considerato che il motivo di ricorso che denuncia vizio di violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e vizio della motivazione non è deducibile, in quanto le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, anche se costituita parte civile, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del/della dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del su racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214); il denunciato vizio di motivazione è pertanto manifestamente infondato, alla stregua della corretta e non illogica argomentazione di cui a pag. 3 della sentenza impugnata;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26 marzo 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente