Dichiarazioni Persona Offesa: Quando la Sua Parola Basta per la Condanna
Nel processo penale, la ricerca della verità si basa su un complesso sistema di prove. Tra queste, le dichiarazioni della persona offesa, ovvero la vittima del reato, assumono un’importanza cruciale. Ma possono da sole sostenere il peso di una condanna? Con l’ordinanza n. 2931/2024, la Corte di Cassazione torna su questo tema delicato, confermando un principio consolidato ma esigente: la parola della vittima può essere sufficiente, ma solo a seguito di un vaglio giudiziale estremamente rigoroso.
I Fatti del Caso: Un Ricorso contro una Condanna per Furto
Il caso trae origine da una condanna per il reato di furto in abitazione (art. 624-bis c.p.), confermata dalla Corte di Appello di Milano. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una violazione della legge penale e un vizio di motivazione. Il fulcro della sua difesa era la presunta insufficienza probatoria, sostenendo che la condanna si basasse unicamente sulle dichiarazioni della vittima senza adeguati riscontri esterni.
L’Analisi delle Dichiarazioni della Persona Offesa in Cassazione
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, giudicandolo manifestamente infondato e generico. Per farlo, ha richiamato un principio cardine stabilito dalle Sezioni Unite nella celebre sentenza ‘Bell’Arte’ (n. 41461/2012). Secondo tale principio, le regole probatorie che impongono di cercare riscontri esterni per le dichiarazioni dei coimputati (art. 192, comma 3, c.p.p.) non si applicano alla testimonianza della persona offesa.
Il Principio delle Sezioni Unite
La vittima del reato, pur avendo un interesse nell’esito del processo, non è equiparabile a un coimputato. Di conseguenza, le sue dichiarazioni possono essere legittimamente poste, anche da sole, a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale. Non è quindi necessario che siano corroborate da altri elementi di prova.
L’Onere di una Motivazione Rafforzata
Questa autonomia probatoria non è incondizionata. La Cassazione sottolinea che, proprio per l’assenza di obbligo di riscontri esterni, il giudice ha il dovere di condurre una verifica di credibilità ancora più penetrante e rigorosa rispetto a quella riservata a un qualsiasi altro testimone. Il controllo deve riguardare due aspetti:
1. Credibilità soggettiva: la personalità del dichiarante, le sue condizioni psicofisiche, i suoi rapporti con l’imputato e ogni altro elemento che possa influenzarne la sincerità.
2. Attendibilità intrinseca: la coerenza, la logicità e la precisione del racconto, analizzando eventuali contraddizioni interne o con altri dati processuali.
La Decisione sul Ricorso: Inammissibilità per Genericità
Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che il ricorso dell’imputato non muoveva alcuna critica specifica al modo in cui i giudici di merito avevano valutato la credibilità della persona offesa. L’impugnazione si limitava ad affermazioni generiche sulla mancanza di elementi di riscontro, senza però mettere in discussione il cuore della valutazione fatta dal tribunale.
Le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione tra contestare l’assenza di prove esterne e contestare la valutazione di attendibilità della prova esistente. L’imputato si è limitato al primo punto, ignorando che, secondo la giurisprudenza consolidata, le dichiarazioni della persona offesa non necessitano obbligatoriamente di tali prove. Poiché il ricorso non ha attaccato la solidità della valutazione di credibilità operata dai giudici di primo e secondo grado, è stato ritenuto generico e, di conseguenza, inammissibile. L’inammissibilità evidente ha inoltre comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver proposto un’impugnazione priva di fondamento.
Le conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio di grande importanza pratica: la testimonianza della vittima è uno strumento probatorio potente e autonomo nel processo penale. Tuttavia, la sua autosufficienza è bilanciata dal dovere del giudice di sottoporla a un vaglio critico approfondito e di darne conto in una motivazione solida e convincente. Una difesa che intenda contestare una condanna basata su tali dichiarazioni non può limitarsi a lamentarne l’unicità, ma deve essere in grado di scardinare, con argomentazioni specifiche, il giudizio di credibilità e attendibilità formulato dal giudice.
La testimonianza della vittima del reato (persona offesa) può essere l’unica prova per una condanna?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento della condanna, senza necessità di altre prove a conferma.
Quali condizioni devono essere rispettate perché la testimonianza della vittima sia sufficiente?
Il giudice deve effettuare una verifica particolarmente attenta e rigorosa sulla credibilità soggettiva del dichiarante e sull’attendibilità intrinseca del suo racconto, fornendo una motivazione adeguata e penetrante.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene giudicato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, se ravvisata una colpa nell’impugnazione, anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2931 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2931 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/02/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che ne ha confermato la condanna per il reato di cui all’art. 624-bis, comma 2, cod. pen.;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso – con cui si assumono la violazione della legge pena e il vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputat manifestamente infondato e generico, poiché «le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono esser legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso es più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsi testimone» (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE‘Arte, Rv. 253214 – 01) e l’impugnazione non contiene censure in ordine al vaglio di attendibilità ma solo asserti generici sul difetto di ele che ne corroborino il narrato;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione ( Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
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Il Presidente