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Dichiarazioni persona offesa deceduta: il ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso contro una sentenza di condanna. Il caso verteva sull’utilizzabilità delle **dichiarazioni persona offesa deceduta** prima del dibattimento. La Corte ha stabilito che l’appello era troppo generico e mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Ha inoltre confermato che, ai sensi dell’art. 512 c.p.p., la morte del testimone costituisce un’oggettiva impossibilità che rende le sue precedenti dichiarazioni utilizzabili, senza violare il principio del giusto processo.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazioni Persona Offesa Deceduta: Quando Sono Utilizzabili nel Processo Penale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19089/2024, ha affrontato un tema cruciale della procedura penale: l’utilizzabilità delle dichiarazioni persona offesa deceduta prima della celebrazione del dibattimento. La decisione non solo riafferma principi consolidati, ma offre anche una chiara lezione sulla specificità richiesta per i ricorsi in sede di legittimità. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello. La difesa lamentava vizi nella valutazione delle prove, sostenendo che la condanna si basasse in modo significativo sulle dichiarazioni rese durante le indagini preliminari dalla persona offesa, la quale era purtroppo deceduta prima di poter testimoniare in aula. Il ricorrente, attraverso il suo appello, mirava a una riconsiderazione complessiva delle fonti di prova e a una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dai giudici di merito.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle dichiarazioni persona offesa deceduta

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione, puramente processuale, impedisce ai giudici di entrare nel merito della questione. La Corte ha stabilito che i motivi presentati dal ricorrente non erano conformi ai requisiti di legge. Anziché evidenziare specifici errori di diritto commessi dalla Corte d’Appello, il ricorso si limitava a criticare in modo generico la persuasività e l’adeguatezza delle motivazioni, sollecitando di fatto un terzo grado di giudizio sul fatto, non consentito in Cassazione.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi fondamentali.

1. Inammissibilità per Genericità del Ricorso

Il primo punto riguarda la natura del giudizio di legittimità. La Cassazione non è un “terzo giudice” che può riesaminare le prove e decidere se l’imputato sia colpevole o innocente. Il suo compito è verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio. Nel caso di specie, il ricorso è stato giudicato “privo di concreta specificità” perché non si confrontava realmente con il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata, ma si limitava a proporre una valutazione alternativa delle prove. Questo tipo di doglianze è estraneo al sindacato della Corte Suprema.

2. Utilizzabilità delle Dichiarazioni ai Sensi dell’Art. 512 c.p.p.

Il secondo e più rilevante punto giuridico riguarda la legittimità dell’uso delle dichiarazioni persona offesa deceduta. La Corte ha ribadito un principio consolidato: il decesso di un testimone o della persona offesa, avvenuto prima del dibattimento, costituisce un’ipotesi di “impossibilità di natura oggettiva” alla sua escussione.

Questa situazione attiva il meccanismo previsto dall’art. 512 del codice di procedura penale, che consente al giudice di disporre la lettura e l’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni rese in precedenza durante le indagini. La Corte ha inoltre precisato che tale utilizzabilità è pienamente compatibile con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che tutela il diritto al giusto processo. Anche quando una condanna si basa in modo esclusivo o significativo su tali dichiarazioni, non si configura una violazione del diritto di difesa, a patto che non emerga un intento di sottrarre deliberatamente il dichiarante al contraddittorio.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame è un importante promemoria su due fronti. Da un lato, consolida la prassi sull’utilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi non può più testimoniare per cause oggettive come la morte, garantendo che elementi di prova potenzialmente cruciali non vadano perduti. Dall’altro, sottolinea il rigore richiesto nella redazione dei ricorsi per Cassazione: è indispensabile concentrarsi su vizi di legittimità specifici e ben argomentati, evitando critiche generiche alla valutazione dei fatti, pena una declaratoria di inammissibilità e la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È possibile utilizzare in un processo le dichiarazioni fatte da una persona offesa che è poi deceduta prima del dibattimento?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che il decesso della persona offesa integra un’ipotesi di impossibilità di natura oggettiva che, ai sensi dell’art. 512 del codice di procedura penale, consente l’acquisizione e l’utilizzabilità delle sue dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari.

L’uso delle dichiarazioni di un testimone deceduto viola il diritto al giusto processo e al contraddittorio?
No. Secondo la Corte, l’utilizzo di tali dichiarazioni, anche quando la condanna si fondi in modo significativo su di esse, non viola l’art. 6 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), a condizione che non vi sia stato un intento di sottrarre il dichiarante al contraddittorio dibattimentale.

Per quale motivo il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché privo di concreta specificità. Invece di contestare errori di diritto nella sentenza impugnata, il ricorrente ha tentato di ottenere una nuova valutazione delle prove e una ricostruzione alternativa dei fatti, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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