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Dichiarazioni non verbalizzate: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Il caso si centrava sulla validità delle dichiarazioni non verbalizzate e non sottoscritte dalla vittima, raccolte dalla polizia giudiziaria. La Corte ha confermato che tali dichiarazioni sono pienamente utilizzabili nella fase delle misure cautelari, ribadendo la correttezza della decisione del Tribunale del Riesame che aveva disposto gli arresti domiciliari.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazioni non verbalizzate: la Cassazione ne conferma l’uso nelle misure cautelari

In una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale della procedura penale: l’utilizzabilità delle dichiarazioni non verbalizzate e non sottoscritte dalla persona informata sui fatti. La decisione ribadisce un principio fondamentale per la fase cautelare, specialmente in contesti di criminalità organizzata, dove la paura di ritorsioni può frenare le vittime dal formalizzare una denuncia.

Il Caso: Estorsione e Metodo Mafioso

La vicenda giudiziaria ha origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un imprenditore, accusato di estorsione aggravata, consumata e tentata. Secondo l’accusa, l’indagato, operante nel settore delle onoranze funebri, avrebbe preteso da un concorrente il pagamento di una somma di denaro per ogni funerale svolto, evocando la necessità di destinare i soldi ad “amici” e facendo riferimento a una “protezione” offerta da un gruppo criminale.

Il Tribunale del Riesame, pur riformando parzialmente la misura (annullando un capo d’imputazione e sostituendo il carcere con gli arresti domiciliari), aveva confermato la solidità del quadro indiziario basato principalmente sulle dichiarazioni della vittima. Quest’ultima, a seguito di un pestaggio, si era rivolta confidenzialmente agli inquirenti, descrivendo l’intera vicenda estorsiva ma rifiutandosi di sottoscrivere la denuncia per timore di ritorsioni. La difesa dell’indagato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando proprio l’uso di queste dichiarazioni.

I Motivi del Ricorso e le Dichiarazioni non Verbalizzate

Il ricorso si fondava su quattro punti principali:

1. Inutilizzabilità delle dichiarazioni: La difesa sosteneva che le sommarie informazioni, sintetizzate in un verbale di polizia ma prive della sottoscrizione del dichiarante, non potessero essere utilizzate, neanche in fase cautelare.
2. Valutazione degli indizi: Si contestava la valutazione di attendibilità della vittima, le cui dichiarazioni erano ritenute prive di riscontri esterni.
3. Sussistenza dell’aggravante mafiosa: Si negava la presenza sia del metodo mafioso che del dolo di agevolazione dell’associazione.
4. Esigenze cautelari: La difesa riteneva ingiustificata la misura restrittiva, dato il lungo tempo trascorso dai fatti (risalenti al 2017).

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una reiterazione di doglianze già correttamente respinte dal Tribunale del Riesame. La Suprema Corte ha chiarito in modo definitivo la questione delle dichiarazioni non verbalizzate. Richiamando una giurisprudenza consolidata, ha affermato che le dichiarazioni rese da persone informate sui fatti e riportate dalla polizia giudiziaria in annotazioni o relazioni di servizio, anche se non formalmente verbalizzate e sottoscritte, sono pienamente utilizzabili per l’adozione di misure cautelari. Nel caso specifico, la scelta della vittima di non firmare era motivata dal fondato timore di ritorsioni, un elemento che non inficiava, ma anzi contestualizzava, la genuinità del suo racconto.

La Corte ha inoltre confermato la credibilità della vittima, sottolineando la coerenza del suo narrato e la presenza di riscontri, come le intercettazioni e le dichiarazioni di altre persone. Anche l’aggravante del metodo mafioso è stata ritenuta correttamente applicata. Il riferimento a un “prezzo da pagare” per la “protezione” di un gruppo criminale è stato considerato un chiaro esempio di intimidazione mafiosa, finalizzata a consolidare il controllo del territorio e il racket estorsivo.

Infine, riguardo al tempo trascorso, i giudici hanno stabilito che le esigenze cautelari erano ancora attuali. La gravità dei fatti, il contesto mafioso e le allarmanti modalità esecutive giustificavano una misura come gli arresti domiciliari per recidere i legami con l’ambiente criminale e prevenire il rischio di recidiva.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre un’importante lezione pratica. In primo luogo, stabilisce che la paura della vittima, che la porta a non formalizzare una denuncia, non rende le sue dichiarazioni inutili. Nella fase cautelare, ciò che conta è la sostanza e l’attendibilità delle informazioni raccolte, anche se in via confidenziale, dalla polizia giudiziaria. In secondo luogo, il provvedimento riafferma che il tempo “silente” non annulla automaticamente il pericolo di recidiva, specialmente quando i reati si inseriscono in dinamiche di criminalità organizzata persistenti. La decisione del giudice deve tenere conto della gravità intrinseca del reato e del contesto in cui è maturato per valutare la necessità di una misura restrittiva.

Le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, ma non verbalizzate e non sottoscritte dal testimone, sono utilizzabili per applicare una misura cautelare?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, richiamando la giurisprudenza prevalente, le dichiarazioni rese da persone informate sui fatti e riportate dalla polizia in annotazioni o relazioni di servizio sono utilizzabili per l’adozione di misure cautelari, anche se non formalizzate in un verbale sottoscritto dal dichiarante, soprattutto quando la mancata firma è dovuta a timore di ritorsioni.

Come viene valutata l’aggravante del metodo mafioso in un caso di estorsione?
L’aggravante del metodo mafioso viene ritenuta sussistente quando l’azione criminale evoca la forza intimidatrice di un gruppo criminale. Nel caso di specie, è stato considerato sufficiente il fatto che l’indagato avesse fatto riferimento a un prezzo da pagare per ottenere la “protezione” del gruppo e per evitare ritorsioni, con lo scopo di supportare la compagine mafiosa nel controllo del territorio.

Il tempo trascorso dal reato incide sulla necessità delle esigenze cautelari?
Non necessariamente. La Corte ha stabilito che, nonostante i fatti risalissero a diversi anni prima, le esigenze cautelari erano ancora attuali. La valutazione si basa sulla gravità intrinseca dei fatti, sul contesto di consumazione (tipicamente mafioso) e sulle modalità esecutive, elementi che possono giustificare una misura restrittiva per prevenire il rischio concreto di recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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