Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6815 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6815 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Favara (Ag) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 9/6/2023 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del. 9/6/2023, la Corte di appello di Torino confermava la pronuncia emessa il 20/4/2021 dal locale Tribunale, con la quale NOME COGNOME era stato dichiarato colpevole del delitto di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 2, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, e condannato alla pena di un anno e due mesi di reclusione.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
violazione degli artt. 191, 197-bis, 234, 238, comma 4, 526, comma 1-bis cod. proc. pen., 220 disp. att. cod. proc. pen.; vizio di motivazione. La Corte di
appello avrebbe ribadito l’utilizzabilità contra se e contra alios RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese da NOME COGNOME (fratello del ricorrente) ad un funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE; questa decisione, però, sarebbe errata, in quanto le dichiarazioni in oggetto sarebbero state rese in violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., dato che la stessa RAGIONE_SOCIALE avrebbe ritenuto – già prima dell’audizione del COGNOME – che le fatture in questione fossero state emesse da un soggetto assolutamente inesistente. Ne consegue, dunque, che il processo verbale di constatazione, nella parte in cui contiene le dichiarazioni di NOME COGNOME, dovrebbe esser considerato inutilizzabile ai sensi dell’art. 238, comma 4, cod. proc. pen., anche alla luce dell’art. 526, comma 1-bis cod. proc. pen., dato che lo stesso si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere;
violazione degli artt. 52, d.P.R. n. 633 del 1972, 30 e 31, I. n. 4 del 1929, 57, 191 e 195 cod. proc. pen. La Corte di appello, come già il Tribunale, avrebbe ritenuto utilizzabili queste dichiarazioni anche perché oggetto di testimonianza indiretta da parte del teste COGNOME, funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; anche questa decisione, tuttavia, sarebbe errata, sia perché NOME COGNOME non sarebbe un testimone ma un imputato (in reato proprio e connesso), sia perché il teste che avrebbe raccolto le sue dichiarazioni non sarebbe il COGNOME, ma un altro funzionario. Errata, ancora, sarebbe l’affermazione della sentenza secondo cui tali funzionari non rivestirebbero la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, e ciò sensi degli artt. 57, comma 3, cod. proc. pen., 30 e 31, I. n. 4 del 1929. Ne deriverebbe, dunque, l’applicazione dell’art. 195, comma 4, cod. proc. pen. In tema di divieto di deposizione;
violazione dell’art. 2323 cod. civ., 2, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, 192 cod. proc. pen.; travisamento del fatto. La sentenza non risponderebbe alla censura di appello con la quale si era dedotta la mancata conoscenza, da parte del ricorrente, della causa di scioglimento della società emittente le fatture, di cui il fratello er socio accomandatario; la risposta offerta al motivo di gravame, infatti, sarebbe del tutto apparente ed apodittica, e traviserebbe la deposizione della teste COGNOME. Ancora, la Corte di appello avrebbe confuso lo scioglimento di una società in accomandita semplice con la cessazione della sua attività, equiparandone gli effetti senza alcuna prova; sarebbe dato comune, peraltro, che molte volte il socio accomandatario prosegua la sua attività anche in assenza del socio accomandante;
erronea applicazione dell’art. 2 contestato, nonché degli artt. 192, 526, comma 1-bis, 533 cod. proc. pen. La sentenza non avrebbe spiegato le reali ragioni della condanna, stendendo una motivazione contraddittoria soprattutto quanto alle prove dichiarative che avevano attestato un’effettiva attività svolta dalla società di NOME, del tutto compatibile con quanto indicato nelle fatture; al
riguardo, peraltro la valutazione di antieconomicità di alcune operazioni, compiuta dall’RAGIONE_SOCIALE, costituirebbe una mera presunzione tributaria e non una prova. L’assenza anche di indizi gravi, precisi e concordanti, avrebbe imposto, dunque, l’assoluzione dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che reitera le stesse censure sollevate con il gravame, risulta manifestamente infondato; le varie questioni, peraltro, possono essere trattate in modo congiunto, attesa la sostanziale identità di rado legata alla effettività RAGIONE_SOCIALE prestazioni fatturate.
Con riguardo, innanzitutto, al primo motivo e alla eccepita inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese da NOME COGNOME di fronte a funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE, poi riportate nel processo verbale di constatazione, la sentenza di appello – che conferma la decisione del primo Giudice – appare immeritevole di censura.
4.1. Questa Corte ha più volte affermato che, a norma dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale debbono essere compiuti con l’osservanza RAGIONE_SOCIALE disposizioni del codice.
4.2. Tanto premesso, il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale (la cui natura non muta sia che venga acquisito quale atto irripetibile, come ritenuto da una risalente pronuncia, Sez. 3, n. 36399 del 18/05/2011, Aponte, Rv. 251235, ovvero quale prova acquisibile ex art. 234 cod. proc. pen., come affermato in epoca più recente da Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008, COGNOME, Rv. 242523). Tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att., poiché altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile (Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, COGNOME, Rv. 246599; Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008, COGNOME, Rv. 242523). Ne consegue che la parte di documento compilata prima dell’insorgere degli indizi ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre non è tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito. Il presupposto per l’operatività dell’art. 220 in esame, peraltro, è costituit dalla sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona
determinata (Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, COGNOME, Rv. 246599; Sez. Un., 28.11.2004, n. 45477, Raineri, Rv 220291; Sez. 2, 13/12/2005, n. 2601, Cacace, Rv. 233330).
4.3. Non di meno, la violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. non determina automaticamente l’inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell’ambito di attività ispettive o di vigilanza, ma è necessario che tale inutilizzabilità (come la nullità) dell’atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a cui l’art. 220 stesso rimanda (Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016, Pelini, Rv. 269299). Diversamente ragionando, infatti, si giungerebbe a ritenere l’inutilizzabilità di tutti i risultati probatori e degli altri risultati della verif la comunicazione della notizia di reato, situazione, all’evidenza priva di fondarn . ento. Non, dunque, la generica violazione dell’art. 220 può essere dedotta, occorrendo la specifica indicazione della violazione normativa che avrebbe determinato l’inutilizzabilità con riguardo ai singoli atti compiuti dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza e riportati nel processo verbale di constatazione (Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018, G., Rv. 274131; successivamente, tra le molte non massimate, Sez. 3, n. 33969 del 13/6/2023).
Così richiamato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il Collegio osserva che la sentenza impugnata ne ha fatto corretta applicazione, peraltro specificando che eventuali elementi indiziari a carico del ricorrente sarebbero emersi solo a seguito della redazione del verbale di constatazione, non prima; la differente tesi sostenuta nel ricorso è fondata su una considerazione di puro merito (il rinvio alla pag. 5 del verbale) e, dunque, non può essere esaminata in questa sede.
5.1. A ciò si aggiunga, inoltre, che il ricorso non specifica quale efficacia probatoria (o almeno indiziaria) avrebbero avuto le dichiarazioni di NOME COGNOME sulla condanna del fratello, nel tessuto motivazionale RAGIONE_SOCIALE pronunce, così da non emergere neppure un effettivo interesse alla questione, proposta in termini generici. Se operata da questa Corte, peraltro, la prova di resistenza risulta comunque pienamente superata: in altri termini, le sentenze di merito hanno accertato l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni di cui alle fatture, e dunque la sussistenza del duplice reato di cui all’art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000, in forza di numerosi elementi di prova rispetto ai quali le dichiarazioni di NOME COGNOME sono state considerate del tutto marginali. In particolare, già il Tribunale aveva evidenziato che questi aveva riferito che nel 2005 aveva ceduto l’attività di INDIRIZZO, in Bruino (ossia la sede dell’emittente, per come risultava dalla RAGIONE_SOCIALE), per ricominciare in una piccola officina a Piossasco (sede per risultava dalle fatture), poi a sua volta ceduta nel 2007, lì lavorando soltanto per due clienti, tra i quali il fratello. Ebbene, il Collegio osserva che, anche a voler eliminare queste
dichiarazioni, il tessuto probatorio riportato nelle sentenze risulta comunque del tutto logico e solido, oltre che fondato su concreti elementi di prova. A conferma dell’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni fatturate, infatti, era stato evidenziato che: a) l’emittente (RAGIONE_SOCIALE), sin dal 2004, era composta dal solo accomandatario, e la mancata sostituzione dell’accomandante ne aveva determinato lo scioglimento, ai sensi dell’art. 2323 cod. civ. (il diverso argomento sostenuto nel terzo motivo di ricorso è del tutto congetturale, richiamando un astratto “dato comune” secondo cui “molte volte il socio accomandatario prosegue la sua attività” senza l’accomandante, pur a fronte di una società formalmente sciolta); b) il ricorrente doveva ritenersi verosimilmente a conoscenza della circostanza, trattandosi di fratelli in costante contatto; c) la RAGIONE_SOCIALE da tempo non aveva un’effettiva sede, né mezzi, né dipendenti, così da non poter eseguire le operazioni fatturate; d) il pagamento RAGIONE_SOCIALE fatture stesse non era stato documentato (la difesa aveva prodotto alcuni estratti conto, che tuttavia non avevano piena corrispondenza con gli importi RAGIONE_SOCIALE fatture; analogamente, non erano stati prodotti i pochi assegni menzionati per i pagamenti, altrimenti in contanti); e) le dichiarazioni della teste COGNOME (ex moglie del ricorrente) sull’effettività dei lavori fatturati non risultavano coerenti, specie quanto alle date dei documenti e alle modalità dei pagamenti. Delle stesse dichiarazioni, peraltro, non è possibile procedere ad una differente lettura in questa sede, come sollecitato con il quarto motivo di ricorso, perché propria della sola fase di merito e qui non Censurabile, se sostenuta da argomento logico, come nel caso di specie.
Alla luce di queste considerazioni, il Collegio rileva dunque che la responsabilità del ricorrente è stata affermata con una motivazione del tutto logica e priva di aporie, come tale non censurabile. Rimane assorbita, peraltro, la questione della testimonianza indiretta resa dal funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, peraltro correttamente risolta dalla Corte di appello negando la qualifica di ufficiale (o agente) di polizia giudiziaria, attesa la natura amministrativa dell’accertamento che era in corso.
L’impugnazione, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00
•
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2023
Il Presidente