Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22499 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22499 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a RECALE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/03/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avvocato AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
, wribLItri
1. Con “(i . sopra indicata, la Corte di assise di appello di Napoli ri parzialmente, per quanto qui d’interesse in riferimento alla posizione del ricorre COGNOMECOGNOME la sentenza emessa nei suoi confronti dal GUP del Tribunale di Napoli che l giudicato colpevole, in concorso con altri, per l’omicidio aggravato di NOME COGNOMECOGNOME av Caserta il DATA_NASCITA e, computata la diminuente per il rito, logrtlannaiía alla trenta di reclusione.
La Corte di assise di appello, con tale riforma, ritenuta assorbita la circostanza di cui all’art. 61, n. 1, cod. pen. in quella di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 416-bis.1 cod. pen.), confermava la pena irrogata.
La responsabilità dell’imputato, già condannato per la sua partecipazione al clan stata desunta dai giudici di merito sulla base delle dichiarazioni dei testimoni ocula delle dichiarazioni convergenti rese da più collaboratori di giustizia. Un’ulteriore ricavata dalla presenza del DNA riconducibile all’imputato rinvenuto in esito agli acc tecnici disposti su un passamontagna – ricavato da una manica di un maglione di colore trovato dagli inquirenti nei pressi dell’autovettura utilizzata per l’agguato e abbando alle armi utilizzate, dal gruppo di fuoco che aveva cagionato la morte di NOME COGNOME. I dell’omicidio, come emergerà, era stato determinato dalla necessità di punire il NOME decisione di voler lasciare il clan RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE al fine di aderire a quello, dei COGNOME.
L’omicidio è stato realizzato attraverso la preparazione di un agguato in cui pi appositamente travisati, COGNOME atteso la vittima nei pressi dell’abitazione nella qual Il gruppo di fuoco ha cominciato a sparare non appena il NOME è uscito nel cortil prospicente la strada, mentre si poneva alla guida di una Fiat Punto con la propria seguito da una Fiat Uno su cui erano salite le sue nipoti, NOME e NOME COGNOME al cognato eliksua fidanzata. A causa dei numerosi colpi esplosi contemporaneamente da e fucili mitragliatori, il NOME rimaneva ferito a morte mentre le sue nipoti venivano ferite.
L’ispettore di Polizia penitenziaria NOME COGNOMECOGNOME COGNOME transitava in zona, vedere tre soggetti che si davano alla fuga, di cui uno era più alto degli altri che er statura media, tutti travisati con “cappucci”, due scuri e uno di colore rosso. L’imput risultato essere alto un metro e 91 cm e viene descritto dal giudice di merito come so alto della media.
NOME COGNOME, una delle nipoti della vittima, la quale aveva assistito d all’agguato , ha COGNOME di aver visto due persone armate, di cui uno più alto dell
sparavano allo zio e di aver sentito parlare i sicari con un’inflessione dialettale locale mentr diceva all’altro che potevano andarsene COGNOMEhé “è caduto a terra ed è morto”.
Le Forze dell’ordine intervenute successivamente COGNOME trovato una Lancia Thema abbandonata in un vigneto. Si è ritenuto che fosse l’auto con cui i sicari erano fuggiti dal l del delitto e al suo interno è stato trovato un passamontagna (questo ultimo, undici giorni do il rinvenimento dell’auto, a una distanza di circa 400 metri) che era stato ricavato dalla ma di un maglione rosso, da cui poi è stato possibile estrarre le tracce di DNA riconducib all’imputato. Un altro passamontagna, rinvenuto all’interno dell’auto e ritenuto privo di inter investigativo, era stato invece distrutto prima del processo.
Altre tracce di DNA riconducibile ad NOME COGNOME, parente dell’imputato, erano state rinvenute su un telo trovato nell’appartamento disabitato, vicino al luogo del delitto, che stato utilizzato dal gruppo di fuoco come base di partenza dell’azione omicidiaria.
I collaboratori di giustizia, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME consentito agli inquirenti di individuare NOME COGNOME come uno degli autori dell’omicidio del COGNOME NOME con le loro dichiarazioni sulle vicende dei due clan in lotta tra loro ritenute nel giudizio di cognizione “chiare, precis contraddittorie, provenienti da soggetti qualificati”, quali appartenenti al clan COGNOME potevano essere oggetto di riscontro anche in maniera reciproca.
In particolare, i collaboratori NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME COGNOME che l’omic del COGNOME si poteva collocare nella faida tra il clan COGNOME e quello dei COGNOMENOME, fed · con quello dei COGNOME a cui apparteneva la vittima prima di “lasciarlo” alcuni mesi prima p aderire a quello contrapposto dei COGNOMECOGNOME Il COGNOME COGNOME aggiunto di aver saputo da sua mogli NOME COGNOMECOGNOME testimone oculare ferita nell’agguato, che lei aveva riconosciuto il COGNOME COGNOME i sicari sia per la corporatura che, soprattutto, per la voce.
NOME COGNOMECOGNOME anche lui collaborante, ha raccontato di più vicende della faida tra i due cl riportando i fatti di cui era venuto a conoscenza durante un periodo di detenzione con alcun “protagonisti” della vicenda omicidiaria. In particolare. egli ha COGNOME della “confessione” r dallo stesso NOME COGNOME COGNOME lo sapeva in buoni rapporti con NOME COGNOME COGNOME, secondo quanto già raccontatogli sia da lui che da NOME COGNOME COGNOMECOGNOME quale aveva deciso prima d COGNOME COGNOME “COGNOME gruppo” convincendolo a seguirlo), l’omicidio Fu deciso dal COGNOME COGNOME realizzato dal COGNOME COGNOME NOME COGNOMECOGNOME Il periodo di detenzione nel medesimo istituto detenzione di tutti i soggetti sopra indicati è stato oggetto di preciso riscontro tramite v effettuata con lo schedario SIDET.
NOME COGNOME ha COGNOME di aver saputo, durante un periodo di detenzione, da NOME e da NOME COGNOME che il primo era stato uno degli esecutori materiali e il secondo mandante poiché il COGNOME aveva deciso di “mettersi in proprio” senza più rispondere al clan. Anche in questo caso è stata verificata la compresenza di NOME con il propalante.
NOME COGNOMECOGNOME altro collaboratore, ha COGNOME di aver saputo che l’imputato, insieme ai cug COGNOMECOGNOME era tra i responsabili dell’omicidio direttamente da NOME COGNOME, il quale era un
testimone oculare presente al momento dell’agguato. Egli ha riconosciuto l’imputato attraverso l’esame di un fascicolo fotografico ed ha narrato anche le vicende relative a
Le dichiarazioni dei collaboratori, pur se de relato, sono state considerate utilizzabili anche COGNOMEhé l’imputato aveva scelto, in primo grado, di essere giudicato ccn rito abbreviato senz avanzare richieste istruttorie dirette ad ascoltare le relative fonti. In ogni caso, tale p riscontro alle dichiarazioni non è stato ritenuto indispensabile dal giudice COGNOMEhé tali fonti costituite da soggetti aderenti tutti al medesimo clan che non avevano voluto collaborare con l giustizia, quindi, essi erano stati considerati vincolati da una logica omertosa ovvero coinv nei fatti oggetto di giudizio.
La Corte d’appello, nel rispondere alle eccezioni difensive sull’attendibilità delle dichiara rese dai collaboratori di giustizia, ha richiamato gli argomenti già utilizzati dal giudice d grado rispetto alle medesime eccezioni già sollevate, analizzando ogni censura difensiva sollevata in relazione al narrato dei singoli collaboratori.
In particolare, NOME COGNOMECOGNOME ritenuto un esponente di spicco e killer del clan RAGIONE_SOCIALE, stato già considerato attendibile in altri processi definiti con sentenze passate in giudicato pe a conoscenza delle dinamiche interne alla consorteria contrapposta ai RAGIONE_SOCIALE. Egli, infatti, avev saputo da altri affiliati che il movente dell’omicidio era da individuarsi nella volontà dell’i di lasciare il clan di appartenenza per unirsi a quello contrapposto, nonché aveva saputo de ruolo avuto nella vicenda da NOME COGNOME, successivamente ucciso, come autista di un’altra auto del gruppo di fuoco che era riuscito a favorire la fuga della Lancia Thema erano le armi utilizzate per l’omicidio del NOME – interrompendo l’inseguimento delle Forz dell’ordine (fatto questo noto anche a COGNOME e COGNOME che ne COGNOME COGNOME raccontando che poi, proprio per aver partecipato all’omicidio di COGNOME, era stato rapii:o e ucciso incapret all’interno di un’auto a cui era stato dato fuoco).
NOME COGNOME, con un ruolo di primo piano nel clan COGNOME, era divenuto collaborato di giustizia nel 2007 e aveva confermato il movente dell’omicidio, aveva indicato i nomi d mandanti e dei partecipanti con i rispettivi ruoli e le armi automatiche utilizzate, nonché i che proprio il COGNOME aveva consentito di individuare il nascondiglio della vittima. Av inoltre aggiunto che le nipoti del COGNOME avevano avuto modo di riconoscere l’imputato e così lo avevano raccontato, in un secondo momento, a NOME COGNOME, a NOME COGNOME e a NOME COGNOME.
NOME COGNOME, marito di NOME COGNOME, escluso in giudizio l’intento calunni prospettato dal difensore dell’imputato, aveva COGNOME di aver saputo da un detenuto – rima non identificato – della volontà omicida di NOME COGNOME contro il COGNOME. Egli aveva saputo inoltre, dalla propria moglie che lei aveva riconosciuto, con particolare riferimento alla l’imputato “NOME COGNOME” che era tra i sicari visti in azione e che aveva NOME “s morti tutti ce ne possiamo andare” ovvero, in un diverso interrogatorio, lei lo aveva riconosci COGNOMEhé il COGNOME aveva sollevato il passamontagna dal viso. Il COGNOME aveva anche affermato di aver NOME alla moglie di non riferire nulla alla Polizia. La COGNOME, invece / in altro processo,
non aveva mai NOME di aver riconosciuto l’imputato, pur sapendo chi fosse, però aveva confermato le parole, come già avvenuto COGNOME era stata sentita dalla Polizia, riferite dal mari con il quale aveva avuto modo di parlare durante un colloquio in carcere. Sul punto, i giudici secondo grado COGNOME ritenuto credibile il racconto del collaboratore COGNOME, riportando alcune brani dell’esame testimoniale della COGNOME reso in un altro processo, evidenziandone carattere reticente con cui aveva cercato di confermare solo quanto aveva già COGNOME ag inquirenti durante le indagini.
NOME COGNOME, altro collaboratore di giustizia, aveva COGNOME di aver saputo partecipazione dell’imputato COGNOME all’omicidio del NOME dalle nipoti presenti all’aggua le quali lo avevano riconosciuto e “denunciato” ai COGNOME.
NOME COGNOME, elemento di vertice dei COGNOME già ritenuto attendibile in altri proc aveva COGNOME sui partecipanti all’agguato omicidiario, individuando, l’imputato COGNOME in un secondo momento, riconoscendolo in foto. In precedenza, invece, egli aveva indicato altri autori sulla base del racconto ricevuto da tale NOME COGNOME, il quale era stato il test oculare che era rimasto all’interno dell’abitazione da cui era uscito il COGNOME prima di cad nell’agguato. Tale ultimo testimone, ritenuto omertoso poiché non collaborante pur essendo stato ascoltato dagli inquirenti, aveva COGNOME di non aver visto nulla, ma di aver sentito g e di essere uscito solo dopo che i fatti si erano già svolti.
NOME COGNOME aveva COGNOME del movente e sui contrasti tra i due clan contrapposti sen fornire, però, alcun riscontro riferibile all’imputato.
NOME COGNOME, a sua volta, aveva COGNOME di aver saputo durante la detenzione da NOME COGNOME che il COGNOME COGNOME stato incaricato di uccidere il COGNOME COGNOME:hé questo ultimo avev aderito a un altro clan e, durante un incontro con lo stesso imputato, egli gli aveva conferm la sua responsabilità nell’omicidio dicendogli che aveva partecipato anche NOME COGNOMECOGNOME
I giudici d’appello, rispetto alle deduzioni difensive sulle differenze riscontrate nei r dei vari collaboratori, COGNOME ritenuto credibili le dichiarazioni rese nei loro tratti ritenendole genuine anche per la loro diversità e non completa sovrapponibilità / in riferimento alle diverse circostanze come riferite, tenuto conto del tempo trascorso rispetto all’epoca fatti.
2. NOME COGNOME ricorre per cassazione, tramite rituale ministero difensivo, affidando a un unico, articolato motivo con cui lamenta il vizio della motivazione in relazione al ris del canone valutativo fissato dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. sulle dichiarazioni collaboratori di giustizia.
Il quadro probatorio, come valutato dai giudici di merito, è stato ritenuto idoneo ad attrib la responsabilità dell’omicidio del COGNOME all’imputato. Esso era formato da più dichiarazioni collaboratori di giustizia appartenenti al clan, avverso a quello abbracciato dal COGNOME ovvero dei COGNOME. Tali dichiarazioni, in gran parte de relato, non sarebbero state oggetto di adeguata ponderazione con il rispetto dei criteri ermeneutici già fissati dalla pronuncia a Sezi
Unite “NOME“. A dimostrazione di ciò sono state riconsiderate le dichiarazioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME evidenziandone le diverse problematiche che si ritiene non siano state adeguatamente considerate dalle sentenze di merito.
In particolare, NOME COGNOME e NOME COGNOME non COGNOME mai individuato nell’imputat COGNOME COGNOME degli autori dell’omicidio.
Rispetto a NOME COGNOMECOGNOME la sentenza impugnata non avrebbe considerato che egli si è contradNOME nelle dichiarazioni rese tra il 2007 e il 2008, nonché non è stato chiarito com possa credere alle nipoti del NOME le quali avevano affermato di aver riconosciuto l’imputat tra i sicari che erano tutti con il volto coperto da passamontagna. Si aggiunge che l’uso di a automatiche era divenuto un fatto notorio con gli articoli di stampa pubblicati all’epoca, qu ogni riferimento ad esse non poteva essere considerato utile come riscontro.
NOME COGNOME non avrebbe raccontato la verità NOMEendo alla moglie NOME COGNOME riconoscimento dell’imputato COGNOME ne aveva ascoltato la voce, poiché lei, invece, ha COGNOME averlo visto in volto mentre si sollevava il passamontagna e si contesta anche il fatto che aveva COGNOME di averle NOME di non dire nulla agli inquirenti considerato il fatto che lei dalla polizia giudiziaria prima del colloquio in carcere con il marito ove questo ultimo le avr intimato di non dir nulla. In relazione all’altezza ritenuta superiore alla media come NOME COGNOME, inoltre, si afferma che anche NOME COGNOME, altro partecipante all’agguato, e più alto della media con il suo 1 metro e 83 cm. La COGNOME, inoltre, non poteva conoscere tono della voce dell’imputato COGNOMEhé, pur sapendo chi fosse, lei aveva negato di averci ma parlato. Ancora, la COGNOME non poteva essere considerata reticente dai giudici poiché, sen in una località protetta quale moglie del collaboratore di giustizia NOME NOME, non avre avuto alcunché da temere e, si evidenzia la “contraddizione processuale” laddove lei considerata reticente, mentre il marito sarebbe invece attendibile.
NOME COGNOME non sarebbe credibile per essersi contradNOME con le dichiarazioni rese nel 2013 rispetto a quelle verbalizzate nell’anno successivo, non è inoltre comprensibile come abbi fatto il COGNOME, dall’interno dell’abitazione, a riconoscere gli autori dell’agguato che erano il volto travisato. Le considerazioni riportate in sentenza sull’appartenenza del RAGIONE_SOCIALE organizzata e il suo essere un soggetto omertoso non sarebbero idonee a rendere attendibile il COGNOME COGNOME indica nel COGNOME la sua fonte di conoscenza.
NOME COGNOME, esponente del clan avverso a quello dell’imputato, sarebbe stato considerato illogicamente attendibile rispetto alle coordinate esegetiche indicate da Sez. U “NOME” ris alla specificità, coerenza, costanza e spontaneità delle dichiarazioni, nonché all’accertamento rapporti personali tra il dichiarante e la sua fonte.
In conclusione si afferma che sia mancante la prova rispetto al cd. canone della convergenza del molteplice poiché le dichiarazioni de relato provengono solo da quattro collaboratori di giustizia che appartenevano al clan avverso a quello dell’imputato, nonché nessuna di queste
fonti e le altre valorizzate dai giudici del merito consentirebbero un’utile verifica di quell traggono origine.
Si contestano, infine, i risultati delle indagini genetiche sulle tracce riconducibili all’i già estratte dalla manica del maglione trasformato in passamontagna, COGNOMEhé potrebbero essere state lasciate inconsapevolmente dall’imputato nella frequentazione di NOME e NOME COGNOME, suoi parenti, di cui il primo è stato rinviato a giudizio e l’altro addirittura con per il medesimo omicidio. Né si comprende COGNOMEhé i giudici di appello abbiano ritenuto intempestiva e irrilevante la segnalazione della presenza di un secondo passamontagna rosso che era stato rinvenuto nel medesimo contesto.
Il Procuratore generale, nella sua requisitoria, ha concluso per una dichiarazion d’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, quindi, meritevole di rigetto.
Va preliminarmente rilevato come ci si trovi in presenza di due sentenze che costituiscono una c.d. “doppia conforme” sulla responsabilità penale dell’imputato, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale, nel cui ambito la sentenza d’appello si richiama alla decisione di primo gra adottando gli stessi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 2013, Argent Rv. 257595; Sez. 2, n.51192 del 2019, Rv. 278368).
Rispetto alla tematica della prova rappresentativa delle chiamate in reità, è ben rammentare che, secondo i principi elaborati in materia da questa Corte, richiamati anche in ricorso (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, COGNOME, Rv. 255145; Sez. U n. 1653 del 21/10/1992, COGNOME, Rv. 192465), il giudice è chiamato a verificare la sussistenza di tre requisiti: la cred soggettiva del dichiarante, valutata alla stregua di elementi personali quali le sue condiz socio-economiche e familiari, il suo passato, i rapporti con l’accusato, la genesi e le ragioni lo COGNOME indotto alla confessione e all’accusa dei coautori e complici; l’attendibilità intrinse contenuto dichiarativo, desunta da dati quali la spontaneità, la verosimiglianza, la precisione completezza della narrazione dei fatti, la concordanza tra le dichiarazioni rese in tempi dive la riscontrabilità oggettiva del dichiarante, attraverso elementi di prova o indiziari estri quali devono essere esterni alla chiamata onde evitare il fenomeno della c.d. “circolari probatoria e che possono consistere in elementi probatori o indiziari di qualsiasi tipo e nat ivi compresa un’altra chiamata in correità (Sez. 1, n. 16792 del 9/4/2010, Rv. 246948; Sez. 2 n. 16183 del 1/2/2017, Rv. 269987); a condizione, in quest’ultimo caso, che le convergenti
dichiarazioni accusatorie, ritenute intrinsecamente attendibili, siano realmente autonome e ch la loro coincidenza non sia fittizia, come nel caso in cui una chiamata abbia condizionato l’al
La chiara distinzione dei tre livelli della valutazione di questa, particolare, prova dichia non significa tuttavia che sia indispensabile la formulazione di tre autonomi e distinti giudizi U, “NOME” cit.).
Quanto, infine, all’oggetto dei riscontri probatori, la genericità del riferimento agli el di prova da parte dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. legittima l’interpretazione secondo c in questo ambito, vige il principio della libertà degli elementi di riscontro estrinseco, nel che questi – che non debbono integrare la prova del fatto, COGNOMEhé in tal caso perderebbero l propria funzione gregaria- non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi natura, ricomprendendo non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni alt elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo e idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto bisognoso di conferma processuale (Sez. U “NOME” cit.; Sez. 1 n. 1560 del 21/11/2006, PG in proc. Missi, Rv. 235801).
I riscontri devono essere individualizzanti, con la precisazione che, nel giudizio sul me dell’imputazione, costituisce riscontro individualizzante un qualunque elemento di prova che provenga da fonte diversa, che riguardi la sfera personale dell’accusato e che sia riconducibi al fatto da provare, o COGNOMEhé direttamente lo rappresenta o COGNOMEhé ne fornisce conferma, in vi indiretta, attraverso un procedimento logico-deduttivo. Ove nel caso concreto gli elementi d riscontro corrispondano a tale nozione, la loro valenza confermativa costituisce oggetto di un valutazione in fatto, che sfugge al sindacato di legittimità, sempre che il giudice dia conto motivazione congrua e completa del proprio apprezzamento (Sez. U, “NOME” cit.; Sez.5, n. 36451 del 24/06/2004, COGNOME e altri, Rv. 230240; Sez.1, n. 33398 del 04/04/2012, COGNOME e altri, Rv. 252930).
4. Quanto alle critiche, mosse in ricorso, che assumono non essere stato affrontato lo specifico profilo della credibilità intrinseca del contributo testimoniale fornito dai collabo giustizia, va ricordato, ancora, il costante orientamento di questa Corte in tema di valutazi delle chiamate in reità, secondo il quale la valutazione della credibilità soggettiva del dichia e quella della attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni non si muovono attraverso diret separate, dal momento che l’uno aspetto s’interseca necessariamente con l’altro, sicché il giudice è chiamato ad una considerazione unitaria dei due aspetti, pur eventualmente scomponibili; in presenza di incertezze in relazione all’attendibilità del racconto, egli non può esimersi vagliarne la tenuta probatoria alla luce delle complessive emergenze processuali, in quanto salvo il caso limite della sicura inattendibilità del dichiarato – il suo convincimento deve fo sul vaglio globale di tutti gli elementi di informazione legittimamente raccolti nel processo U, “NOME“, cit.; Sez. 6, n. 11599 del 13/03/2007, Pelaggi, Rv. 236151). Ne deriva che chiamate in reità, in quanto contenute nelle dichiarazioni etero-accusatorie rese da uno d
soggetti processuali indicati nell’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., non possono c soggiacere ai criteri di valutazione della prova previsti da tale disposizione normativa, nel s che la loro credibilità soggettiva e la loro attendibilità, intrinseca ed estrinseca, devono t conferma in altri elementi di prova, con la conseguente uniformità dell’obbligo di motivazion del convincimento del giudice, da intendersi come espressione di un giudizio unitario ed omogeneo. Ciò significa, in linea con quanto opportunamente affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, che tale sequenza non deve svilupparsi rigidamente – essendo, come NOME, espressione di una delibazione armonica e non frazionabile – nel senso che il COGNOMEorso valutativo dei vari passaggi non deve muoversi lungo linee separate, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto, influenza reciprocamente, al pari di quanto accade per ogni altra fonte di prova dichiarativa, devono essere valutate unitariamente, conformemente ai criteri epistemologici generali, non prevedendo la disposizione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. alcuna specifica deroga (Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 262348).
Sicché, può affermarsi che eventuali riserve del giudizio di attendibilità intrinseca del nar di un chiamante in reità possono essere superate con il compiuto e positivo vaglio della su portata probatoria alla luce di tutti gli altri elementi di informazione legittimamente ac (Sez. U, “NOME” cit., in motivazione) ivi inclusa, evidentemente, la solidità dei riscontri
In questi termini, l’operazione di ermeneutica processuale prospettata nelle impugnazioni proposte nell’interesse del ricorrente, tendente a richiedere una parc:ellizzazione dei sin segmenti valutativi, non può essere condivisa (Sez. 1, n. 4455 del 17/01/2017, COGNOME).
La Corte d’appello e, prima ancora il giudice di primo grado, si sono attenuti, anc esplicitamente, ai citati canoni interpretativi e COGNOME espresso un’articolata e orga valutazione della credibilità soggettiva e oggettiva delle dichiarazioni dei collaboranti, tracci con esposizione piana e non difforme dai criteri della logica, il COGNOMEorso di comparazione tra dichiarazioni rese dai collaboratori in diversi momenti, non senza rimarcarne le differenz propendendo per la maggiore affidabilità di quelle che confortavano il nucleo significati centrale della vicenda narrata con i singoli elementi di convalida esterna, di natura logi rappresentativa. E’ stato così deciso, in ossequio al principio generale che discende direttament