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Dichiarazioni collaboratori: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva liberato due indagati per un omicidio del 2000. Il Riesame aveva ritenuto non convergenti le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. La Cassazione ha corretto questo approccio, stabilendo che i giudici devono concentrarsi sul ‘nucleo essenziale’ delle accuse, ignorando le discrepanze marginali, soprattutto in casi datati. La corretta valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è cruciale e non può essere inficiata da dettagli secondari.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: focus sul nucleo essenziale

La valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia rappresenta uno dei nodi più complessi e delicati del processo penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per giudicare l’attendibilità e la convergenza di tali dichiarazioni, è necessario concentrarsi sul ‘nucleo essenziale’ del racconto, senza lasciarsi fuorviare da discrepanze su elementi secondari, soprattutto quando i fatti risalgono a molti anni prima.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda un omicidio commesso nell’agosto del 2000. Sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, la Procura aveva ottenuto un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per due soggetti: uno accusato di essere il mandante e l’altro di aver agito come ‘specchiettista’.

Tuttavia, il Tribunale del Riesame, accogliendo il ricorso degli indagati, aveva annullato la misura cautelare. La motivazione del Tribunale si basava sulla presunta mancanza di convergenza tra le versioni fornite dai collaboratori, evidenziando alcune divergenze su dettagli come il numero di veicoli utilizzati o il numero esatto di persone presenti sulla scena del crimine. Di fronte a questa decisione, la Procura della Repubblica ha presentato ricorso in Cassazione, denunciando un vizio di motivazione e un’errata metodologia valutativa.

La Decisione della Cassazione sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Pubblico Ministero, annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame. Secondo la Suprema Corte, il giudice del riesame ha commesso un grave errore metodologico, concentrandosi in modo eccessivo su elementi marginali e secondari del narrato dei collaboratori, perdendo di vista la sostanziale e solida convergenza sugli elementi fondamentali dell’accusa.

Le Motivazioni: Il Nucleo Essenziale vs. le Discrasie Secondarie

La Corte ha chiarito che, ai fini della valutazione della convergenza delle chiamate in correità, il ‘nucleo essenziale’ della narrazione deve essere individuato non in astratto, ma in relazione allo specifico fatto materiale. Nel caso di un omicidio commesso da un gruppo organizzato, questo nucleo comprende:

* I ruoli chiave: chi ha ordinato l’omicidio (mandante) e chi vi ha partecipato materialmente.
* I mezzi utilizzati: i veicoli e le armi impiegate.
* Il contesto: le circostanze generali in cui è maturata la decisione omicida.

Nel caso di specie, entrambi i collaboratori principali (partecipanti diretti all’omicidio) convergevano nell’indicare il secondo indagato come mandante e il primo come parte del commando. Concordavano anche sui veicoli principali utilizzati e sulle armi. Queste, secondo la Cassazione, sono le coincidenze che contano.

Il Tribunale del Riesame, invece, aveva dato peso a divergenze su dettagli come il numero totale di auto o di persone presenti, elementi che la Cassazione ha definito ‘circostanziali’. È considerato fisiologico che, a distanza di oltre vent’anni, i ricordi possano appannarsi su particolari secondari, senza che ciò intacchi la credibilità del racconto principale.

Inoltre, la Corte ha censurato il modo illogico con cui il Tribunale del Riesame ha utilizzato le dichiarazioni di un terzo collaboratore, che riferiva ‘de relato’ (per sentito dire da uno degli indagati). Anziché vedere in queste dichiarazioni una conferma del quadro accusatorio (poiché confermavano i ruoli di mandante ed esecutore), il Tribunale le ha usate per screditare i collaboratori diretti a causa di un’errata indicazione su un altro esecutore materiale, un dettaglio non centrale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza rafforza un importante principio guida per i giudici di merito. La valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia richiede un’analisi rigorosa ma equilibrata, capace di distinguere l’essenziale dal marginale. Non si può pretendere una coincidenza ‘fotografica’ su ogni singolo dettaglio, specialmente in processi per fatti molto risalenti nel tempo. L’affidabilità di un racconto accusatorio si misura sulla coerenza e convergenza dei suoi pilastri fondamentali. Screditare un impianto accusatorio solido a causa di fisiologiche incertezze su elementi secondari costituisce un errore di logica e di metodo che questa pronuncia ha inteso correggere, riaffermando la necessità di una valutazione complessiva e non atomistica della prova.

Come devono essere valutate le divergenze tra le dichiarazioni di più collaboratori di giustizia?
La valutazione deve distinguere il ‘nucleo essenziale del narrato’ (chi ha fatto cosa, con quali ruoli principali) dai dettagli secondari. Le divergenze su elementi marginali non inficiano la credibilità complessiva se c’è piena convergenza sugli aspetti fondamentali dell’accusa.

Il passare di molto tempo dal fatto reato incide sulla valutazione dell’attendibilità di un collaboratore?
Sì, incide nel senso che rende ‘fisiologiche’ e comprensibili le incertezze o le discrasie su dettagli secondari. Il decorso del tempo, che può causare un ‘appannarsi del ricordo’, non è di per sé motivo per ritenere inattendibile un collaboratore se la sua narrazione rimane solida e convergente sugli elementi centrali.

Qual è il valore di una testimonianza ‘de relato’ (indiretta) nel contesto di più dichiarazioni?
Una testimonianza ‘de relato’, in cui un soggetto riferisce quanto appreso da un altro, può fungere da elemento di riscontro e conferma quando coincide con le dichiarazioni delle fonti dirette sul nucleo essenziale dell’accusa. È un errore logico utilizzarla per screditare le fonti dirette a causa di divergenze su elementi non centrali, soprattutto quando la testimonianza indiretta conferma i ruoli chiave degli indagati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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