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Dichiarazioni collaboratori: Cassazione annulla condanna

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna per i presunti mandanti di un omicidio e tentato omicidio avvenuti nel contesto di una faida tra clan. La decisione si fonda sulla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ritenute non sufficientemente convergenti e caratterizzate da insanabili contraddizioni. La Corte ha sottolineato che, per fondare un giudizio di colpevolezza, le testimonianze devono essere coerenti nel loro nucleo essenziale, cosa che non è avvenuta nel caso di specie, rendendo la motivazione della corte d’appello illogica e carente.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazioni collaboratori giustizia: quando bastano per una condanna?

La valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è uno dei temi più delicati nel processo penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza Num. 15140 Anno 2025) ha annullato una condanna per omicidio, ribadendo i rigorosi criteri che i giudici devono seguire. Il caso riguarda un tragico fatto di sangue, un omicidio e un tentato omicidio, maturati nel contesto di una guerra tra clan rivali per il controllo del territorio. La Corte ha ritenuto che le prove, basate quasi esclusivamente sui racconti di alcuni pentiti, non fossero sufficientemente solide a causa di profonde contraddizioni interne.

I Fatti

Il 30 dicembre 2017, in una cittadina del barese, la faida tra due clan criminali culmina in un agguato. Due sicari, appartenenti a uno dei clan, aprono il fuoco contro un esponente della fazione rivale. Nel corso della sparatoria, l’obiettivo designato rimane gravemente ferito, ma un proiettile vagante colpisce a morte un’anziana passante, del tutto estranea ai contesti criminali. Le indagini portano alla condanna degli esecutori materiali, i quali decidono di collaborare con la giustizia. Le loro dichiarazioni accusano i vertici del proprio clan di essere i mandanti dell’agguato, indicando nel capo e nel suo braccio destro coloro che avevano dato l’ordine di sparare.

La Decisione della Corte di Cassazione

Nonostante le condanne nei gradi di merito, la Suprema Corte ha accolto i ricorsi dei presunti mandanti, annullando la sentenza d’appello e disponendo un nuovo processo. La Corte ha invece rigettato il ricorso di uno degli esecutori materiali, che verteva unicamente su aspetti relativi al calcolo della pena. Il fulcro della decisione di annullamento risiede nella critica mossa alla corte d’appello per non aver adeguatamente risolto le palesi incongruenze emerse dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha evidenziato come il giudizio di colpevolezza si basasse su un castello accusatorio fragile. Le versioni fornite dai diversi collaboratori, pur convergendo sull’attribuzione del mandato omicida ai vertici del clan, divergevano in modo insanabile su un punto cruciale e non secondario: le modalità e la tempistica con cui l’ordine sarebbe stato impartito.

Secondo la Suprema Corte, non è sufficiente che i collaboratori indichino la stessa persona come mandante; è necessario che i loro racconti siano compatibili e coerenti nel loro “nucleo essenziale”. Nel caso specifico, le discrepanze non riguardavano dettagli marginali, ma il cuore stesso della ricostruzione: un collaboratore affermava che l’ordine era giunto dopo un allontanamento del tramite, mentre un altro sosteneva che il tramite non si fosse mai mosso e avesse ricevuto l’ordine per telefono.

Queste non sono semplici sfumature, ma vere e proprie fratture logiche che minano l’attendibilità reciproca delle testimonianze. La corte d’appello, secondo i giudici di legittimità, aveva tentato di superare queste incongruenze con argomentazioni ipotetiche e semplicistiche, senza offrire una spiegazione razionale e rigorosa. Anche i dati tecnici, come i tabulati telefonici che provavano un contatto tra i soggetti, non sono stati ritenuti sufficienti a sanare le contraddizioni. Un dato tecnico, infatti, può fungere da riscontro a un narrato già di per sé coerente e credibile, ma non può sostituirsi ad esso per “tappare i buchi” di una ricostruzione palesemente contraddittoria.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale dello stato di diritto: una condanna deve fondarsi su prove solide e “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Quando la prova principale è costituita dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, il vaglio del giudice deve essere particolarmente severo. Le discrepanze e le contraddizioni non possono essere liquidate con leggerezza, specialmente quando investono il nucleo centrale dei fatti. Il caso torna ora davanti a una nuova sezione della Corte d’Assise d’Appello, che dovrà riesaminare l’intera vicenda attenendosi ai principi stabiliti dalla Cassazione, procedendo a una valutazione più critica e approfondita della credibilità e della coerenza delle fonti accusatorie.

Quando le dichiarazioni di più collaboratori di giustizia possono essere considerate una prova valida?
Le loro dichiarazioni sono valide quando convergono sul “nucleo essenziale del narrato”, ovvero sugli elementi centrali e cruciali dei fatti. Divergenze su aspetti marginali possono essere tollerate, ma contraddizioni fondamentali, come quelle sulle modalità e tempistiche di un ordine di omicidio, minano la loro reciproca attendibilità.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna dei presunti mandanti?
La Corte ha annullato la condanna perché la sentenza della corte d’appello non ha fornito una motivazione logica e convincente per superare le gravi e insanabili contraddizioni presenti nelle testimonianze dei collaboratori di giustizia. La ricostruzione dei fatti cruciali era incoerente.

Un dato tecnico, come un tabulato telefonico, può sanare le contraddizioni nelle dichiarazioni dei testimoni?
No. Secondo la Corte, un dato tecnico può fungere da riscontro esterno a un racconto già di per sé logico, coerente e verificato. Tuttavia, non può sostituirsi alla coerenza della narrazione né sanare da solo profonde contraddizioni nel racconto dei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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