Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18995 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18995 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
1.COGNOME NOME nato a Santa Maria Capua Vetere il 16/01/1950
2.NOME nato a Casagiove il 3/11/1961
avverso la sentenza del 26/06/2024 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen.; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte depositate dal Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME con le quali è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità di entrambi i ricorsi;
lette le conclusioni scritte depositate in data 13/03/2025 dall’avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente COGNOME COGNOME con le quali è stato chiesto l’accoglimento del ricorso;
preso atto che l’avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente NOME COGNOME non ha depositato conclusioni scritte.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia del 30/10/2020 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, così statuiva, per quanto di rilievo in questa sede:
-confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di COGNOME Franco per i reati a lui ascritti di ricettazione e tentata truffa e la relativa pena di anni cinque, me due, giorni venti di reclusione ed euro 1.680,00 di multa;
-dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME per il reato di cui al capo Y perché estinto per intervenuta prescrizione e rideterminava la pena in un anno, mesi quattro di reclusione ed euro 400,00 di multa per le residue imputazioni.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, tramite i rispettivi difensori fiduciari.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati articolati due motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett.b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 513 del codice di rito.
Osserva il ricorrente che nel dibattimento di primo grado sono stati acquisiti i verbali delle dichiarazioni rese da taluni imputati che avevano indicato NOME COGNOME in colui che li aveva contattati, proponendo loro la monetizzazione di alcuni assegni in suo possesso, dietro il compenso di euro 400,00 per ciascun titolo.
Sia il Tribunale che la Corte di appello hanno ritenuto utilizzabili tali porta dichiarativi nei confronti dell’odierno ricorrente non essendovi stata alcuna opposizione da parte di COGNOME e del difensore alla loro acquisizione.
Tale assunto è erroneo poiché il tenore letterale dell’art. 513, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen. impone di affermare che ai fini della utilizzabilità d dichiarazioni contra alios il consenso di costoro deve essere espresso e non semplicemente desunto dal mancato dissenso.
(
3.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett.e), cod. proc. pen., la mancanza di motivazione in punto di conferma del giudizio di responsabilità.
La Corte di appello ha fondato la colpevolezza dell’odierno ricorrente esclusivamente sulle dichiarazioni auto ed etero accusatorie dei coimputati e, dunque, su chiamate in correità che sono state ritenute affidabili per il solo fatto che i propalanti avevano ammesso le loro responsabilità, senza alcun vaglio di
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attendibilità del contenuto delle stesse (rese quando ormai nei confronti dei dichiaranti erano stati raccolti elementi univoci in ordine alla loro responsabilità e quindi, strumentalmente finalizzate ad un più tenue trattamento sanzionatorio) ed in assenza di qualsivoglia riscontro.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati articolati due motivi.
4.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett.b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 530, comma 2 e 192 del codice di rito, nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità.
Rileva il ricorrente che manca la prova della conoscenza in capo all’imputato della provenienza illecita dei titoli di credito ricevuti da COGNOME: COGNOME vantav un credito nei confronti di quest’ultimo e per tale ragione ha posto all’incasso gli assegni che questi gli aveva consegnato.
4.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett.b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 62 bis cod. pen. e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al diniego di circostanze attenuanti generiche non avendo la Corte di appello indicato le ragioni ostative a tale diminuente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello non ha accolto l’eccezione difensiva di inutilizzabilità nei confronti di COGNOME delle dichiarazioni predibattimentali rese in sede di interrogatorio dai coimputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ed acquisite nel dibattimento di primo grado ai sensi dell’art. 513 cod. proc. pen.
Al riguardo, ha evidenziato come il consenso alla acquisizione e alla lettura fosse da ritenersi implicito nella mancata opposizione, da parte dell’odierno ricorrente e comunque dei suoi difensori di fiducia (pag.8 della sentenza impugnata).
Tale decisione è corretta in quanto conforme al principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità che si ritiene di condividere e far proprio secondo il quale, poiché l’art. 513, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen. non prevede che il consenso debba manifestarsi in modo espresso e formale, ai fini dell’utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali “contra alios” rese da imputati contumaci, assenti o che abbiano rifiutato di sottoporsi a esame, esso può desumersi in via
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implicita dalla mancanza di specifica opposizione (Sez. 2 n. 50568 del 10/11/2023, COGNOME, Rv. 285689; Sez. 5, n. 13895 del 14/01/2015, Martini Rv. 262942).
1.2. E’ del tutto generico il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce l’assenza di motivazione in ordine alla affermata attendibilità delle dichiarazioni eteroaccusatorie acquisite ed utilizzate nei confronti dell’imputato.
La deduzione ripropone pedissequamente le censure già prospettate nell’atto di appello senza alcun confronto con l’apparato argomentativo della sentenza impugnata (pag. 8) in punto di doveroso vaglio di attendibilità delle plurime chiamate in correità da parte dei coimputati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Angelo.
La Corte territoriale ha evidenziato che le dichiarazioni rese dai correi avevano valenza autoaccusatoria, erano convergenti tra loro, così da riscontrarsi reciprocamente ed anche di natura individualizzante, avendo ciascuno dei propalanti riconosciuto – individualmente ed autonomamente- COGNOME nelle immagini fotografiche visionate in colui che aveva consegnato loro assegni contraffatti da porre all’incasso, dietro retribuzione della somma di 400,00 euro da corrispondersi all’esito della negoziazione.
Tale valutazione è del tutto aderente al consolidato orientamento di legittimità (che si condivide) secondo cui le dichiarazioni accusatorie rese da imputati dello stesso reato, per costituire prova, possono anche riscontrarsi reciprocamente, purchè esse siano, ciascuna, dotate di intrinseca attendibilità, soggettiva ed oggettiva, e – in assenza di specifici elementi di sospetto di accordi fraudolenti o reciproche suggestioni – siano convergenti in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione ed abbiano portata individualizzante, intesa quale riferibilità sia alla persona dell’incolpato che alle imputazioni a lui ascritte (ex multis Sez. 1, n. 17370 del 12/09/2023, COGNOME, Rv. 286327; Sez. 1, n. 10561 del 28/10/2020, COGNOME, Rv. 280741; Sez. 6 n. 47108 del 8/10/2019, COGNOME, Rv. 277393).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
2.1. Il primo motivo – con il quale si deduce la violazione degli artt. 192, 530, comma 2, cod. proc. pen., nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in punto di elemento soggettivo del delitto di ricettazione – è, in parte, non consentito e, per altra parte, generico.
Va richiamato il condivisibile orientamento di questa Corte secondo il quale le doglianze relative alla violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., riguardanti la valutazione delle risultanze probatorie, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. 1,
n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567). Tale principio è stato recentemente ribadito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte laddove si è affermato che non è «consentito il motivo di ricorso con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullit inammissibilità, decadenza» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027-04, in motivazione).
La deduzione, dunque, può essere esaminata solo sotto l’aspetto del vizio motivazionale, che è stato prospettato con riferimento al profilo della mancanza e manifesta illogicità, chiaramente insussistente, alla luce delle argomentazioni sviluppate nella sentenza impugnata, in larga parte obliterate dalla difesa che ha reiterato in questa sede una doglianza di puro merito, sollecitando un sindacato sulle valutazioni effettuate ed invocando, di fatto, una inammissibile rilettura delle prove poste a fondamento della decisione impugnata.
La Corte di appello (pagg. 10 e 11) ha puntualmente e logicamente argomentato in punto di consapevolezza in capo all’imputato della provenienza delittuosa dei titoli di credito ricevuti da COGNOME evidenziando che la te giustificativa relativa ad un pregresso rapporto di debito-credito tra i due coimputati era totalmente sfornito e in palese contrasto con la circostanza che gli assegni negoziati da COGNOME indicavano, quali ordinanti, nominativi del tutto diversi da quello di COGNOME.
Tale costrutto motivazionale (con il quale il ricorrente non si confronta) è congruo, privo di illogicità ed aderente all’ormai consolidato indirizzo ermeneutico, dettato dalla giurisprudenza di legittimità (e che qui si ribadisce) per cui, l circostanza che l’imputato sia stato trovato nella disponibilità di un bene provento di delitto e non abbia fornito alcuna attendibile giustificazione in ordine a tal possesso, integra il dolo del delitto di ricettazione (pacificamente configurabile anche nella forma eventuale), perché rivelatrice di una volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (ex multis, Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 270120; Sez. 2, n. 50952 del 26/11/2013, COGNOME, Rv. 257983; Sez. 1, n. 13599 del 13/03/2012 COGNOME, Rv. 252285).
Tale principio non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un “vulnus” alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell’indagine sul
consapevolezza circa la provenienza illecita della “res”, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa (Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME,
Rv. 268713). Non si richiede, in tal modo, all’imputato di provare la provenienza del possesso della cosa, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione
dell’origine di tale disponibilità, assolvendo non ad un onere probatorio, bensì di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova
per le parti e per i poteri officiosi del giudice di merito e comunque valutabili dall stesso secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Sez. U. n.
35535 del 12.7.2007, COGNOME, Rv. 236914, in motivazione).
2.2. Il secondo motivo di ricorso – con il quale si deduce la violazione dell’art.
62
bis cod. pen. ed il vizio di motivazione in punto di diniego di attenuanti
generiche – è inconferente atteso che la diminuente in questione è stata già
riconosciuta nella massima estensione dal giudice di primo grado (pag. 15 della sentenza del Tribunale ove è indicata la pena base per il più grave reato di cui al
capo W in anni due di reclusione ed euro 600,00 di multa, ridotta di un terzo ex bis
art. 62
cod. pen. a mesi sedici di reclusione ed euro 400,00 di multa).
In assenza di appello della parte pubblica, tale statuizione è stata doverosamente confermata dalla Corte di merito che, in sede di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di estinzione del delitto di tentata truffa contestato al cap Y per intervenuta prescrizione, è incorsa in errore – con effetti, tuttavia, favorevol per l’imputato- eliminando non solo il quantum di aumento a titolo di continuazione per il reato estinto ( giorni dieci di reclusione ed euro 10,00 di multa) ma anche la porzione di sanzione relativa alla ricettazione di cui al capo X (pari a mesi uno di reclusione ed euro 30,00 di multa).
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila, ciascuno, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/03/2025