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Dichiarazioni autoindizianti: testimonianza nulla

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per usura a carico di un appartenente all’Arma dei Carabinieri. La decisione si fonda sull’inutilizzabilità delle dichiarazioni della presunta vittima, la quale, durante la propria testimonianza, aveva reso dichiarazioni autoindizianti per un reato connesso senza ricevere le garanzie previste per l’indagato. La Corte ha stabilito che, dal momento in cui emergono indizi di reità a carico di un testimone, l’esame deve essere interrotto e le dichiarazioni successive sono inutilizzabili erga omnes, ovvero nei confronti di tutti.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazioni autoindizianti: La Cassazione chiarisce i limiti della testimonianza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del diritto processuale penale: quando un testimone fa dichiarazioni autoindizianti, il suo status cambia e, se le garanzie difensive non vengono attivate, le sue parole diventano inutilizzabili. Il caso, che vedeva coinvolto un membro delle forze dell’ordine accusato di usura, si è risolto con l’annullamento della condanna proprio per la violazione di questa regola cruciale.

I Fatti del Processo

Un appartenente all’Arma dei Carabinieri era stato condannato in primo e secondo grado per il reato di usura ai danni di un imprenditore. Un’altra accusa, relativa all’induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.), era stata dichiarata estinta per prescrizione.

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la propria argomentazione su un vizio procedurale dirimente: la persona offesa, nel corso della sua testimonianza, aveva ammesso di aver corrisposto una somma di denaro all’imputato per evitare controlli sulla sua attività. Questa ammissione configurava un’auto-accusa per il reato di cui all’art. 319-quater, lo stesso per cui l’altro capo d’imputazione era stato prescritto.

Nonostante l’emersione di questi chiari indizi di reità a suo carico, l’esame del testimone non era stato interrotto, né gli erano state fornite le garanzie previste dalla legge per chi assume la veste di indagato, come il diritto al silenzio e la presenza di un difensore.

La questione delle dichiarazioni autoindizianti in giudizio

Il fulcro della decisione della Cassazione ruota attorno all’articolo 63 del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che se, durante un esame, emergono indizi di reità a carico della persona che sta deponendo, l’autorità giudiziaria deve interrompere l’atto. A quel punto, il soggetto deve essere avvertito che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e invitato a nominare un difensore. Le dichiarazioni rese fino a quel momento non possono essere usate contro di lui, ma possono essere usate contro terzi. La questione cruciale, risolta dalla Corte, riguarda il valore delle dichiarazioni rese dopo questo momento critico.

le motivazioni

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. I giudici hanno chiarito che le regole sulla formazione della prova dichiarativa sono “tipiche” e la loro violazione comporta la sanzione massima dell’inutilizzabilità. Quando un testimone, inizialmente “neutro”, si auto-accusa, il suo status subisce una “interversione”: da semplice teste diventa un “dichiarante coinvolto nel fatto”.

Questo cambiamento impone l’immediata interruzione dell’esame e l’attivazione delle garanzie difensive. Se ciò non avviene, come nel caso di specie, le dichiarazioni successive all’emersione degli indizi sono inutilizzabili erga omnes, cioè non solo contro chi le ha rese, ma anche contro terzi, incluso l’imputato principale.

La Corte ha sottolineato che questa interpretazione è l’unica coerente con la legge. Le dichiarazioni utilizzabili contro terzi sono esclusivamente quelle “precedenti” all’emersione degli indizi. Quelle “successive” sono viziate alla radice e non possono entrare nel compendio probatorio a carico di nessuno. Pertanto, la Corte d’appello aveva errato nel basare la condanna su testimonianze che avrebbero dovuto essere dichiarate processualmente inesistenti.

le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna e ha rinviato il processo ad un’altra sezione della Corte d’appello di Napoli. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso senza tener conto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa dopo il momento in cui si è auto-accusata. Questa sentenza ribadisce la centralità delle garanzie difensive e del diritto a non auto-incriminarsi, stabilendo che la violazione di tali principi contamina la prova in modo insanabile, con effetti che si estendono a tutti i protagonisti del processo.

Cosa succede quando un testimone si auto-accusa durante una deposizione?
L’autorità che conduce l’esame deve immediatamente interromperlo, avvertire la persona che potrebbero essere svolte indagini a suo carico e invitarla a nominare un difensore. Le sue dichiarazioni precedenti restano utilizzabili contro terzi, ma non contro di lui.

Le dichiarazioni rese da un testimone dopo essersi auto-accusato sono utilizzabili contro l’imputato?
No. Se l’esame non viene interrotto e non vengono fornite le garanzie di legge, le dichiarazioni successive all’emersione degli indizi di reità sono inutilizzabili erga omnes, ovvero nei confronti di tutti, compreso l’imputato principale.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in questo caso specifico?
La condanna è stata annullata perché si basava su dichiarazioni accusatorie rese da un testimone che, nel corso della stessa deposizione, si era auto-incriminato per un reato connesso. Poiché la procedura non era stata interrotta per garantirgli i diritti della difesa, le sue dichiarazioni successive erano legalmente inutilizzabili e non potevano fondare la sentenza di condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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