Dichiarazioni acquirenti e ricettazione: i limiti del giudizio di Cassazione
In materia di ricettazione, le dichiarazioni acquirenti di beni di provenienza illecita assumono un ruolo cruciale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la distinzione tra il giudizio di merito, dove si valutano le prove, e quello di legittimità, dove si controlla la corretta applicazione della legge. Il caso in esame riguardava un ricorso contro una condanna per ricettazione di tre computer, basato sulla presunta inutilizzabilità delle testimonianze rese proprio dagli acquirenti.
I Fatti di Causa
Un soggetto veniva condannato in Corte d’Appello per il reato di ricettazione, previsto dall’art. 648 del codice penale, per aver ricevuto e venduto tre computer di provenienza furtiva. L’imputato decideva di ricorrere per Cassazione, affidando la sua difesa a un unico motivo: l’errata gestione processuale delle dichiarazioni acquirenti dei computer.
Secondo la tesi difensiva, gli acquirenti avrebbero dovuto essere interrogati non come semplici testimoni, ma con le garanzie previste dall’art. 210 del codice di procedura penale, applicabili a chi è indagato o imputato in un procedimento connesso. Ciò implicava, secondo il ricorrente, che gli acquirenti non fossero in buona fede e che le loro dichiarazioni, rese senza le dovute cautele, fossero processualmente inutilizzabili.
Le motivazioni della Corte di Cassazione sull’utilizzabilità delle dichiarazioni acquirenti
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e lineare. Gli Ermellini hanno evidenziato come la questione della buona o mala fede degli acquirenti fosse già stata ampiamente esaminata e risolta dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva concluso, con una motivazione ritenuta logica e priva di vizi, che gli acquirenti avevano agito in buona fede e, pertanto, non potevano essere considerati co-indagati per il reato di ricettazione. Di conseguenza, la loro audizione come semplici testimoni era stata corretta.
Il punto centrale della decisione della Cassazione risiede nella natura del suo giudizio. Il ricorso, nel tentativo di contestare la buona fede degli acquirenti, chiedeva di fatto alla Suprema Corte di effettuare una nuova e diversa valutazione degli elementi di prova. Questo tipo di attività, tuttavia, è preclusa in sede di legittimità. La Corte di Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono rivalutare i fatti; il suo compito è verificare che i giudici di merito abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo coerente e non manifestamente illogico.
Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio cardine del processo penale: il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un’occasione per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti compiuto nei gradi di merito. Se la Corte d’Appello ha valutato in modo logico e congruo le prove, come le dichiarazioni acquirenti, e ha concluso per la loro buona fede, tale valutazione non è sindacabile in sede di legittimità. L’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, sancisce l’impossibilità di superare tale limite, confermando la piena validità della sentenza di condanna.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, invece di contestare vizi di legge, chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti del processo, in particolare la valutazione sulla buona fede degli acquirenti, un’attività che non rientra nelle competenze del giudizio di legittimità.
Le dichiarazioni di chi acquista merce rubata sono sempre utilizzabili in un processo per ricettazione?
Secondo la decisione, se i giudici di merito stabiliscono con motivazione logica che gli acquirenti erano in buona fede (cioè non sapevano della provenienza illecita del bene), le loro dichiarazioni sono pienamente utilizzabili e possono essere rese con le modalità della semplice testimonianza.
Qual è la conseguenza dell’inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione priva dei presupposti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46501 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46501 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 27/03/1990
avverso la sentenza del 05/03/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
letto il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME avverso la sentenza in epigrafe indicata;
ritenuto che con l’unico motivo di ricorso si censura l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli acquirenti di tre computer provento di furto e, in relazione ai quali, all’imputato è contestato il reato di cui all’art. 648 cod. pen.;
rilevato che la questione è stata ampiamente esaminata dalla Corte di appello che, con motivazione immune da censure rilevabili in questa sede, ha ritenuto che gli acquirenti avessero in buona fede acquistato i p.c. e, quindi, non andavano escussi con le forme previste dall’art. 210 cod. pen.;
ritenuto che, per superare tale affermazione, il ricorrente introduce la valutazione di elementi di fatto, sottratti all’esame della Corte in sede di legittimità;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 novembre 2024