Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27176 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27176 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MUGNANO DI NAPOLI il 17/07/1987
avverso l’ordinanza del 04/02/2025 del TRIBUNALE di NAPOLI, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 4 febbraio 2025 il Tribunale di Napoli, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, decidendo sulla richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME confermava l’ordinanza emessa il 4 dicembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, con la quale era stata applicata al COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di tentata estorsione aggravata ex art. 416-bis.1 cod. pen. commessa in Giugliano in Campania nel gennaio del 2020 in concorso con NOME COGNOME e in danno degli imprenditori COGNOME NOME e COGNOME NOME, avente ad oggetto l’effettuazione di lavori di ristrutturazione di
una mansarda nella disponibilità del Moraca senza che fosse previsto il pagamento di un corrispettivo.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il COGNOME, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo, con il quale deduceva violazione degli artt. 63, comma 2, 192 e 210 cod. proc. pen. nonché mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Rassegnava che il coinvolgimento del ricorrente nella vicenda estorsiva era emerso da alcune conversazioni telefoniche intercorse fra COGNOME NOME, indagato per concorso esterno nell’associazione camorristica denominata “clan COGNOME“, e lo zio COGNOME NOME, a propria volta indagato per il reato di abuso di ufficio aggravato dalla finalità di agevolazione del “clan COGNOME“, i quali nel corso di tali conversazioni avevano palesato il timore di essere intercettati, così che, secondo l’assunto difensivo, le loro dichiarazioni non potevano essere considerate genuine, e comunque avrebbero reso necessaria l’applicazione delle garanzie di cui all’art. 210 cod. proc. pen., essendo i COGNOME imputati di reati connessi a quello oggetto dell’ordinanza impugnata.
Assumeva che il Tribunale aveva errato nel ritenere l’inapplicabilità dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen. in ragione della spontaneità della denuncia sporta da COGNOME NOME, considerato che la sanzione dell’inutilizzabilità prevista dalla detta disposizione non dipendeva dal carattere spontaneo o meno delle dichiarazioni rese, bensì dalla qualità soggettiva del dichiarante.
Deduceva per altro verso che il principio del “nemo tenetur se detegere” era applicabile anche alle dichiarazioni fatte oggetto di captazione nell’ipotesi in cui il soggetto dichiarante avesse il timore di essere sottoposto a intercettazione.
Assumeva che nel caso di specie COGNOME NOME aveva avuto il sospetto di essere intercettato, tanto che in data 27 gennaio 2020 aveva provveduto a sottoporre a bonifica la propria autovettura, e che nonostante ciò era rimasto nel medesimo COGNOME il timore che altri dispositivi di intercettazione fossero attivi su apparecchi telefonici o in altri luoghi, così che le sue dichiarazioni non potevano essere considerate genuine.
Deduceva che l’ordinanza impugnata non aveva argomentato in ordine ai legami intercorsi fra i COGNOME e l’associazione criminale denominata “clan COGNOME” e che il Tribunale si era limitato a riprodurre pedissequamente il contenuto dell’ordinanza genetica emessa dal Giudice per le indagini preliminari
e non aveva reso alcuna argomentazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari.
Assumeva in particolare che la richiesta di effettuazione di lavori edilizi effettuata ai COGNOME dal COGNOME, per il tramite del COGNOME non aveva avuto le caratteristiche di una minaccia e che, peraltro, non era emersa al processo la connotazione della frase che il COGNOME, nell’avanzare tale richiesta, aveva pronunciato all’indirizzo dei COGNOME.
Quanto alla motivazione resa in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari la difesa assumeva che il Tribunale si era affidato a mere clausole di stile e non aveva considerato il fatto che si era trattato di un episodio isolato, risalente al mese di gennaio del 2020.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Deve, invero, ritenersi che il Tribunale abbia fatto corretta applicazione delle norme processuali che si assumono violate, osservando congruamente, quanto alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni del denunciante COGNOME NOME, che “in tema di giudizio abbreviato, sono utilizzabili ai fini della decisione le dichiarazioni contenute nelle denunzie e nelle querele presentate nel corso delle indagini preliminari, anche se provenienti da persona giudicata in procedimento per reato collegato, in quanto dalla stessa spontaneamente rese, sicché non trovano applicazione le previsioni di cui all’art. 63 c.p.p.” (v. pag. 6 dell’ordinanza impugnata), con ciò facendo applicazione del principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità e condiviso da questo Collegio, secondo il quale le dichiarazioni, contenute nella denuncia – querela, spontaneamente rese da soggetto non ancora formalmente indagato, ma attinto da indizi di reità per vicende potenzialmente suscettibili a dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo carico per reati connessi o collegati a quello oggetto di denuncia, non sono soggette alle garanzie di cui all’art. 63 cod. proc. pen., risultando implicitamente abdicato dal soggetto interessato il diritto al riserbo su vicende che potrebbero ridondare a suo danno (v., ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 16382 del 18/03/2021, Canino, Rv. 281129 – 01; in motivazione, la Corte ha, altresì, precisato che gli esiti patologici derivanti dal presidio assicurato dall’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., sono diversamente
modulati con riguardo alla natura dell’atto e alla fase processuale cui inerisce l’eccezione di inutilizzabililtà).
Ciò premesso, ritiene il Collegio che il Tribunale abbia reso una motivazione immune da vizi quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e dell’esigenza cautelare del pericolo di condotte recidivanti.
Quanto al primo aspetto il giudice della cautela, dopo aver richiamato il contenuto della querela presentata dal COGNOME, ha ritenuto, con motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria, che il sospetto nutrito per alcune settimane da COGNOME NOME di essere sottoposto a intercettazioni “era stato superato all’esito della bonifica della sua autovettura effettuata in data 27 gennaio 2020, ovvero in epoca antecedente a gran parte delle conversazioni utilizzate per la ricostruzione di tale episodio delittuoso” (v. pag. 9 del provvedimento impugnato), ritenendo per tale ragione del tutto genuine le conversazioni intercettate, utilizzate per ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato contestato.
Non risulta, invero, ragionevole il rilievo difensivo secondo il quale il sospetto di essere intercettato sarebbe rimasto fermo in capo al Vitiello anche successivamente alla bonifica della propria autovettura.
Il Tribunale, quindi, ha tratto conseguenze del tutto logiche dall’esame del contenuto della denuncia e degli esiti delle conversazioni intercettate, ricostruendo il fatto sussunto nell’imputazione provvisoria ed evidenziando che “NOME Felice aveva effettivamente richiesto al COGNOME NOME di eseguire dei lavori di ristrutturazione di una mansarda nella sua disponibilità, per i quali lo stesso non avrebbe corrisposto alcuna somma di danaro … lasciando chiaramente intendere che avrebbe dovuto farlo a sue spese” (v. pagg. 10 e 11 dell’ordinanza impugnata).
Quanto al contenuto di minaccia della richiesta avanzata il Tribunale ha adeguatamente osservato che nella specie il tenore minaccioso risultava insito nella pretestuosità della richiesta, avente ad oggetto l’erogazione di una prestazione gratuita, e ha reso idonea motivazione anche riguardo al presunto controcredito che il Moraca, in relazione ai lavori richiesti, avrebbe opposto in compensazione, osservando congruamente che non era emersa “alcuna indicazione specifica in ordine al credito che la difesa del COGNOME ha ritenuto, in maniera del tutto astratta e generica, che lo stesso vantasse nei confronti del COGNOME NOME, non avendo il COGNOME fornito alcuna delucidazione sul punto …” (v. pag. 11 dell’ordinanza impugnata).
Sempre in tema di gravi indizi di colpevolezza il Tribunale ha reso, infine, una motivazione immune da vizi anche in relazione alla contestata circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., affermando che “non è revocabile in dubbio che l’agire del COGNOME e del COGNOME – come sopra descritto – integri senz’altro gli estremi della circostanza aggravante speciale del metodo mafioso. Infatti, la riproduzione delle modalità dell’intimidazione propria delle organizzazioni criminali di tipo camorristico, così da spargere il terrore e il senso della sottomissione della vittima – sollecitata da uno dei reggenti del clan COGNOME ad eseguire dei lavori di ristrutturazione di una mansarda nella disponibilità dello stesso senza ottenere il pagamento di tale prestazione, poco tempo dopo la sua scarcerazione, pressando in maniera reiterata il figlio dell’imprenditore al punto da spingerlo a contattare il padre, in uno stato di evidente timore, per sapere come doveva comportarsi – corrispondono agli elementi che sono normativamente considerato espressivi della peculiare carica di offensività del fatto cui si associa il maggior carico sanzionatorio. Del resto, le modalità stesse del reato oggetto di contestazione ed il calibro del COGNOME, con un ruolo organizzativo all’interno del clan COGNOME proprio nel settore delle estorsioni, consentono di ravvisare, nel caso di specie, l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p., anche sotto l’aspetto dell’agevolazione dell’attività dell’associazione camorristica di riferimento, anche se alla stessa non si è affiliati” (v. pagg. 13 e 14 del provvedimento impugnato).
Il giudice della cautela ha reso adeguata motivazione anche in punto di esigenze cautelari, richiamando le modalità della condotta, ritenute sintomatiche di professionalità nell’agire criminoso e della contiguità del COGNOME con ambienti criminali organizzati e in particolare con NOME COGNOME, esponente di spicco del “clan COGNOME“, ciò che ha ritenuto sufficiente a connotare di concretezza il pericolo di condotte recidivanti, rimanendo privo di valenza significativa, di fronte a tali pregnanti elementi, il tempo decorso dalla data dei fatti.
2. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”,
deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa dell
ammende.
Così deciso il 15/05/2025