Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25547 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25547 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2025
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 716/2025
NOME COGNOME
CC Ð 15/05/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 10372/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Sciacca il 23 ottobre 1960
avverso la sentenza del 5 novembre 2024 della Corte dÕappello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Oggetto dellÕimpugnazione è la sentenza con la quale la Corte dÕappello di Palermo che, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui agli artt. 76 d.P.R. n. 445 del 2000 e 483 cod. pen., per aver affermato falsamente, nella dichiarazione sostitutiva di certificazione destinata allÕufficio territoriale dellÕAgenzia delle Entrate, di non aver riportato condanne per reati finanziari e di non trovarsi nelle condizioni di cui allÕart. 15 della legge n. 55 del 1990.
Il ricorso, proposto nellÕinteresse dellÕimputato, si compone di tre motivi dÕimpugnazione.
2.1. Il primo, formulato sotto il profilo dellÕinosservanza di norma processuale (in relazione agli artt. 178 e 180 cod. proc. pen.), deduce che la Corte territoriale avrebbe trattenuto la causa in decisione nonostante lÕadesione, tempestivamente comunicata dal difensore, allÕastensione dalle udienze penali proclamata dalla Giunta dellÕUnione delle camere penali per lÕudienza del 5 novembre 2024, con conseguente nullitˆ della sentenza emessa.
2.2. Il secondo, formulato sotto i profili dellÕinosservanza di norma processuale (in relazione agli artt. 125, 546 e 630 cod. proc. pen.), violazione di legge (in relazione agli artt. 483 cod. pen. e 76 d.P.R. n. 445 del 2000) e connesso vizio di motivazione, deduce lÕinsussistenza delle due condotte di falso contestate.
Il concetto di reato finanziario, si sostiene, non ha un aggancio normativo e lÕesistenza di interpretazioni giurisprudenziali costanti non vale, di per sŽ, a colmare lÕoriginaria carenza di tipicitˆ: non potrebbero ritersi tali tutti i reati per presentino rilevanza economica (per lÕeccessiva vaghezza del criterio selettivo), nŽ, di per sŽ, tutti i reati fallimentari. Comunque, non potrebbero ritenersi tali i reati per i quali il COGNOME è stato condannato: non il reato di omessa consegna di beni del fallimento (in ragione del modesto valore di tali beni), non lÕinteresse privato del curatore, scevro da connotazioni economiche, nŽ, in ultimo, potrebbero avere rilevanza le precisazioni rese dalla stessa Agenzia delle Entrate (con la circolare n. 28/E del 29 aprile 2014), richiamate nella sentenza impugnata, tanto più che neanche in tale sede verrebbero ricompresi i reati per i quali il ricorrente è stato condannato.
LÕattestazione di insussistenza delle condizioni di cui allÕart. 15 della l. n. 55 del 1992, invece, è stata resa nella convinzione della non vigenza di tale norma e, comunque, della sua inapplicabilitˆ, in quanto diretta ai canditati delle elezioni regionali e nazionali. E ci˜ anche perchŽ la condanna per omissione continuata di atti dÕufficio è stata emessa ai sensi dellÕart. 444 cod. proc. pen. e, quindi, essendo al momento del fatto per cui è giudizio, decorso il quinquennio di cui allÕart. 445 cod. proc. pen., priva di effetti penali.
2.3. Il terzo motivo, formulato sotto i profili dellÕinosservanza di norma processuale (in relazione agli artt. 125, 546 cod. proc. pen.), violazione di legge (in relazione agli artt. 99, 62e 133 cod. pen) e connesso vizio di motivazione, attiene al trattamento sanzionatorio e deduce la carenza di una reale motivazione in relazione alla determinazione della pena irrogata e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
1. Il primo motivo è infondato. Il giudizio di appello è stato celebrato secondo il rito cartolare, per cui, in assenza di tempestive richieste di discussione orale (neanche dedotta), non avendo l’istante diritto di partecipare all’udienza camerale e potendo il rinvio essere concesso solo in relazione ad atti o adempimenti per i quali sia prevista la presenza del difensore (in questi termini la giurisprudenza richiamata nel ricorso), l’istanza di rinvio presentata dal difensore che dichiari di aderire all’astensione collettiva proclamata dai competenti organismi di categoria è priva di effetti (Sez. 5, n. 26764 del 20/04/2023, COGNOME, Rv. 284786).
2. Ugualmente infondato è il secondo motivo di ricorso. I fatti in contestazione non sono controversi: l’imputato ha trasmesso all’Agenzia delle Entrate la comunicazione art. 21 del D.M. n. 164 del 1999 per esercitare la facoltˆ di rilasciare il visto di conformitˆ di cui al D.M. n. 164 Min. Finanze del 31 maggio 1999, con la relativa documentazione allegata, ivi compresa la dichiarazione, resa ai sensi dell’art. 46 del DPR n. 445 del 2000, sui requisiti previsti in materia. Dichiarava, in particolare, ”
” e “
“.
Acquisito il certificato del casellario giudiziale, emergevano: 1) una sentenza, del 9 maggio 2011, di applicazione della pena si richiesta delle parti per omessa consegna di cose del fallimento (art. 230 l. fall.); 2) una sentenza del 7 giugno 2013, di applicazione della pena su richiesta delle parti, per omissione di atti di ufficio (art. 328 cod. pen.); 3) una sentenza dellÕ11 maggio 2014, di applicazione della pena su richiesta delle parti, per rifiuto di atti di ufficio continuato (artt. 81, 328 cod. pen.); 4) una sentenza del 6 novembre 2014, di condanna per interesse privato del curatore negli atti del fallimento (art. 228 l. fall.).
Il difensore deduce la genericitˆ del concetto di reati finanziari e la convinzione della non vigenza della norma richiamata al più volte citato art. 15 (comunque diretta ai canditati nelle elezioni regionali e nazionali).
Le censure, entrambe infondate, impongono di delimitare preliminarmente i confini dellÕelemento soggettivo del reato contestato.
Va, infatti premesso, che la partecipazione soggettiva richiesta dalla fattispecie incriminatrice (configurata, normativamente, in termini di dolo generico) si sostanzia nella volontˆ, cosciente e non coartata, di compiere il fatto (rendendo la dichiarazione sostitutiva), nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, COGNOME,
Rv. 28104; Sez. 2, n. 47867 del 28/10/2003, Ammatura, Rv. 227078; Sez. 3, n. 44097 del 3/5/2018, I., Rv. 274126).
Tanto presuppone, effettivamente, la cognizione del contenuto della dichiarazione da rendere, perchŽ solo la piena consapevolezza in ordine a ci˜ che viene dichiarato è logico presupposto affinchŽ possa ipotizzarsi una volontˆ cosciente e non coartata di rendere la dichiarazione e, con essa, consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero. NŽ pu˜ imporsi, ad integrazione del contenuto della dichiarazione, un generico dovere di accertamento del contenuto giuridico e fattuale della dichiarazione resa (ove, ad esempio, la dichiarazione viene resa su moduli prestampati), in quanto, in tal caso, la responsabilitˆ per il delitto di cui all’art. 483 cod. pen., verrebbe fondata non giˆ in ragione della coscienza e volontˆ di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, ma sulla base di una colposa omissione di indagine, insuscettibile di integrare il delitto di cui all’art. 483 cod. pen., punibile solo a titolo di dolo (Sez. 5, n. 12710 del 27/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263888).
Ci˜ premesso, entrambi i giudici di merito, concordemente, facendo corretta applicazione di tali principi, hanno ritenuto il COGNOME pienamente consapevole della falsitˆ di quanto dichiarato. Il ricorrente, infatti, è un dottore commercialista e ha reso la dichiarazione allÕAgenzia delle Entrate al fine di poter esercitare la facoltˆ di rilasciare il visto di conformitˆ di cui al D.M. n. 164 del 31 maggio 1999. Ebbene, proprio lÕAgenzia delle Entrate (con la risoluzione n. 73/E del 13 luglio 2010 e la successiva circolare n. 28/E del 25 settembre 2014), destinataria della dichiarazione, aveva esplicitamente delimitato il perimetro della dichiarazione da rendere, specificando che, fra i reati finanziari, rientrano, in particolare e per quel che rileva in questa sede, anche quelli previsti dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, rubricato
(cd. reati fallimentari). NŽ tanto rappresenta, come pare evocare la difesa, unÕeterointegrazione del precetto penale (riferito al solo profilo della ), sostanziandosi, invece, solo in unÕesterna integrazione del contenuto della dichiarazione da rendere, del quale, per come si è detto, il ricorrente, alla luce delle logiche argomentazioni offerte dai giudici di merito (e, in quanto tali, insindacabili in questa sede) doveva ritenersi pienamente consapevole.
Analoghe considerazioni valgono, a maggior ragione, in relazione al secondo profilo in contestazione, la dichiarata insussistenza delle condizioni di cui allÕart. 15 della legge n. 55 del 1992, norma che, seppur riferita alle condizioni di candidabilitˆ per le elezioni regionali e provinciali, indica espressamente non solo le condanne ritenute ostative, ma anche la rilevanza delle sentenze di patteggiamento. E la sopravvenuta estinzione del reato non incide, in sŽ, sul
contenuto stesso della dichiarazione, non rappresentando, la rilevanza penale della dichiarazione, un effetto penale precluso dellÕart. 445 cod. proc. pen., ma una logica conseguenza della falsitˆ di quanto affermato.
3. Le censure afferenti al trattamento sanzionatorio sono, invece, tutte indeducibili.
La graduazione della pena, invero, presuppone un apprezzamento in fatto e un conseguente esercizio di discrezionalitˆ (ed è, quindi, riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimitˆ, ove non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione: Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
Naturale corollario di tale assunto è che il giudice deve dar conto, sia pure sinteticamente, delle singole decisioni adottate nell’esercizio del suo potere discrezionale; onere che pu˜ ritenersi, per˜, adempiuto allorchŽ il giudice di merito abbia indicato, nel corpo della sentenza, gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410); ed è tanto meno stringente quanto più la determinazione sia prossima al minimo edittale, rimanendo, in ultimo, sufficiente il semplice richiamo al criterio di adeguatezza, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 28852 del 08/052013, Rv. 256464).
In questo contesto, le circostanze attenuanti generiche, in sŽ, non costituiscono oggetto di un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalitˆ del soggetto, ma necessitano, in positivo, di elementi ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio rendendolo coerente alla concreta gravitˆ del fatto (dei quali il giudice deve dar conto in motivazione); trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata, a fronte di specifica richiesta dell’imputato, anche attraverso la sola indicazione delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza la stretta necessitˆ della contestazione o dellÕinvalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315; Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Rv. 252900; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590).
Ci˜ considerato, il COGNOME è stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione (pena base anni nove, aumentata di due terzi per la recidiva e ridotta alla pena suindicata per il rito scelto). Ebbene, a prescindere dalla genericitˆ della censura afferente alla concreta determinazione del trattamento sanzionatorio, la sentenza di primo grado, nel richiamare lÕapplicazione dei criteri di cui allÕart. 133
cod. pen., ha dato atto ella ritenuta congruitˆ della pena irrogata, richiamando le caratteristiche del fatto e della personalitˆ dellÕimputato. La motivazione esiste e non è nŽ manifestamente illogica, nŽ contraddittoria e, nella sua ÒintensitˆÓ, alla luce di quanto osservato in precedenza, coerente con lÕentitˆ della pena irrogata.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cos’ deciso il 15 maggio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME