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Dichiarazione sostitutiva: la Cassazione sul dolo

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un professionista per il reato di falsità in una dichiarazione sostitutiva. L’imputato aveva attestato falsamente all’Agenzia delle Entrate di non avere condanne per reati finanziari, omettendo precedenti penali per reati fallimentari e contro la pubblica amministrazione. La Corte ha stabilito che il dolo sussiste nella consapevolezza di dichiarare il falso, a prescindere da personali interpretazioni sulla natura dei reati. Per un professionista, la conoscenza delle normative e delle circolari esplicative è un presupposto, rendendo la sua dichiarazione coscientemente falsa.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Sostitutiva Falsa: La Cassazione chiarisce i confini del Dolo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione penale affronta un tema cruciale per professionisti e cittadini: la responsabilità penale derivante da una dichiarazione sostitutiva non veritiera. Il caso riguarda un dottore commercialista condannato per aver falsamente attestato all’Agenzia delle Entrate l’assenza di precedenti penali in ambito finanziario, al fine di ottenere l’abilitazione al rilascio del visto di conformità. La decisione della Suprema Corte offre importanti chiarimenti sulla configurabilità del dolo e sulla diligenza richiesta a chi autocertifica.

I Fatti del Caso

Un professionista, per poter esercitare la facoltà di rilasciare il visto di conformità, ha trasmesso all’Agenzia delle Entrate una comunicazione corredata da una dichiarazione sostitutiva di certificazione. In tale documento, attestava, tra le altre cose, di non aver riportato condanne per reati finanziari e di non trovarsi nelle condizioni ostative previste dalla legge. Tuttavia, un controllo del suo certificato del casellario giudiziale ha rivelato l’esistenza di diverse condanne definitive, tra cui:

* Omessa consegna di beni del fallimento.
* Interesse privato del curatore negli atti del fallimento.
* Omissione e rifiuto di atti d’ufficio.

Sia in primo grado che in appello, il professionista è stato ritenuto responsabile del reato di false dichiarazioni, previsto dagli artt. 76 del d.P.R. 445/2000 e 483 del codice penale.

Le Argomentazioni della Difesa sulla dichiarazione sostitutiva

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali. Il secondo, di particolare interesse, contestava la sussistenza stessa del reato, sostenendo che:

1. Il concetto di ‘reato finanziario’ è vago e non definito normativamente. Secondo la difesa, le condanne riportate (in particolare quelle per reati fallimentari) non rientrerebbero automaticamente in questa categoria.
2. La dichiarazione di assenza delle condizioni ostative era stata resa nella convinzione che la norma non fosse più vigente o applicabile, e che gli effetti penali di una delle condanne (ottenuta tramite patteggiamento) fossero ormai estinti, essendo trascorsi più di cinque anni.

In sostanza, la difesa puntava a dimostrare l’assenza dell’elemento soggettivo del reato, il dolo, facendo leva su un presunto errore interpretativo scusabile.

L’Analisi della Corte di Cassazione e la Consapevolezza del Falso

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito in modo inequivocabile i principi che regolano la responsabilità per false autocertificazioni.

Sulla Nozione di ‘Reato Finanziario’

La Corte ha smontato l’argomentazione sulla presunta vaghezza del termine. Ha evidenziato che la stessa Agenzia delle Entrate, destinataria della dichiarazione, aveva esplicitamente chiarito, tramite risoluzioni e circolari (in particolare la n. 28/E del 2014), che i reati previsti dalla legge fallimentare rientrano a pieno titolo nella categoria dei reati finanziari rilevanti ai fini della dichiarazione sostitutiva.

Secondo la Cassazione, il ricorrente, in qualità di dottore commercialista, non poteva non essere a conoscenza di tali atti interpretativi. La sua professionalità imponeva una diligenza qualificata. Pertanto, la sua affermazione non poteva che essere il risultato di una scelta cosciente e volontaria di dichiarare il falso.

Sulla Dichiarazione di Fatti Storici

Anche riguardo alla seconda falsa attestazione, la Corte è stata netta. La dichiarazione sostitutiva richiedeva di attestare l’assenza di determinate condanne. La successiva estinzione degli effetti penali di una condanna non cancella il fatto storico della sua esistenza. Dichiarare di non aver riportato condanne, quando invece esistono, costituisce una falsità oggettiva. La consapevolezza di alterare la verità su un dato fattuale è sufficiente a integrare il dolo richiesto dalla norma.

le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un principio cardine: il reato di cui all’art. 483 c.p. è punibile solo a titolo di dolo generico. Questo significa che per la sua configurazione è sufficiente la volontà cosciente di compiere il fatto (rendere la dichiarazione) con la consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dire la verità. Non è necessario un generico dovere di accertamento del contenuto giuridico della dichiarazione, ma quando il dichiarante è un professionista qualificato, come nel caso di specie, la piena consapevolezza del contenuto della dichiarazione e delle sue implicazioni è presunta. L’Agenzia delle Entrate aveva già delimitato il perimetro dei ‘reati finanziari’, includendo quelli fallimentari. Pertanto, il professionista era pienamente consapevole della falsità di quanto dichiarato. Analogamente, l’estinzione degli effetti penali di una condanna non ne elimina la rilevanza storica ai fini della veridicità di una dichiarazione che ne attesti l’esistenza o meno.

le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di fondamentale importanza: chi compila una dichiarazione sostitutiva ha il dovere di attenersi alla verità dei fatti. La responsabilità è particolarmente accentuata per i professionisti, dai quali ci si attende una conoscenza approfondita delle normative di settore e degli atti interpretativi delle autorità competenti. Non è possibile invocare l’incertezza normativa per giustificare una dichiarazione non veritiera, soprattutto quando esistono chiarimenti ufficiali. Questa decisione serve da monito sulla serietà e sulle conseguenze penali che possono derivare dalla compilazione superficiale o volutamente mendace di un’autocertificazione.

Un reato fallimentare è considerato un ‘reato finanziario’ in una dichiarazione sostitutiva?
Sì. Secondo la sentenza, se l’ente destinatario della dichiarazione (in questo caso, l’Agenzia delle Entrate) ha chiarito con propri atti interpretativi che i reati fallimentari rientrano in tale categoria, il dichiarante, specialmente se è un professionista del settore, è tenuto a saperlo e a dichiarare il vero.

Se gli effetti penali di una mia condanna sono estinti, devo comunque menzionarla in una dichiarazione sostitutiva?
Sì, se la dichiarazione chiede di attestare l’esistenza di condanne passate. La Corte chiarisce che l’estinzione degli effetti penali non cancella il fatto storico della condanna. La falsità consiste nel negare un evento che si è verificato, indipendentemente dalle sue successive conseguenze giuridiche.

Posso essere scusato per una dichiarazione falsa se ritenevo in buona fede che la mia interpretazione della legge fosse corretta?
È molto difficile, specialmente per un professionista. La Cassazione ha stabilito che il dolo consiste nella coscienza e volontà di dichiarare il falso. Se esistono interpretazioni ufficiali che chiariscono la portata di una norma, ignorarle o discostarsene consapevolmente non esclude la responsabilità penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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