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Dichiarazione sostitutiva falsa: condanna inevitabile

Una persona, assolta in primo grado, è stata condannata in appello per aver presentato una dichiarazione sostitutiva falsa, attestando una parentela inesistente per ottenere un colloquio in carcere. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. La Corte ha precisato che la rinnovazione della testimonianza in appello non è obbligatoria se la decisione si basa su una diversa valutazione logica delle prove, non sulla credibilità del testimone. Ha inoltre ribadito che per il reato è sufficiente il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di dichiarare il falso.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Sostitutiva Falsa: la Cassazione Conferma la Condanna

Compilare un’autocertificazione è un gesto quotidiano, ma quali sono le conseguenze di una dichiarazione sostitutiva falsa? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 18812/2024) offre chiarimenti cruciali su questo tema, confermando una condanna per falso ideologico e delineando principi importanti sia in materia di diritto sostanziale che processuale. Il caso riguarda una donna che aveva falsamente dichiarato di essere cugina di un detenuto per poter ottenere un permesso di colloquio.

I Fatti del Caso: Una Falsa Parentela per un Colloquio in Carcere

La vicenda ha origine da una richiesta di colloquio presentata presso una Casa Circondariale. Per ottenere il permesso, la richiedente allegava una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in cui attestava, falsamente, di essere la cugina del detenuto che intendeva visitare. Sulla base di questa dichiarazione, il permesso veniva concesso.

L’Iter Giudiziario: Dall’Assoluzione alla Condanna in Appello

In primo grado, l’imputata veniva assolta. Tuttavia, la Procura impugnava la decisione e la Corte d’appello ribaltava completamente il verdetto, ritenendo l’imputata colpevole del reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, previsto dall’articolo 483 del codice penale.

Il Ricorso in Cassazione: I Motivi della Difesa

Contro la sentenza di condanna, la difesa presentava ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali.

La Mancata Rinnovazione dell’Istruttoria

Il primo motivo lamentava un vizio di motivazione. La difesa sosteneva che la Corte d’appello, per poter riformare una sentenza di assoluzione, avrebbe dovuto rinnovare l’istruttoria dibattimentale, ovvero riesaminare il testimone chiave (un sovrintendente della Polizia Penitenziaria) le cui dichiarazioni erano state considerate decisive.

Il Travisamento del Dolo

Il secondo motivo riguardava un presunto travisamento delle dichiarazioni dell’imputata, con particolare riferimento alla sua effettiva consapevolezza di violare la legge penale. In sostanza, si contestava la sussistenza dell’elemento psicologico del reato (il dolo).

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambi i motivi e fornendo importanti chiarimenti.

Sull’obbligo di rinnovare le prove in caso di dichiarazione sostitutiva falsa

La Corte ha ribadito un principio fondamentale del processo penale: l’obbligo per il giudice d’appello di rinnovare l’assunzione di una prova dichiarativa (come una testimonianza) per ribaltare un’assoluzione non è assoluto. Tale obbligo scatta solo quando la nuova decisione si fonda su un diverso apprezzamento dell’attendibilità della fonte di prova. Nel caso di specie, la Corte d’appello non ha messo in dubbio l’attendibilità del testimone, le cui dichiarazioni sui fatti non erano contestate. La condanna si basava, invece, su una diversa valutazione logica dell’intero quadro probatorio. Poiché i fatti erano pacifici e non era in discussione la credibilità di chi li aveva riportati, non vi era alcun obbligo di rinnovazione.

La Natura del Dolo nel Reato di Falso Ideologico

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Cassazione ha ricordato che il reato di cui all’art. 483 c.p. è punito a titolo di dolo generico. Ciò significa che per la sua integrazione non è richiesta la volontà di raggiungere un fine particolare, ma è sufficiente la coscienza e volontà di compiere il fatto, ovvero di attestare il falso a un pubblico ufficiale in un atto destinato a provare la verità dei fatti dichiarati. La consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dire il vero è tutto ciò che serve. È del tutto irrilevante, ai sensi dell’art. 5 c.p., che l’autore del fatto avesse la piena consapevolezza di stare violando una specifica norma penale.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida due principi di grande rilevanza pratica. In primo luogo, chiarisce i limiti dell’obbligo di rinnovazione dibattimentale in appello, legandolo strettamente alla valutazione di credibilità della prova e non alla mera rivalutazione logica del materiale probatorio. In secondo luogo, ribadisce che la compilazione di una dichiarazione sostitutiva falsa integra il reato di falso ideologico sulla base del solo dolo generico, rendendo molto difficile per l’autore del falso sottrarsi alla responsabilità penale adducendo una presunta ignoranza della legge o la mancanza di un fine illecito specifico. Questa decisione serve come monito sull’importanza della veridicità nelle autocertificazioni e sulle serie conseguenze penali che possono derivare da dichiarazioni mendaci rese alla Pubblica Amministrazione.

È sempre obbligatorio per un giudice d’appello riascoltare i testimoni se vuole condannare un imputato che era stato assolto in primo grado?
No, non è sempre obbligatorio. La Corte di Cassazione ha chiarito che la rinnovazione dell’istruttoria è necessaria solo quando la condanna in appello si basa su una diversa valutazione dell’attendibilità di una prova dichiarativa (come una testimonianza) che era stata decisiva per l’assoluzione. Non è richiesta se la diversa decisione si fonda su una differente valutazione logica dell’intero compendio probatorio.

Per commettere il reato di falso in una dichiarazione sostitutiva, è necessario avere l’intenzione specifica di violare la legge?
No. Per la configurazione del reato di cui all’art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) è sufficiente il “dolo generico”. Questo significa che basta la volontà cosciente di dichiarare il falso, con la consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dire la verità. Non è richiesta la consapevolezza o la volontà di violare una specifica norma penale.

Una dichiarazione sostitutiva falsa resa a un ente pubblico ha rilevanza penale?
Sì. Secondo la sentenza, le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000 sono considerate come rese a un pubblico ufficiale. L’art. 76 dello stesso D.P.R. punisce, ai sensi del codice penale, chiunque rilascia dichiarazioni mendaci. Pertanto, dichiarare il falso in tale contesto integra il reato di falsità ideologica previsto dall’art. 483 del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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