Dichiarazione Mendace alla P.A.: Quando un’Autocertificazione Diventa Reato?
Presentare un’istanza alla Pubblica Amministrazione è una prassi comune, ma quali sono le conseguenze se le informazioni fornite non sono veritiere? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 802/2024) ha ribadito un principio fondamentale: una dichiarazione mendace in un’autocertificazione può integrare un vero e proprio reato. Il caso analizzato riguarda un soggetto, inizialmente assolto, che aveva falsamente attestato l’assenza di precedenti penali per ottenere una licenza per la raccolta di scommesse. La Suprema Corte ha ribaltato la decisione, chiarendo il valore giuridico di tali dichiarazioni.
I Fatti di Causa: La Domanda di Licenza e l’Assoluzione Iniziale
Un cittadino aveva presentato una domanda per ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di raccolta di scommesse. All’interno di questa istanza, aveva dichiarato di non avere precedenti penali per reati legati alla gestione del gioco d’azzardo. Tale dichiarazione, tuttavia, non corrispondeva al vero.
In primo grado, il Tribunale lo aveva assolto dal reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) con la motivazione che l’istanza presentata non poteva essere considerata un “atto pubblico”. Secondo i giudici, quindi, l’eventuale falsità della dichiarazione non avrebbe avuto rilevanza penale.
L’Impatto del d.P.R. 445/2000 sulla Dichiarazione Mendace
Il Procuratore Generale ha impugnato la sentenza di assoluzione, basando il suo ricorso su un punto di diritto cruciale: la normativa introdotta con il d.P.R. n. 445 del 2000, noto come Testo Unico sulla documentazione amministrativa. Questa legge ha profondamente innovato il rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione, valorizzando l’autocertificazione.
L’articolo 76 di tale Testo Unico è dirimente: equipara, ai fini della responsabilità penale, le dichiarazioni sostitutive rese dai privati alle attestazioni formulate in un atto pubblico. Stabilisce, infatti, che chi rilascia dichiarazioni mendaci è punito ai sensi del codice penale. Di conseguenza, l’argomentazione del Tribunale, valida prima del 2000, è stata ritenuta superata dalla nuova legislazione.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Procuratore Generale, giudicandolo fondato. Richiamando la propria giurisprudenza consolidata, ha affermato che la norma di cui all’art. 76 del Testo Unico rinvia direttamente al codice penale per sanzionare chiunque rilasci dichiarazioni false alla Pubblica Amministrazione.
Ne consegue, spiegano i giudici, che risponde del reato previsto dall’art. 483 del codice penale il privato che attesta falsamente stati, qualità personali o fatti contenuti nelle dichiarazioni sostitutive di cui all’art. 46 del medesimo Testo Unico. La domanda di autorizzazione, contenente la falsa attestazione sull’assenza di precedenti penali, rientra pienamente in questa casistica. Pertanto, la condotta non poteva essere considerata penalmente irrilevante.
Le Conclusioni
La decisione della Cassazione ha portato all’annullamento della sentenza di assoluzione, con rinvio del processo alla Corte d’appello per un nuovo giudizio. La pronuncia ribadisce un principio di grande importanza pratica: ogni autocertificazione presentata a un ente pubblico ha un valore legale equiparabile a quello di un atto pubblico. Mentire deliberatamente in tali documenti non è un’irregolarità di poco conto, ma una condotta che espone a precise responsabilità penali. Questa sentenza serve da monito sulla necessità di massima accuratezza e veridicità nelle comunicazioni con la Pubblica Amministrazione.
Un’autocertificazione presentata a un ente pubblico è considerata un atto pubblico ai fini del reato di falsità?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, per effetto dell’art. 76 del d.P.R. 445/2000, le dichiarazioni sostitutive rese a un pubblico ufficiale sono equiparate alle attestazioni fatte in un atto pubblico, rendendo penalmente rilevante una dichiarazione mendace.
Quale reato commette chi dichiara il falso in un’istanza per ottenere una licenza?
Commette il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, previsto dall’art. 483 del codice penale, poiché la dichiarazione è destinata a provare la verità di un fatto e a essere trasfusa in un provvedimento amministrativo.
Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione in questo caso?
La Corte ha annullato la sentenza di assoluzione e ha rinviato il caso alla Corte d’appello per un nuovo giudizio, affermando che il fatto contestato costituisce reato e deve essere nuovamente valutato nel merito.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 802 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 802 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto dal PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la Corte d’appello di Campobasso; nel procedimento a carico di NOME COGNOME nato a Foggia 1’8 settembre 1987;
avverso la sentenza del 29 novembre 2022 del Tribunale di Campobasso;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
letta la memoria depositata 1’8 novembre 2023 dall’avv. NOME COGNOME nell’interesse dell’imputato, con la quale si chiede il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Campobasso, all’esito del giudizio dibattimentale, ha assolto NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 483 cod. pen. perché il fatto non sussiste, ritenendo che la domanda di autorizzazione per l’esercizio dell’attività di raccolta di scommesse, che era stata sottoscritta dal predetto, non sarebbe stata resa in un atto pubblico e che, pertanto, la rispondenza a verità della dichiarazione circa l’assenza di precedenti condanne per reati afferenti alla gestione del gioco d’azzardo risulterebbe penalmente irrilevante.
Ricorre per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello deducendo che le argomentazioni offerte nella sentenza impugnata sarebbero state valide solo fino all’entrata in vigore del d.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000, normativa che invece equiparerebbe, all’art. 76, le dichiarazioni sostitutive effettuate dal privato ai sensi degli artt. 46 e 47 alle attestazioni formulate in u atto pubblico, stabilendo che esse sono considerate come fatte ad un pubblico ufficiale. E lo stesso art. 76 sanzionerebbe con le medesime pene previste dal codice penale la condotta di colui che rilascia dichiarazioni mendaci alla pubblica amministrazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la norma di cui all’art. 76 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (d. Igs. n. 445 del 2000), stabilendo la sanzione penale per chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal medesimo T.U., rimanda al codice penale e alle leggi speciali in materia: ne consegue che risponde del reato di cui all’art. 483 cod. pen. il privato che renda false attestazioni circa gli stati, le qualità personali ed i fatti indi nell’art. 46 del citato Testo Unico (cfr. Sez. 6, n. 15485 del 24/03/2009, COGNOME, Rv. 24352; Sez. 5, n. 20570 del 10/05/2006, COGNOME, Rv. 234203).
La sentenza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio alla Corte d’appello di Campobasso per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Campobasso.
Così deciso il 29 novembre 2023
Il C siglière este
Pràsidente