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Dichiarazione mendace: vale come atto pubblico? La Cass.

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di assoluzione, stabilendo che una dichiarazione mendace resa da un privato in un’istanza volta a ottenere una licenza dalla Pubblica Amministrazione integra il reato di falsità ideologica previsto dall’art. 483 c.p. La Corte ha chiarito che, per effetto del d.P.R. 445/2000 (Testo Unico sulla documentazione amministrativa), tali autocertificazioni sono equiparate ad attestazioni fatte in un atto pubblico, rendendo la falsità penalmente rilevante. Il caso è stato rinviato alla Corte d’appello per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Mendace alla P.A.: Quando un’Autocertificazione Diventa Reato?

Presentare un’istanza alla Pubblica Amministrazione è una prassi comune, ma quali sono le conseguenze se le informazioni fornite non sono veritiere? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 802/2024) ha ribadito un principio fondamentale: una dichiarazione mendace in un’autocertificazione può integrare un vero e proprio reato. Il caso analizzato riguarda un soggetto, inizialmente assolto, che aveva falsamente attestato l’assenza di precedenti penali per ottenere una licenza per la raccolta di scommesse. La Suprema Corte ha ribaltato la decisione, chiarendo il valore giuridico di tali dichiarazioni.

I Fatti di Causa: La Domanda di Licenza e l’Assoluzione Iniziale

Un cittadino aveva presentato una domanda per ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di raccolta di scommesse. All’interno di questa istanza, aveva dichiarato di non avere precedenti penali per reati legati alla gestione del gioco d’azzardo. Tale dichiarazione, tuttavia, non corrispondeva al vero.

In primo grado, il Tribunale lo aveva assolto dal reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) con la motivazione che l’istanza presentata non poteva essere considerata un “atto pubblico”. Secondo i giudici, quindi, l’eventuale falsità della dichiarazione non avrebbe avuto rilevanza penale.

L’Impatto del d.P.R. 445/2000 sulla Dichiarazione Mendace

Il Procuratore Generale ha impugnato la sentenza di assoluzione, basando il suo ricorso su un punto di diritto cruciale: la normativa introdotta con il d.P.R. n. 445 del 2000, noto come Testo Unico sulla documentazione amministrativa. Questa legge ha profondamente innovato il rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione, valorizzando l’autocertificazione.

L’articolo 76 di tale Testo Unico è dirimente: equipara, ai fini della responsabilità penale, le dichiarazioni sostitutive rese dai privati alle attestazioni formulate in un atto pubblico. Stabilisce, infatti, che chi rilascia dichiarazioni mendaci è punito ai sensi del codice penale. Di conseguenza, l’argomentazione del Tribunale, valida prima del 2000, è stata ritenuta superata dalla nuova legislazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Procuratore Generale, giudicandolo fondato. Richiamando la propria giurisprudenza consolidata, ha affermato che la norma di cui all’art. 76 del Testo Unico rinvia direttamente al codice penale per sanzionare chiunque rilasci dichiarazioni false alla Pubblica Amministrazione.

Ne consegue, spiegano i giudici, che risponde del reato previsto dall’art. 483 del codice penale il privato che attesta falsamente stati, qualità personali o fatti contenuti nelle dichiarazioni sostitutive di cui all’art. 46 del medesimo Testo Unico. La domanda di autorizzazione, contenente la falsa attestazione sull’assenza di precedenti penali, rientra pienamente in questa casistica. Pertanto, la condotta non poteva essere considerata penalmente irrilevante.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione ha portato all’annullamento della sentenza di assoluzione, con rinvio del processo alla Corte d’appello per un nuovo giudizio. La pronuncia ribadisce un principio di grande importanza pratica: ogni autocertificazione presentata a un ente pubblico ha un valore legale equiparabile a quello di un atto pubblico. Mentire deliberatamente in tali documenti non è un’irregolarità di poco conto, ma una condotta che espone a precise responsabilità penali. Questa sentenza serve da monito sulla necessità di massima accuratezza e veridicità nelle comunicazioni con la Pubblica Amministrazione.

Un’autocertificazione presentata a un ente pubblico è considerata un atto pubblico ai fini del reato di falsità?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, per effetto dell’art. 76 del d.P.R. 445/2000, le dichiarazioni sostitutive rese a un pubblico ufficiale sono equiparate alle attestazioni fatte in un atto pubblico, rendendo penalmente rilevante una dichiarazione mendace.

Quale reato commette chi dichiara il falso in un’istanza per ottenere una licenza?
Commette il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, previsto dall’art. 483 del codice penale, poiché la dichiarazione è destinata a provare la verità di un fatto e a essere trasfusa in un provvedimento amministrativo.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione in questo caso?
La Corte ha annullato la sentenza di assoluzione e ha rinviato il caso alla Corte d’appello per un nuovo giudizio, affermando che il fatto contestato costituisce reato e deve essere nuovamente valutato nel merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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