Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34074 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34074 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nata in Marocco il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/03/2025 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; uditi:
il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile; l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/3/2025, la Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa, in data 23/1/2024, dal GUP del Tribunale di Cuneo, con la quale NOME COGNOME era stata riconosciuta responsabile del reato di cui agli art. 81 cod. pen. e 7 d.l. 4/2019 e, condannata, concesse le attenuanti generiche e applicata la riduzione prevista per il rito alla pena di anni uno di reclusione, ha assolto l’imputata dal reato commesso il 10/5/2022 perché il fatto non è previsto
dalla legge come reato, rideterminando la pena in mesi undici e giorni dieci di reclusione, con conferma nel resto.
Ricorre per Cassazione NOME, a mezzo del proprio difensore, denunciando, con il primo motivo, il vizio di motivazione rilevando che “i documenti agli atti non riportano alcuna sottoscrizione da parte della prevenuta”.
2.1 Con il secondo motivo, si denuncia il vizio di motivazione deducendosi che NOME si trovava nelle condizioni di reddito per poter godere del beneficio per cui non era configurabile l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto articolato in motivi aspecifici o manifestamente infondati.
La sentenza impugnata dà atto che non era stato contestato che l’imputata fosse residente a Cuneo dal giorno 11/4/2017 e si confronta con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 29/7/2017 e dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 31/25 così da pervenire a un verdetto assolutorio in relazione al reato commesso il 10/5/2022.
Il ricorso, ancora, non contestata che le domande inoltrate contenessero l’attestazione di essere residente in Italia da almeno dieci anni.
Orbene, in relazione a un caso assai simile, in cui era stata contestata dalla difesa l’integrazione del reato non riportando la domanda una valida sottoscrizione da parte dell’interessato, questa Corte ha precisato che “la mancata sottoscrizione della domanda con le modalità previste dall’art. 65, comma 1, d.lgs. 82 del 2005 non determina l’inesistenza della stessa, e quindi non preclude alla medesima di produrre effetti, ma incide soltanto (ed eventualmente) sulla sua validità. Del resto, in materia di falso ideologico, costituisce principio generale, enunciato anche dalle Sezioni Unite, quello secondo cui il delitto di cui all’art. 479 cod. pen. configurabile in caso di atto invalido, mentre è escluso solo in caso di atto inesistente, e come tale inidoneo a produrre effetti giuridici (cfr. Sez. U, 7299 del 30/06/1984, COGNOME, Rv. 165607 – 01, e Sez. 6, n. 34262 del 22/09/2020, Ragosa, Rv. 280151 – 01)” ( Sez. 3, n. 32763 del 11/06/2024, Hamza, Rv. 286736 – 01; conforme in fattispecie del tutto identica a quella in esame, Sez. 2, n. 21875 del 9/4/0225, Corrao). Ipotesi, nel caso in esame, certamente non configurabile avendo la ricorrente percepito il reddito di cittadinanza in relazioni alle due domande per cui è intervenuta condanna.
Manifestamente infondato risulta anche il secondo motivo del ricorso, che fa perno, sembra di capire, riportando un passo della sentenza delle Sezioni unite n. 49686 del 13/7/2023, sul fatto che “l’agente ha comunque diritto al beneficio”, presupposto che, come pacificamente emerge dalle sentenze dei giudici di merito, non è configurabile nei confronti della ricorrente con riferimento alle ipotesi di reato per cui è intervenuta condanna. Inconferente, ancora, risulta il riferimento alla sentenza innanzi indicata, rinvenendosi al punto 8 del considerato in diritto della motivazione, l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all’art. 7 d.l. gennaio 2014 n. 4, conv. in legge 28 marzo 2019 n. 26, solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge”. Principio che, per quanto detto, si attaglia perfettamente alle vicende in esame.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare, considerati i profili di inammissibilità rilevati, in euro tremila.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 26/9/2025
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente