Dichiarazione Mendace all’Ufficiale Giudiziario: Quando il Silenzio sui Beni Pignorabili Costa Caro
Mentire o omettere informazioni cruciali durante una procedura esecutiva può avere conseguenze penali molto serie. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, confermando la condanna di un debitore per aver reso una dichiarazione mendace a un ufficiale giudiziario. Questo caso serve da monito sull’importanza della trasparenza e della correttezza nei rapporti con l’autorità giudiziaria.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine da un accesso effettuato da un ufficiale giudiziario presso l’abitazione di un debitore per un pignoramento. In quella sede, il debitore aveva dichiarato di possedere unicamente beni concessigli in comodato d’uso, negando di fatto la presenza di qualsiasi altro bene pignorabile. Tuttavia, è emerso che l’uomo era parte di un contratto di locazione attivo, dal quale scaturiva un credito corrispondente al canone pattuito. Omettendo di dichiarare l’esistenza di questo contratto e dei relativi crediti, il debitore si è sottratto all’obbligo di indicare tutti i suoi beni pignorabili, inclusi i crediti verso terzi, integrando così la condotta penalmente rilevante.
La Decisione della Cassazione: una netta chiusura alla dichiarazione mendace
La Corte di Appello aveva già confermato la responsabilità penale del debitore. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione. Gli Ermellini, tuttavia, hanno dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e manifestamente infondato. Secondo la Corte, i motivi presentati dal ricorrente non facevano altro che reiterare argomentazioni già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza confrontarsi in modo critico e specifico con le motivazioni della sentenza impugnata.
Le Motivazioni
La Corte Suprema ha sottolineato come la Corte d’Appello avesse correttamente individuato il nucleo della condotta illecita. La dichiarazione mendace non risiedeva in un dettaglio trascurabile, ma nella sostanza stessa dell’occultamento di una fonte di reddito pignorabile. Negare l’esistenza di un credito derivante da un canone di locazione equivale a nascondere un bene aggredibile dai creditori, frustrando lo scopo della procedura esecutiva. La Cassazione ha ritenuto che tale condotta rientrasse pienamente nella fattispecie di reato contestata.
Un ulteriore punto toccato nell’ordinanza riguarda l’inammissibilità del ricorso, che ha reso irrilevante il decorso del tempo ai fini della prescrizione. In sostanza, quando un ricorso è viziato in modo così evidente, non può produrre alcun effetto, nemmeno quello di far maturare la prescrizione del reato.
Le Conclusioni
La decisione in esame ribadisce un principio fondamentale: chi è sottoposto a una procedura esecutiva ha il dovere di collaborare lealmente con l’ufficiale giudiziario. Nascondere beni o crediti attraverso una dichiarazione mendace non è una scappatoia, ma un reato che comporta conseguenze severe. La condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, conseguente all’inammissibilità del ricorso, sancisce la gravità di tale comportamento e la ferma intenzione dell’ordinamento di punire chi tenta di eludere i propri obblighi con l’inganno.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene giudicato generico?
La Corte di Cassazione lo dichiara inammissibile. Ciò significa che il ricorso non viene esaminato nel merito, la sentenza precedente diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende.
Omettere di dichiarare un contratto di affitto a un ufficiale giudiziario è un reato?
Sì. Secondo quanto stabilito dalla Corte, nascondere l’esistenza di un contratto di locazione e dei crediti che ne derivano (i canoni di affitto) costituisce una condotta penalmente rilevante, in quanto si sottraggono al pignoramento beni aggredibili dal creditore.
Perché il ricorrente è stato condannato a pagare una somma alla Cassa delle ammende?
Questa condanna è una conseguenza diretta della dichiarazione di inammissibilità del ricorso per ‘profili di colpa’ del ricorrente. È una sanzione pecuniaria che si aggiunge alle spese processuali per aver presentato un appello manifestamente infondato o viziato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14784 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14784 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
BUONANNO NOME NOME NOME SACILE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/01/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi di ricorso e la memoria inviata dal difensore,
OSSERVA
Ritenuto che i due motivi di ricorso sono generici, in quanto reiterano deduzioni già formulate, senza confrontarsi con l’intero tenore della motivazione, e comunque manifestamente infondati, avendo la Corte, al di là di un emendabile ma nella sostanza inconferente passaggio, rilevato come in occasione dell’accesso dell’ufficiale giudiziario il ricorrente in unità di contesto operativo avesse fatto riferimento solo al possesso di beni dati in comodato in Latisana, nella sostanza negando di possedere beni pignorabili, quando in realtà era corrente contratto di locazione, con credito correlato al canone pattuito, e così sottraendosi al dovere di dichiarare l’esistenza di beni pignorabili o l’esistenza di terzi debitori, condotta rientrante nella fattispecie contestata;
Ritenuto che l’originaria inammissibilità del ricorso rendere irrilevante il decorso del tempo ai fini della prescrizione e che non può in questa sede formularsi alcuna richiesta in materia di giustizia riparativa;
Ritenuto dunque che il ricorso è inammissibile, conseguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei sottesi profili di colpa, a quello della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende,
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29 gennaio 2024
GLYPH
Il Consigliere estensore
Il Pre
ente