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Dichiarazione mendace: ricorso inammissibile

Un soggetto è stato condannato per il reato di dichiarazione mendace per aver attestato falsamente di non avere precedenti penali rilevanti in una richiesta di patente nautica. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, ritenendolo inconsistente. La sentenza di condanna a un anno di reclusione è stata confermata, poiché la pena è stata giudicata congrua e motivata, così come il diniego delle attenuanti generiche.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Mendace: la Cassazione Conferma la Linea Dura

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce le gravi conseguenze per chi rilascia una dichiarazione mendace a una pubblica amministrazione. Il caso esaminato riguarda un cittadino che, nel tentativo di ottenere una patente nautica, ha falsamente attestato di non avere precedenti penali significativi, nascondendo una condanna a sette anni di reclusione. La Suprema Corte ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, confermando la condanna e sottolineando la coerenza della pena inflitta.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine quando un individuo presenta un’istanza presso la Capitaneria di Porto per il rilascio della patente di abilitazione alla conduzione di unità da diporto. All’interno della documentazione, dichiara falsamente di possedere i requisiti morali previsti dalla legge, specificamente attestando di non aver riportato condanne a pene detentive superiori a tre anni. Tuttavia, un controllo del casellario giudiziale rivela una realtà ben diversa: una condanna definitiva a sette anni di reclusione, aggravata da una recidiva infra-quinquennale. Questa falsa attestazione ha portato alla sua condanna per i reati previsti dagli articoli 483 del codice penale e 76 del d.P.R. 445/2000.

Il Ricorso per Cassazione e la Contestazione sulla Pena

L’imputato, non soddisfatto della sentenza della Corte d’Appello che confermava la condanna a un anno di reclusione, ha proposto ricorso in Cassazione. L’unico motivo di doglianza riguardava un presunto vizio di motivazione relativo a due aspetti: il diniego delle attenuanti generiche e l’entità della pena, ritenuta eccessiva. Secondo la difesa, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente giustificato le sue decisioni su questi punti.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso definendolo ‘assolutamente inconsistente’. I giudici hanno chiarito che la motivazione della Corte d’Appello era corretta e sufficiente. La pena di un anno di reclusione è stata considerata congrua, tenendo conto della recidiva e della normativa applicabile. In particolare, il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) è punito con la reclusione fino a due anni. Inoltre, l’art. 76 del d.P.R. 445/2000 prevede un aumento da un terzo alla metà della sanzione per chiunque rilasci dichiarazioni mendaci. La Corte ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, quando la pena inflitta è inferiore al medio edittale, non è richiesta una motivazione particolarmente dettagliata da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo ai criteri generali dell’art. 133 del codice penale. Anche il diniego delle attenuanti generiche è stato ritenuto ineccepibile, poiché l’imputato non aveva fornito alcun elemento a sostegno della sua richiesta.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione è chiara: la dichiarazione mendace è un reato grave e i ricorsi palesemente infondati contro le relative condanne sono destinati all’inammissibilità. Questa ordinanza conferma che la giustizia non tollera scorciatoie basate sulla menzogna e che il sistema sanzionatorio è strutturato per punire adeguatamente tali comportamenti. Per l’imputato, l’esito è duplice: la condanna penale diventa definitiva e, come conseguenza della declaratoria di inammissibilità, è tenuto al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Un monito severo sull’importanza della verità e della correttezza nei rapporti con la pubblica amministrazione.

Cosa si rischia per una dichiarazione mendace presentata a un ente pubblico?
Si commette un reato punito dal codice penale (in questo caso, art. 483 c.p.) e da leggi speciali (art. 76 d.P.R. 445/2000). La pena prevista dal codice penale può essere aumentata da un terzo alla metà, portando a una condanna alla reclusione, come avvenuto nel caso di specie con una pena di un anno.

È sufficiente contestare la severità della pena per ottenere uno sconto in Cassazione?
No. Se la pena inflitta dal giudice è inferiore alla metà del massimo previsto dalla legge e la decisione è motivata con riferimento ai criteri generali dell’art. 133 c.p., non è richiesta una motivazione eccessivamente dettagliata. Un ricorso basato solo su questo aspetto, senza argomenti solidi, viene considerato inconsistente e dichiarato inammissibile.

Quali sono le conseguenze economiche se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Oltre alla conferma della condanna, la legge (art. 616 cod. proc. pen.) prevede che il ricorrente debba pagare le spese del procedimento e versare una somma di denaro, stabilita equitativamente dalla Corte, in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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