Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34590 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34590 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VELLETRI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/10/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia del Tribunale locale del 26 ottobre 2022, con la quale COGNOME NOME veniva condannata in ordine al reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 in relazione all’art. 483 cod. pen.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando quattro motivi di doglianza: a. vizio di motivazione in ordine al giudizio di affermazione della responsabilità, per avere la Corte di appello posto in capo alla difesa l’onere della prova della buona fede dell’imputato nella sottoscrizione della falsa dichiarazione, in mancanza di elementi certi circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, nonché ignorando le conclusioni assolutorie rassegnate prima dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e poi dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Roma; b. violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pari.; c. mancanza della motivazione in punto di eccessività della pena irrogata rispetto al trattamento sanzionatorio previsto per il delitto di cui all’art. 483 cod. pen.; d. violazione legge in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., per l’assenza di riferimento ai parametri di cui all’art. 133, comma 1, n. 2 e comma 2, n. 3 cod. pen.
In data 17 settembre 2025 è stata depositata memoria a firma dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, con cui si insiste per l’accoglimento del ricorso.
2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità. Gli stessi, in particolare, lung dal confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, si limitano a reiterare profili di censura già adeguatamente e correttamente vagliati e disattesi dalla Corte di appello (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione), altresì censurando, quanto al terzo e quarto motivo, il trattamento sanzionatorio, benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione, nonché da un adeguato esame delle deduzioni difensive (sull’onere motivazionale del giudice in ordine alla determinazione della pena cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243).
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto – e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. Quanto al primo motivo, i giudici del gravame del merito hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, adeguatamente evidenziando la sussistenza, nel caso di specie, dell’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione del reato di cui dell’art. 95 d.P.R. 30 giugno 2002, n. 115.
In particolare, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di patrocinio a spese dello Stato, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale ( Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, Bonelli, Rv. 277129 – 01).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha puntualmente escluso che la condotta dell’imputato sia riconducibile ad un errore sulla identificazione dei redditi da indicare nella dichiarazione, rilevando al contrario tutti gli elementi indicativi dell’esistenza di una volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto, nonché della consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero.
La ricorrenza del dolo generico è stata logicamente desunta dalla circostanza che il reddito da dichiarare era quello relativo all’anno 2017, ossia l’anno precedente a quello della presentazione della domanda, come chiaramente specificato nel modulo di istanza, e che pertanto la pretesa convinzione dell’imputato di dover indicare il reddito dell’anno 2018 risulta, oltre che inverosimile, giuridicamente insostenibile, trattandosi di periodo ancora in corso all’epoca della domanda e privo di un dato reddituale disponibile. In aggiunta, la Corte territoriale ha evidenziato che l’istanza di ammissione al beneficio era stata materialmente redatta dal difensore dell’imputato, circostanza questa che rende del tutto innplausibile la sussistenza di un fraintendimento tanto macroscopico. In tal senso, la motivazione offerta dalla Corte d’appello si presenta congrua, logica e coerente con il quadro probatorio acquisito, risultando pertanto immune da censure.
2.2. Quanto alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131bis cod. pen., la Corte territoriale, rispondendo alla specifica richiesta sui punto, ha argomentatamente e logicamente motivato il
diniego dell’invocata causa di non punibilità, valorizzando la sussistenza di tre precedenti condanne definitive a carico dell’imputato, !e quali, afferendo a reati della stessa indole riconducibili a fattispecie di falso, risultano idonee ad escludere il requisito della non abitualità della condotta richiesto dalla norma.
La sentenza si colloca pertanto nell’alveo del dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., i giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (così Sez. 7, Ordinanza n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044 – 01; conf. Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647 – 01).
La non punibilità per la particolare tenuità del fatto – va aggiunto – è condizionata dalla norma (articolo 1, lettera m, I. 67/2014 e 131 bis, còrnmi 1 e 3, cod. pen.) alla non abitualità del comportamento penalmente illecito.
Tale previsione, è stata ritenuta conforme a Costituzione dalla Corte costituzionale (ord. 279/2017), dato che anche in presenza di fatti analoghi (di particolare tenuità oggettiva), le ineguali condizioni soggettive giustificano il diverso trattamento penale. Il fatto particolarmente lieve di cui all’art. 131 bis, cod. pen. è comunque un fatto offensivo che costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire; tuttavia, l’aver condizionato la punibilità anche attraverso un dato soggettivo, costituito dalla non abitualità del comportamento penalmente illecito, comporta una valutazione anche del comportamento successivo al reato, al fine dell’esclusione dell’abitualità.
La sentenza impugnata opera un buon governo del principio se secondo cui, in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole, incidentalmente accertabili da parte del giudice procedente (cosi Sez. 6, n. 6551 del 9/1/2020, COGNOME Anci, Rv. 278347, in un procedimento per il reato di evasione, la corte di appello aveva escluso la causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., avendo valutato l’esistenza di analoghe condotte pregresse risultanti dagli atti; conf. Sez. 3, Sentenza n. 776 del 4/4/2017 dep. 2018, Del Galdo, Rv. 271863).
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”), poiché è la stessa previsione normativa a considerare
il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (cfr. Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016, COGNOME, Rv. 267262)
Tenuto conto che va verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni (cfr. Sez. 5, n. 53401 del 30/05/20188, M, P.v. 274186 che lo ha escluso in una fattispecie in tema di furto e detenzione o cessione di sostanze stupefacenti) e che tale verifica appare in concreto operata, la motivazione del provvedimento impugnato non si presta alle proposte censure di legittimità.
2.3. Con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen. la Corte territoriale ha ritenuto motivatamente di negarle sul rilievo che, alla luce del curriculum criminale dell’appellante, non si ravvisano elementi utili da poter considerare positivamente per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, stante la mancanza di segni di resipiscenza e l’irrilevanza a tal fine della asserita collaborazione fornita dall’imputato in sede di esame.
Va ricordato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato). In sintesi, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod, pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549). Il provvedimento impugnato appare, pertanto, collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al digi delle attenuanti generiche, non è necessario che ii giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagl atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché a suo negativo comportamento processuale).
2.4. Parimenti inammissibile è, infine, il motivr volto a censurare l’asserita eccessività della pena irrogata, motivo che si fonda su argomentazioni manifestamente eccentriche rispetto ai parametri normativi e giurisprudenziali che governano la determinazione del trattamento sanzionatorio. La difesa, infatti, contesta la proporzionalità della pena operando un improprio raffronto con la cornice edittale prevista per il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, di cui all’art. 483 cod. pen., da cui tuttavia la fattispecie speciale di cui all’a 95 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 si differenzia sia per la struttura normativa, sia per la ratio incriminatrice, che giustifica un’autonoma e più grave previsione sanzionatoria. Ciò premesso, occorre ribadire che una specifica e dettagliata motivazione in merito ai criteri seguiti dal giudice nella determinazione della pena si richiede solo nel caso in cui la sanzione sia quantificata in misura prossima al massimo edittale o comunque superiore alla media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di merito, la scelta implicitamente basata sui criteri di cui all’art. 133 cod. pen. di irrogare – come disposto nel caso di specie – una pena in misura media o prossima al minimo edittale (così, tra le altre: Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 258356- 01; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 25646401; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197-01).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagemento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 07/10/2025