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Dichiarazione mendace gratuito patrocinio: la condanna

La Corte di Cassazione conferma la condanna per il reato di dichiarazione mendace per il gratuito patrocinio. Un cittadino aveva omesso di dichiarare redditi familiari, inclusi sussidi percepiti dalla moglie, superando la soglia di legge. La Suprema Corte ha ribadito che ai fini del beneficio vanno considerati tutti gli introiti, anche quelli non imponibili fiscalmente, e che l’omissione integra il reato a prescindere dall’effettivo diritto al beneficio.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione mendace per il gratuito patrocinio: quando l’omissione è reato?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di accesso al patrocinio a spese dello Stato: la massima trasparenza è d’obbligo. Commette reato chiunque presenti una dichiarazione mendace per il gratuito patrocinio, omettendo anche solo parzialmente redditi rilevanti, a prescindere dal fatto che l’omissione sia determinante per l’ottenimento del beneficio. Questo caso offre spunti importanti sulla nozione di ‘reddito’ e sulla responsabilità del dichiarante.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un cittadino condannato per aver esposto dati falsi nella sua richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Nell’istanza, presentata nel 2016 per i redditi del 2015, aveva dichiarato un reddito familiare di circa 9.800 euro. Tuttavia, accertamenti successivi della Guardia di Finanza hanno rivelato un reddito familiare effettivo superiore a 21.000 euro.

La differenza sostanziale derivava da prestazioni a sostegno del reddito erogate dall’INPS alla moglie del richiedente, che non erano state incluse nella dichiarazione. L’imputato si è difeso sostenendo di essere incorso in un errore scusabile, forse causato da omonimie o da una sovrapposizione di dati, e ha prodotto un CUD dell’INPS che attestava somme inferiori a quelle contestate. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno confermato la sua responsabilità penale.

I motivi del ricorso e la valutazione della Cassazione sulla dichiarazione mendace per il gratuito patrocinio

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Errato rigetto della rinnovazione dell’istruttoria: La difesa chiedeva di acquisire nuova documentazione fiscale per dimostrare l’errore nei dati dell’accusa.
2. Mancanza del dolo: Si sosteneva un errore scusabile sulla percezione dei redditi familiari, tale da escludere l’intenzione di mentire.
3. Vizio di motivazione: La Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente considerato la documentazione difensiva (il CUD) che contraddiceva le testimonianze dell’accusa.
4. Errata valutazione dell’elemento soggettivo: L’imputato affermava di aver fatto affidamento sui documenti ufficiali in suo possesso.

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi, ritenendo il ricorso infondato.

L’Analisi della Suprema Corte

La Suprema Corte ha chiarito diversi punti cruciali. In primo luogo, ha specificato che la rinnovazione dell’istruttoria in appello è una procedura eccezionale, ammissibile solo se assolutamente necessaria. In questo caso, i giudici di merito avevano già elementi sufficienti per decidere, ritenendo che i documenti prodotti dalla difesa non fossero esaustivi e non smentissero le risultanze più complete dell’anagrafe tributaria.

Il punto centrale della decisione, tuttavia, riguarda la definizione di ‘reddito’ ai fini del gratuito patrocinio. La Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato: il concetto di reddito rilevante per l’ammissione al beneficio è più ampio di quello puramente fiscale. Include qualsiasi introito, anche se esente da imposte o non soggetto a tassazione, come sussidi di disoccupazione, indennità di maternità o pensioni di invalidità. Questo perché lo scopo della legge è valutare l’effettiva capacità economica del richiedente e del suo nucleo familiare.

Di conseguenza, la dichiarazione mendace per il gratuito patrocinio si configura non solo dichiarando il falso, ma anche omettendo parzialmente dati rilevanti. Il reato previsto dall’art. 95 del D.P.R. 115/2002 è un reato di pericolo: si perfeziona con la sola presentazione della dichiarazione non veritiera, indipendentemente dal fatto che il richiedente avrebbe comunque avuto diritto al beneficio.

Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza sottolinea la severità con cui l’ordinamento tratta le false dichiarazioni per l’accesso a benefici statali. Chi richiede il patrocinio a spese dello Stato ha il dovere di agire con la massima diligenza, accertandosi di includere ogni fonte di reddito del proprio nucleo familiare. Non è possibile invocare l’errore scusabile basandosi su documenti parziali o presumendo che certi introiti non vadano dichiarati perché non tassabili. La responsabilità penale è personale e deriva dalla consapevolezza di fornire un quadro incompleto della propria situazione economica. La Corte ha concluso che l’omissione di redditi percepiti da un familiare stretto non può essere considerata una svista involontaria, ma una scelta deliberata di reticenza.

Quali redditi devono essere dichiarati per accedere al gratuito patrocinio?
Per accedere al gratuito patrocinio è necessario dichiarare tutti gli introiti che contribuiscono alla capacità economica del nucleo familiare. Questo include non solo i redditi imponibili ai fini fiscali, ma anche sussidi pubblici, prestazioni assistenziali, pensioni di invalidità e qualsiasi altra somma percepita con carattere di non occasionalità.

Commette reato chi presenta una dichiarazione incompleta, anche se l’omissione non è determinante per ottenere il beneficio?
Sì. Il reato di false o omesse dichiarazioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art. 95 D.P.R. 115/2002) si configura con la semplice presentazione di una dichiarazione non veritiera o incompleta, indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio.

È una giustificazione valida sostenere di essere stati indotti in errore da un documento ufficiale, come un CUD, che riporta dati parziali?
No, la Corte ha stabilito che non costituisce un errore scusabile fare affidamento su documentazione che potrebbe essere incompleta (ad esempio, non riportando trattamenti integrativi o supplementari). Il dichiarante ha l’onere di rappresentare fedelmente e completamente la situazione reddituale dell’intero nucleo familiare, specialmente per redditi percepiti da congiunti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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