Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 47018 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 47018 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palmanova il 11/02/1963
avverso la sentenza del 10/10/2023 della Corte d’appello di Trieste visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 ottobre 2023 la Corte d’appello di Trieste, provvedendo sulla impugnazione presentata da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 10 marzo 2022 del Tribunale di Udine, con la quale lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di due anni e due mesi di reclusione, con l’applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 12 d.lgs. n. 74 del 2000 e la confisca del profitto dei reati, pari a euro 2.075.543,00, in relazione a due contestazioni del delitto di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, ha ridotto alla somm di euro 1.555.121,00 la misura della confisca, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che lo hanno affidato a tredici motivi.
2.1. Con il primo motivo hanno denunciato la violazione di disposizioni di legge penale e processuale e un vizio della motivazione, in conseguenza della mancata assunzione delle testimonianze degli autori dell’accertamento tributario, confluito nel processo verbale di constatazione, essendo stati esaminati in giudizio come testimoni soggetti diversi, che avevano solamente recepito il risultato di tale accertamento, con il conseguente pregiudizio per il diritto di difesa dell’imputato.
2.2. Con il secondo motivo hanno denunciato la violazione di disposizioni di legge penale con riferimento al valore probatorio attribuito al processo verbale di constatazione, le cui risultanze erano state poste a fondamento della affermazione di responsabilità del ricorrente, nonostante le stesse risultanze derivino dalla applicazione di presunzioni tributarie, che non possono costituire prova del fatto contestato ma solo elementi indiziari.
2.3. Con il terzo motivo hanno denunciato la violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. e dell’art. 351 cod. proc. pen., a causa della mancata assunzione delle testimonianze di COGNOME e COGNOME (amministratori della RAGIONE_SOCIALE, le cui dichiarazioni erano state riportate solamente nel processo verbale di constatazione, che erano stati assolti nel procedimento a carico del ricorrente ma erano imputati in altri procedimenti a questo connessi o collegati, in quanto il suddetto processo verbale di constatazione era stato utilizzato come prova a carico nei confronti degli stessi COGNOME e COGNOME, perché conteneva elementi a loro carico, con la conseguenza che ne risultava evidente l’inutilizzabilità, essendo state assunte le dichiarazioni dei suddetti COGNOME (che tra l’altro non conosceva la lingua italiana) e COGNOME quando erano già emersi elementi a loro carico in assenza delle prescritte garanzie difensive.
2.4. Con il quarto motivo hanno denunciato un vizio della motivazione nella parte relativa al disconoscimento del valore probatorio dei documenti prodotti dalla difesa dell’imputato, in particolare dell’accordo tra il ricorrente COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, disconoscimento giustificato con il fatto che la relativa sottoscrizione non era stata confermata in giudizio, con la mancanza di data certa e con il mancato rinvenimento di copia dello stesso presso la sede della RAGIONE_SOCIALE, in quanto la genuinità di tale documento non era mai stata contestata.
2.5. Con il quinto motivo hanno lamentato un ulteriore vizio della motivazione, che sarebbe carente nella parte relativa alla determinazione dell’imposta evasa, non essendo stato illustrato il percorso logico che aveva determinato il ricalcolo della base imponibile per gli anni 2012 e 2013, benché la difesa con l’atto d’appello avesse illustrato le ragioni per cui non vi era stato alcun superamento delle soglie di punibilità.
2.6. Con il sesto motivo hanno lamentato un vizio della motivazione anche con riferimento alla carenza della stessa in ordine agli allegati al processo verbale di constatazione di cui alle pagine 44, 45 e 57, dalle quali si ricaverebbe la dimostrazione di quanto sostenuto dal ricorrente, in quanto vi si riportano i flussi finanziari per conto della RAGIONE_SOCIALE e dei suoi amministratori; la Corte d’appello avrebbe, in particolare, negato illogicamente valore probatorio ai bonifici in uscita risultanti dagli allegati 70 e 71 del processo verbale di constatazione, da cui si ricaverebbe che il ricorrente COGNOME aveva concluso un contratto che prevedeva che le somme transitate nel suo conto avrebbero dovuto essere destinate esclusivamente a pagamenti nell’interesse della società e dei suoi amministratori, cosicché sarebbe erronea la qualificazione di dette somme come redditi dello stesso COGNOME; in particolare i soli bonifici in uscita disposti nell’anno 2013 nell’interesse di COGNOME (socio di riferimento e amministratore della RAGIONE_SOCIALE e di clienti della stessa (RAGIONE_SOCIALE) erano pari alla somma complessiva di euro 601.947,19.
Sarebbe, dunque, errata la qualificazione di dette somme come redditi del ricorrente e la conseguente ricostruzione dei suoi redditi complessivi.
2.7. Con il settimo motivo hanno lamentato un ulteriore vizio della motivazione con riferimento alla esclusione del valore probatorio della consulenza redatta dal Dott. COGNOME in quanto sprovvista di documentazione a supporto della ricostruzione dei fatti operata con la stessa, essendo sufficienti, per suffragare tale ricostruzione, i documenti allegati al processo verbale di constatazione.
2.8. Con l’ottavo motivo hanno denunciato un ulteriore vizio della motivazione, che sarebbe manifestamente illogica nella parte in cui ha affermato la falsità o la simulazione del verbale di accordo in atti, pur avendo dato atto che le funzioni di COGNOME andavano oltre la mera elaborazione dei modelli di dichiarazione.
2.9. Con il nono motivo hanno denunciato un vizio della motivazione anche in relazione alla affermazione di mancanza di rilevanza delle note di accredito emesse dal ricorrente, in quanto prive di giustificazione, trattandosi di motivazione insufficiente.
2.10. Con un decimo motivo hanno lamentato l’illogicità della motivazione anche nella parte in cui si afferma che i bonifici effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE a favore del ricorrente riguarderebbero compensi, pur risultando gli stessi sproporzionati rispetto all’attività svolta dal ricorrente nell’interesse di tale società, mentre somme, corrisposte con bonifici, costituivano rimborsi di anticipazioni di spese che trovavano spiegazione nei movimenti bancari, in adempimento dell’accordo concluso dal ricorrente con la RAGIONE_SOCIALE
2.11. Con l’undicesimo motivo hanno denunciato la violazione dell’art. 163 d.P.R. 917/86 e dell’art. 67 d.P.R. 600/73 e hanno censurato la motivazione della sentenza impugnata anche nella parte relativa alla confisca dell’Iva ritenuta evasa, essendo l’affermazione della sussistenza di una evasione Iva da parte del ricorrente in contrasto con quello affermato nella sentenza del 15 novembre 2017 del Tribunale di Udine in relazione a un reato collegato, e cioè l’omesso versamento dell’Iva da parte della RAGIONE_SOCIALE derivante dalle medesime fatture oggetto delle note di accredito esaminate nel procedimento a carico del ricorrente, giacché, in sostanza, la medesima imposta era stata ritenuta dovuta sia dal ricorrente sia, nel precedente giudizio, da parte della RAGIONE_SOCIALE
2.12. Con il dodicesimo motivo hanno lamentato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che era stato giustificato dai giudici di merito con la produzione da parte del ricorrente di documentazione simulata, benché tale circostanza non fosse, in realtà, stata accertata.
2.13. Infine, con un tredicesimo motivo hanno lamentato l’eccessività della pena, giustificata erroneamente con la complessità e l’articolazione della condotta che sarebbe stata posta in essere dal ricorrente, e l’inadeguatezza della relativa motivazione alla luce della entità della pena stessa.
Hanno quindi chiesto l’annullamento della sentenza impugnata e la dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato di cui al capo a).
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, sottolineando l’adeguatezza della motivazione sia nella parte relativa alla conferma della dichiarazione di responsabilità sia a proposito del trattamento sanzionatorio.
Con memoria del 4 settembre 2024 il ricorrente, nel replicare alle richieste del Procuratore Generale, ha ribadito la fondatezza di tutti i motivi del proprio ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, sia perché pressoché riproduttivo dei motivi d’appello, tutti adeguatamente considerati e motivatamente disattesi dalla Corte d’appello; sia a causa della genericità intrinseca dei motivi cui è stato affidato, privi di autentico confronto critico con le risultanze istruttorie e con la motivazione della sentenza impugnata; sia a causa della manifesta infondatezza di detti motivi, volti, attraverso la deduzione di violazioni di disposizioni di legge penale e processuale e di vizi della motivazione, a sollecitare una non consentita rilettura e rivisitazione sul piano delle valutazioni di merito delle risultanze istruttorie.
2. Giova premettere, per la miglior comprensione della vicenda, al fine del compiuto e corretto esame delle censure, che il ricorrente è stato ritenuto responsabile delle due contestazioni del delitto di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 di cui ai capi a) e b) della rubrica, per avere omesso di indicare nelle proprie dichiarazioni dei redditi e ai fini dell’imposta sul valore aggiunto le ingenti somme indicate nella imputazione, qualificate in sede di accertamento fiscale come redditi, corrispostegli negli anni 2012 e 2013 dalla società RAGIONE_SOCIALE mediante bonifici bancari, in relazione alle quali il ricorrente aveva anche emesso regolari fatture nei confronti di detta società.
Nel corso della verifica fiscale l’imputato aveva emesso nei confronti della medesima società delle note di accredito, di importo corrispondente alle somme versategli e non indicate nelle dichiarazioni fiscali relative agli anni 2012 e 2013, con l’indicazione della causale di storno delle fatture emesse in tali anni, senza, però, che all’emissione di tali note facesse seguito la corresponsione di alcuna somma a favore della RAGIONE_SOCIALE
La giustificazione fornita dall’imputato su tale punto, ossia sul mancato versamento di alcuna somma da parte sua a favore della RAGIONE_SOCIALE nonostante l’emissione di dette note di credito, secondo cui tale pagamento sarebbe avvenuto mediante cessione dei crediti che lo stesso ricorrente vantava nei confronti dei soggetti ai quali aveva corrisposto le somme ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE, è stata ritenuta inattendibile, sia per la sua inverosimiglianza (anche alla luce della qualificazione professionale del ricorrente, ragioniere commercialista, come tale pienamente consapevole del significato e delle conseguenze della emissione di fatture e della ricezione dei relativi pagamenti); sia per la non decisività dell’accordo del 24 ottobre 2013 tra il ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE, tra l’altro redatto successivamente alla verifica fiscale, in quanto ritenuto non dimostrativo della diversa causale dei pagamenti ricevuti dall’imputato (che sarebbero, sostanzialmente, riconducibili a partite di giro nei confronti di altri soggetti); s per la mancata dimostrazione di dette cessioni di credito.
Tanto premesso, circa i fatti addebitati al ricorrente e le ragioni poste a fondamento della affermazione della sua responsabilità, rileva il Collegio che il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata la mancata assunzione delle testimonianze degli autori dell’accertamento tributario, confluito nel processo verbale di constatazione, è inammissibile, sia a causa della sua genericità, sia perché manifestamente infondato.
Tale doglianza GLYPH risulta, GLYPH infatti, GLYPH anzitutto generica, essendo GLYPH priva dell’allegazione della portata di tali testimonianze, in rapporto alle complessive risultanze istruttorie considerate dai giudici di merito, che non sono state considerate dal ricorrente, tantomeno in modo critico, senza, in ogni caso, indicare come le valutazioni dei giudici di merito avrebbero potuto essere sovvertite per effetto dell’assunzione di dette testimonianze.
In ogni caso la censura è manifestamente infondata in quanto la Corte d’appello, nel disattendere il terzo motivo d’appello, sostanzialmente replicato senza significativi elementi di novità critica con il primo motivo del ricorso per cassazione, ha evidenziato che la prova dei fatti contestati all’imputato è stata desunta, prevalentemente, dai documenti acquisiti, da quanto dichiarato dal consulente di parte dell’imputato e dalla testimonianza di NOME COGNOME indicato dal Pubblico ministero, il quale ha riferito di aver ricostruito l’ammontare complessivo delle somme percepite dal ricorrente negli anni 2012 e 2013 dalla RAGIONE_SOCIALE e non dichiarate sulla base dei documenti acquisiti nel corso della verifica fiscale e di quanto emerso nel corso della stessa, provvedendo a redigere un prospetto delle somme percepite dal ricorrente e delle parcelle dallo stesso emesse: non si versa, come adombrato, peraltro genericamente, dal ricorrente, in una ipotesi di testimonianza de relato, bensì della ricostruzione analitica dei ricavi compiuta direttamente dal testimone e da questi riferita in giudizio, eseguita sulla base dei documenti acquisiti nel corso della verifica fiscale, cosicché non vi è stata alcuna violazione delle disposizioni di legge processuale relative alla assunzione delle testimonianze e all’accertamento dei fatti, peraltro neppure contestati dal ricorrente, che ne ha solo prospettato una lettura alternativa, con la conseguente manifesta infondatezza delle censure sollevate sul punto dal ricorrente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il secondo motivo, mediante il quale è stato censurato il valore probatorio attribuito al processo verbale di constatazione, le cui risultanze sarebbero indebitamente state poste a fondamento della affermazione di responsabilità del ricorrente, è inammissibile per ragioni analoghe a quelle esposte al par. 3, sia perché privo di confronto, tantomeno critico, con le risultanze istruttorie e con le motivazioni delle concordi sentenze di merito; sia perché, come già evidenziato, l’affermazione di responsabilità non si fonda affatto, come sostenuto dal ricorrente, sulle risultanze del processo verbale di constatazione o sull’applicazione di
presunzioni tributarie, bensì su quanto emergente dai documenti acquisiti nel corso della verifica fiscale, in particolare le fatture emesse dal ricorrente e gli ordi di bonifico disposti in suo favore dalla RAGIONE_SOCIALE, dai quali, sulla base del riepilogo del loro contenuto redatto dal suddetto teste COGNOME, senza fare ricorso né al processo verbale di constatazione, né, tantomeno, applicando presunzioni tributarie, sono stati accertati i redditi non dichiarati dal ricorrente e sono sta ritenute ingiustificate, come già osservato, le spiegazioni dallo stesso fornite a proposito della mancata indicazione di tali redditi nelle sue dichiarazioni fiscali relative agli anni d’imposta 2012 e 2013 oggetto delle contestazioni.
5. Il terzo motivo, mediante il quale è stata lamentata la violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. e dell’art. 351 cod. proc. pen., a causa della mancata assunzione delle testimonianze di COGNOME e COGNOME (socio di riferimento, il primo, e amministratore, il secondo, della RAGIONE_SOCIALE), è anch’esso inammissibile per ragioni analoghe a quelle esposte a proposito del primo e del secondo motivo di ricorso, in quanto privo di considerazione delle risultanze istruttorie e di quanto esposto nelle sentenze di merito, oltre che della illustrazione di quanto sarebbe stato dichiarato dai suddetti COGNOME e COGNOME nel corso dell’accertamento fiscale, in quanto, come già osservato, l’affermazione di responsabilità non si basa sulle dichiarazioni rese da tali soggetti, bensì sulle risultanze documentali analizzate dal suddetto COGNOME e dal teste COGNOME della Agenzia delle Entrate (essendo stato considerato quanto esposto da tali soggetti in sede di verifica fiscale solo ad abundantiam, v. pag. 17 della sentenza impugnata, a conferma della qualificabilità come ricavi delle somme percepite dal ricorrente, accertata, come evidenziato, sulla base delle risultanze documentali).
Il ricorrente, inoltre, con ciò incorrendo in un vizio di genericità della propri censura, non ha neppure riportato quando riferito da tali soggetti, né illustrato la decisività di tali dichiarazioni o, comunque, la loro incidenza sulle valutazioni compiute dai giudici di merito, con la conseguente inammissibilità della doglianza per difetto di specificità intrinseca ed estrinseca.
Il quarto motivo, mediante il quale è stato lamentato un vizio della motivazione, nella parte relativa al disconoscimento del valore probatorio dei documenti prodotti dalla difesa dell’imputato, in particolare dell’accordo tra il ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE, è inammissibile, sia perché non illustra il contenuto, la portata e, soprattutto, la decisività di tale documento, nella prospettiva dell’accertamento della realizzazione o meno delle condotte contestate al ricorrente; sia perché è volto a censurare valutazioni di merito in ordine all’apprezzamento delle prove, in particolare di detto documento, apprezzamento che è stato giustificato dai giudici di merito con argomenti sovrapponibili e non
manifestamente illogici, come tali non suscettibili di rivisitazioni o riconsiderazione nel giudizio di legittimità.
La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto simulato tale documento, qualificato come “Verbale di ratifica di accordo verbale” e datato 23 ottobre 2013, sia per la mancanza di data certa; sia per la mancata indicazione dei compensi dovuti al ricorrente a fronte delle complesse e articolate attività di consulenza e collaborazione che lo stesso avrebbe fornito alla società sin dal 2010; sia per la genericità delle indicazioni in ordine alla destinazione delle somme che sarebbero state solamente “girate” sui conti correnti dell’imputato; sia per la mancanza di qualsiasi riscontro documentale circa l’anticipazione di somme da parte del ricorrente nei confronti di terzi e nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE
Si tratta di considerazioni idonee a escludere la rilevanza attribuita dal ricorrente a tale documento, che, nella prospettazione difensiva, dovrebbe dimostrare la diversa causale delle somme corrisposte dalla RAGIONE_SOCIALE al ricorrente, causale che è stata esclusa dai giudici di merito con argomenti pienamente razionali, fondati sulla corretta applicazione di massime di comune esperienza (tra cui quella relativa alla necessaria specificazione dei compensi per attività professionali rilevanti e protratte nel tempo e quella in ordine al significatività della assenza di riscontri documentali dei pretesi rapporti con i terzi ai quali sarebbero state versate le somme corrisposte al ricorrente dalla RAGIONE_SOCIALE), argomento che sono stati censurati esclusivamente sul piano della lettura e della valutazione delle risultanze istruttorie, senza individuare violazioni di legge penale o processuale o vizi della motivazione, dunque, nuovamente, in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
7. Il quinto motivo, mediante il quale è stato lamentato un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa alla determinazione dell’imposta evasa, è anch’esso inammissibile per ragioni analoghe, essendo privo di confronto, tantomeno critico, con le risultanze istruttorie e con la motivazione della sentenza impugnata, oltre che volto a conseguire una non consentita rivisitazione delle risultanze istruttorie, nella parte relativa alla determinazione delle imposte evase. La Corte d’appello, infatti, ha rideterminato l’imposta sul reddito evasa dal ricorrente nella minor somma di euro 1.555.121,00, escludendo la detraibilità delle somme indicate dal ricorrente medesimo come rimborsi o restituzioni a favore di COGNOME e della consorte di COGNOME e della stessa COGNOME, non essendovi prova della causale dei relativi prelievi dai conti correnti del ricorrente.
Si tratta, anche a questo proposito di motivazione idonea a confutare i rilievi sollevati con l’atto d’impugnazione, censurata in modo generico, senza considerare l’analisi contenuta sul punto nella sentenza impugnata, proponendo nuovamente,
anche a questo proposito, una generica contestazione della valutazione delle risultanze istruttorie, non ammessa in questa sede di legittimità.
8. Il sesto motivo, mediante il quale è stato lamentato un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa alla valutazione degli allegati al processo verbale di constatazione, dai quali si ricaverebbe la dimostrazione di quanto sostenuto dal ricorrente, in quanto vi si riportano i flussi finanziari per conto della RAGIONE_SOCIALE dei suoi amministratori, è anch’esso inammissibile per le medesime ragioni, sia perché la responsabilità del ricorrente è stata ritenuta dimostrata, come già osservato, non sulla base di quanto indicato nel processo verbale di constatazione, bensì alla luce del contenuto dei documenti acquisiti nel corso della verifica fiscale, ritenuti univocamente dimostrativi della percezione di redditi non dichiarati; sia perché la Corte d’appello, nel disattendere le analoghe censure sollevate con l’atto d’appello, ha esaminato, come già osservato al par. 7, i rilievi del ricorrente circa l’esecuzione di rimborsi a favore della RAGIONE_SOCIALE e dei suoi soci e amministratori o loro familiari, escludendone la prova o comunque la riconducibilità a restituzioni di somme ricevute solo in deposito o comunque nell’interesse della sola RAGIONE_SOCIALE da parte del ricorrente (v. pagg. 18 e 19 della sentenza impugnata).
Ne consegue, anche a questo riguardo, che le doglianze del ricorrente risultano generiche, in quanto prive di considerazione di quanto esposto nella sentenza impugnata e inidonee a costituire valido strumento di critica argomentata a quanto nella stessa esposto, oltre che manifestamente infondate, essendo volte a censurare l’accertamento dell’ammontare delle imposte evase sul piano della valutazione delle risultanze documentali, dunque, ancora una volta, in modo non consentito in questa sede di legittimità.
9. Il settimo motivo, con cui è stato lamentato un ulteriore vizio della motivazione, con riferimento alla esclusione del valore probatorio della consulenza redatta dal Dott. COGNOME nell’interesse del ricorrente, è, anch’esso, manifestamente infondato, in quanto la Corte d’appello ha attentamente esaminato tale consulenza, riportandone anche ampi stralci nella motivazione della sentenza impugnata, giudicando non condivisibile quanto nella stessa esposto circa la diversa ricostruzione dei movimenti contabili rilevati sui conti correnti del ricorrente, in quanto mancante di documentazione a supporto della ricostruzione dei fatti operata con la stessa, come già osservato al paragrafo precedente, e smentita dalle diverse risultanze documentali (in particolare le fatture e i bonifici) poste a fondamento della affermazione di responsabilità.
In particolare, la Corte d’appello ha evidenziato (v. pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata) che “le dichiarazioni del consulente nella parte in cui afferma che a fronte dei bonifici in entrata, risultanti dagli estratti dei conti correnti dim
in atti (v. all. 30), vi era evidenza anche dei bonifici in uscita non ha trovato alcu riscontro documentale”, spiegando che “nei documenti allegati alla consulenza vi è soltanto un estratto conto delle movimentazioni del conto corrente intestato al De Marco acceso presso PosteItaliane dal 4/12/2018 al 31/12/2018” e sottolineando che “negli estratti del conto corrente della società RAGIONE_SOCIALE prodotti dal Pubblico ministero risultano registrati i bonifici a pagamento delle fatture emesse dall’imputato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (v. allegato 30)”.
Inoltre, la Corte d’appello, come già evidenziato al paragrafo precedente, ha esaminato i documenti che sarebbero dimostrativi delle restituzioni da parte del ricorrente a favore del RAGIONE_SOCIALE, da cui, come già osservato, dovrebbe trarsi la prova della diversa qualificazione delle somme ricevute dal ricorrente da parte di tale società, escludendone la dimostrazione o, comunque, la qualificazione prospettata dal ricorrente e dal suo consulente.
Ne consegue la manifesta infondatezza dei, peraltro generici, rilievi sollevati dal ricorrente a proposito della inadeguata considerazione della relazione del proprio consulente, che è stata attentamente esaminata, disattendendo la ricostruzione alternativa con la stessa proposta con argomenti idonei e razionali, di cui è stata proposta una critica generica e fondata su una indebita e non consentita rilettura delle medesime risultanze istruttorie.
10. L’ottavo motivo, mediante il quale è stato prospettato un ulteriore vizio della motivazione, che sarebbe manifestamente illogica nella parte in cui ha affermato la falsità o la simulazione del verbale di accordo in atti, è manifestamente infondato per le ragioni già esposte al paragrafo 6, in quanto a tale affermazione la Corte territoriale è pervenuta, come già osservato, sulla base di una pluralità di argomenti, letti in modo non illogico, non suscettibili rivisitazione o riconsiderazione.
11. Il nono motivo, con cui è stato lamentato un vizio della motivazione anche in relazione alla affermazione della mancanza di rilevanza delle note di accredito emesse dal ricorrente, è manifestamente infondato, in quanto, contrariamente a quanto esposto nel ricorso, tali note di accredito sono state attentamente esaminate dalla Corte d’appello, che ne ha escluso la rilevanza, nella prospettiva indicata dall’imputato, ossia della dimostrazione della diversa causale delle somme dallo stesso ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE, sottolineando, come già esposto al par. 2, che le stesse erano state emesse quando la verifica fiscale era in corso (benché i pagamenti risalissero agli anni 2012 e 2013), per importi corrispondenti alle somme versate al ricorrente dalla RAGIONE_SOCIALE e non indicate nelle dichiarazioni fiscali relative agli anni 2012 e 2013, con l’indicazione della causale di storno delle
fatture emesse in tali anni, senza, però, che all’emissione di tali note facesse seguito la corresponsione di alcuna somma a favore della RAGIONE_SOCIALE
Risulta, dunque, chiaramente infondato quanto affermato in ricorso a proposito della mancata considerazione di dette note di credito, che, invece, sono state esaminate, escludendone in modo argomentato e logico la rilevanza prospettata dal ricorrente.
Il decimo motivo, mediante il quale è stata lamentata, peraltro genericamente, in assenza di autentico confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, l’illogicità della motivazione anche nella parte in cui si afferma che i bonifici effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE a favore del ricorrente riguarderebbero compensi, è inammissibile per ragioni analoghe a quelle esposte al paragrafo precedente, in quanto i giudici di merito, in modo concorde, hanno giustificato tale qualificazione delle somme corrisposte al ricorrente sottolineando:
l’assenza di riscontri documentali della tesi del ricorrente secondo cui le somme percepite sarebbero solamente state “girate” sui suoi conti nell’interesse esclusivo della RAGIONE_SOCIALE;
la genericità della descrizione dell’oggetto delle prestazioni, a differenza di quanto indicato, in modo specifico, nelle fatture ritenute effettivamente relative a rimborsi di spese o anticipazioni;
la veste professionale del ricorrente, ragioniere commercialista, come tale pienamente informato del significato della emissione delle fatture nei confronti della RAGIONE_SOCIALE;
la qualità e quantità delle prestazioni eseguite dal ricorrente per la RAGIONE_SOCIALE, non limitate alla tenuta della contabilità ma, come riconosciuto dallo stesso ricorrente nella missiva inviata al curatore del Fallimento RAGIONE_SOCIALE, estese ad attività di consulenza e procacciamento di clienti, sostanzialmente di agenzia (pur non essendo il ricorrente iscritto al relativo albo);
la già ricordata natura simulata del “Verbale di ratifica di accordo verbale” datato 23/10/2013.
Si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea a giustificare la qualificazione come ricavi delle somme percepite dal ricorrente, che quest’ultimo ha censurato in modo generico, senza considerare i plurimi e significativi elementi evidenziati dai giudici di merito, e sul piano del merito, ossia della valutazione degli elementi di prova, dunque, nuovamente, in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
L’undicesimo motivo, con cui sono state lamentate la violazione dell’art. 163 d.P.R. 917/86 e dell’art. 67 d.P.R. 600/73 e l’insufficienza della motivazione, nella parte relativa alla confisca dell’imposta sul valore aggiunto ritenuta evasa, è
inammissibile a causa della sua genericità e della sua mancanza di concludenza, essendo fondato su un preteso contrasto con una sentenza del 15 novembre 2017 del Tribunale di Udine, che sarebbe relativa al reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto da parte della RAGIONE_SOCIALE, relativa alle succitate note di credito, sentenza che, però, non è stata allegata, neppure per estratto, al ricorso e di cui non è stato neanche adeguatamente specificato il contenuto, di guisa che non è possibile apprezzarne la rilevanza, neppure in termini di manifesta illogicità della motivazione per un eventuale contrasto con l’accertamento contenuto in tale decisione, con la conseguente genericità della doglianza.
14. Il dodicesimo e il tredicesimo motivo, relativi al trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, sono inammissibili, ponendosi in termini di mero dissenso valutativo con la decisione dei giudici di merito, che hanno adeguatamente giustificato il diniego delle circostanze attenuanti con l’assenza di elementi di positiva considerazione e con la produzione da parte del ricorrente di documenti ritenuti simulati (il suddetto verbale di ratifica di accordo), e la misura della pena con la rilevanza delle somme evase e la complessa articolazione della condotta decettiva: si tratta di motivazione certamente idonea, essendo stati sufficientemente indicati gli elementi ritenuti prevalenti nel giudizio negativo sulla personalità del ricorrente e nella valutazione di gravità delle condotte, non suscettibili di rivalutazione sul piano del merito nel giudizio di legittimità.
15. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali è stat affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, COGNOME, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, COGNOME, Rv. 261616; nonché Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, COGNOME, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 17/9/2024