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Dichiarazione infedele: quando la crisi non scusa

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37234/2024, ha rigettato il ricorso di un imprenditore condannato per dichiarazione infedele. L’imputato sosteneva che una grave crisi finanziaria gli avesse impedito di agire diversamente, ma la Corte ha ribadito che, a differenza dei reati di omesso versamento, la crisi non costituisce una scusante per un reato di natura dichiarativa, che implica una condotta decettiva volontaria.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Infedele e Crisi d’Impresa: la Cassazione fa Chiarezza

Con la recente sentenza n. 37234/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul delicato tema della dichiarazione infedele, chiarendo un punto fondamentale: la crisi di liquidità aziendale non può essere invocata come causa di giustificazione. Questa pronuncia offre spunti cruciali per distinguere la responsabilità penale nei reati dichiarativi da quella nei reati omissivi, tracciando un confine netto tra l’impossibilità di pagare e la volontà di ingannare il fisco.

Il Caso: Una Dichiarazione da oltre 170.000 euro

Il caso ha origine dalla condanna di un imprenditore, legale rappresentante di una società, per il reato previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 74/2000. All’imprenditore era contestato di aver indicato, nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2013, elementi attivi per un ammontare inferiore a quelli effettivi, con una conseguente imposta evasa pari a circa 173.000 euro. La condanna, emessa in primo grado dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello, veniva impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso: Tra Crisi Aziendale e Richieste di Impunità

La difesa dell’imprenditore ha basato il proprio ricorso su diversi motivi, cercando di smontare l’impianto accusatorio e la conseguente condanna. I punti principali erano:

1. Improcedibilità per durata del processo: Si chiedeva l’applicazione retroattiva della nuova disciplina sull’improcedibilità del giudizio di appello (art. 344 bis c.p.p.), sostenendo che una sua applicazione solo ai reati commessi dopo il 1° gennaio 2020 creasse una disparità di trattamento incostituzionale.
2. Crisi d’impresa come scusante: La difesa sosteneva che la condotta fosse dipesa da una grave e incolpevole crisi finanziaria, che avrebbe reso la condotta “soggettivamente inesigibile”. A tal fine, si lamentava la mancata ammissione di prove testimoniali volte a dimostrare tale stato di necessità.
3. Particolare tenuità del fatto: Si evidenziava come l’importo evaso superasse di “soli” 22.000 euro la soglia di punibilità all’epoca vigente (150.000 euro), uno scostamento del 10% che, a dire della difesa, avrebbe dovuto condurre al riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.
4. Mancata concessione delle attenuanti generiche e prescrizione.

La Decisione della Corte sulla Dichiarazione Infedele

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna e fornendo importanti chiarimenti su ciascuno dei motivi sollevati.

La Crisi d’Impresa non Giustifica la Falsità Dichiarativa

Questo è il cuore della sentenza. I giudici hanno sottolineato una differenza fondamentale tra i reati di omesso versamento (es. IVA o ritenute) e i reati dichiarativi come la dichiarazione infedele. Mentre per i primi la giurisprudenza ammette, a condizioni rigorose, che un’improvvisa e imprevedibile crisi di liquidità possa escludere la colpevolezza, per i secondi tale giustificazione non è ammissibile.

La dichiarazione infedele è un reato di natura fraudolenta, incentrato su “condotte decettive direttamente ricollegabili alla volontà del soggetto agente”. In altre parole, non si tratta di non poter pagare, ma di scegliere deliberatamente di mentire allo Stato, presentando una fotografia alterata della propria realtà reddituale. La crisi finanziaria, per quanto grave, non può mai giustificare una condotta di falsificazione dei dati contabili e fiscali.

Niente Sconto per “Particolare Tenuità del Fatto”

La Corte ha ritenuto infondato anche il motivo sulla particolare tenuità del fatto. Sebbene la legge preveda questa causa di non punibilità, il suo presupposto è un’offesa minima al bene giuridico tutelato. Nel caso di specie, superare la soglia di punibilità di oltre 22.000 euro, con uno scostamento superiore al 10%, è stato giudicato un superamento “significativo”, tale da precludere in partenza l’applicabilità dell’istituto.

Improcedibilità e Prescrizione: I Calcoli della Corte

Infine, la Cassazione ha respinto le questioni procedurali. Ha confermato che la norma sull’improcedibilità non è retroattiva, in quanto la sua introduzione graduale è una scelta discrezionale e ragionevole del legislatore. Per quanto riguarda la prescrizione, ha chiarito che per i delitti previsti dal D.Lgs. 74/2000, i termini sono aumentati di un terzo, portando la prescrizione massima a 10 anni. Essendo il reato commesso nel settembre 2014, il termine non era ancora maturato al momento della decisione.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta distinzione tra la volontà del reato e le circostanze esterne che possono incidere sulla condotta. Per la dichiarazione infedele, l’elemento centrale è la scelta consapevole di alterare la realtà per evadere le imposte. Questa scelta non può essere scusata da difficoltà economiche, che al massimo possono incidere sulla capacità di adempiere a un debito già dichiarato (reati di omesso versamento), ma non sulla veridicità della dichiarazione stessa. La sentenza ribadisce il principio secondo cui il patto di lealtà fiscale tra cittadino e Stato si basa sulla correttezza delle informazioni fornite, e la violazione di tale patto tramite una condotta fraudolenta non ammette giustificazioni di natura economica.

Le Conclusioni

La sentenza n. 37234/2024 consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di reati dichiarativi. Per gli imprenditori, il messaggio è chiaro: la crisi economica non è una licenza per falsificare le dichiarazioni fiscali. La Corte distingue nettamente l’impossibilità di pagare dall’intenzione di ingannare. Mentre la prima può, in casi eccezionali, essere rilevante per i reati omissivi, la seconda, che caratterizza la dichiarazione infedele, configura una responsabilità penale piena, non scalfibile dalle difficoltà finanziarie dell’impresa.

La crisi finanziaria di un’azienda può giustificare una dichiarazione infedele?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la crisi di liquidità non costituisce una causa di giustificazione per il reato di dichiarazione infedele, in quanto si tratta di una condotta fraudolenta e decettiva basata sulla volontà dell’agente, a differenza dei reati di mero omesso versamento.

Quando si applica la causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto” nei reati tributari con soglia?
Si applica solo quando il superamento della soglia di punibilità è di poco superiore. Nel caso di specie, un superamento di oltre 22.000 euro (più del 10% della soglia) è stato ritenuto significativo e tale da escludere l’applicazione di tale beneficio.

Il reato di dichiarazione infedele quando si prescrive?
Il termine di prescrizione massimo, tenuto conto dell’aumento di un terzo previsto per i reati tributari, è di 10 anni dalla data di commissione del fatto (che coincide con la presentazione della dichiarazione).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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