Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 28335 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 28335 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
indicava: la creazione di falsi profili di operatori accreditati presso diversi CAF; la creazione di false sedi CAF; la ripartizione di compiti di procacciamento dei contribuenti compiacenti; la raccolta illecita di dati identificativi, credenziali di accesso e PIN, la raccolta di dati anagrafici e fiscali, l’inserimento di una mole significativa di dichiarazioni, la fraudolenta indicazione di codici IBAN e coordinate bancarie per l’accreditamento delle somme. Inoltre, la somma illecitamente percepita complessivamente dall’associazione e di cui doveva tenersi conto era ben superiore alla soglia di punibilità.
2.2. Con il secondo motivo, la parte pubblica ricorrente deduceva (secondo l’indicazione normativa dell’art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen., proposta nella rubrica del detto motivo), in maniera peraltro promiscua, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto alla ritenuta insussistenza del periculum in mora ed in particolare del pericolo di dispersione delle somme indebitamente percepite; al proposito lamentava che il Tribunale non aveva evidenziato la somma totale complessiva del profitto illecito quantificato dal G.i.p. in oltre 718.000 euro, per i 125 indagati e che trattandosi di sequestro finalizzato alla confisca, non già sequestro di natura impeditiva, la motivazione adottata dal G.i.p. doveva ritenersi tutt’altro che apparente, in considerazione dell’accertata reiterazione delle condotte da parte degli indagati componenti la struttura associativa, senza che la supposta solvibilità dell’indagato potesse escludere poi la reiterazione di analoghe condotte, come risultante dai rapporti tra i numerosi indagati, che venivano ampiamente richiamati attraverso più atti di indagine.
Con le conclusioni scritte ritualmente trasmesse in data 17 giugno 2025, il Procuratore Generale presso questa Corte chiedeva annullarsi -con rinviol’ordinanza impugnata, avendo il Tribunale del riesame errato nell’applicazione delle norme sul concorso apparente di norme; ed invero ad avviso del P.g. la mancanza degli elementi degli artifici e raggiri nel delitto tributario di cui all’art. 4 D.Lvo 74/2000 deve portare ad escludere che tra l’art. 640 cod. pen. ed il citato art. 4 possa ricorrere un rapporto di specialità, atteso che il ricorso alle modalità fraudolente che caratterizza il fatto tipico della truffa non è elemento costitutivo della condotta tipica del delitto tributario, la quale punisce la mera indicazione di elementi attivi o passivi inesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi.
Con memoria in data 20 giugno 2025 e successive conclusioni scritte del 8 luglio 2025, la difesa dell’indagato resistente argomentava le ragioni della ravvisata inammissibilità del ricorso del Pubblico ministero; in subordine ne chiedeva il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è infondato in diritto; il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
1.1. Ed invero, gli argomenti spesi in diritto dal Pubblico ministero ricorrente non colgono nel segno, nella parte in cui lamentano l’errata qualificazione giuridica dei fatti posti in essere dal COGNOME, evidenziando una serie di elementi di fatto collegati alla falsità delle dichiarazioni annuali dei redditi modello 730, presentate dall’indagato, che non valgono ad identificare gli artifizi o raggiri di cui al fatto tipico punito dall’art. 640 cod. pen., piuttosto che in quella correttamente individuata dal Tribunale e riconducibile all’art. 4 D.Lvo 74/2000, nella concreta fattispecie non punibile atteso il mancato superamento della soglia di punibilità.
Fermo restando in fatto che gli artifici e raggiri erano finalizzati all’indebito ottenimento di rimborsi fiscali, non dovuti, va fatta applicazione dell’interpretazione dei principi espressi da Sezioni Unite ‘ Giordano ‘, secondo cui è configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 ed 8, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen.), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 – 01). Con motivazione che rileva anche in relazione al rapporto tra il delitto di truffa aggravata e la fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d. lgs. 74/2000, le Sezioni Unite hanno precisato che: ‘… Se il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della fattispecie di evasione, espressamente escludendo che la soglia di punibilità possa essere “anticipata”, ai sensi dell’art. 56 cod. pen., anche nel caso di accertamento di irregolarità fiscali compiute nel corso del periodo d’imposta, non è ovviamente consentita l’utilizzazione strumentale di un’ipotesi delittuosa comune contro il patrimonio quale la truffa aggravata ai danni dello Stato (eventualmente anche sub specie di tentativo) per alterare, se non stravolgere, il sistema di repressione penale dell’evasione disegnato dalla legge…..’.
Prendendo, poi, espressa posizione sul tema del concorso di reati o del concorso apparente di norme, la stessa pronuncia delle Sezioni Unite Giordano (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, cit.) espressamente affermava che:’ In definitiva, qualsiasi condotta di frode al fisco non può che esaurirsi all’interno del quadro sanzionatorio delineato dalla apposita normativa…..Vi è, dunque, una
generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato (e della Unione Europea)…..Ulteriori interventi di contrasto contro il fenomeno delle frodi fiscali, in particolare contro le c.d. operazioni carosello, sono contenuti nel d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con modificazioni in legge 22 maggio 2010, n. 73. Proprio queste novelle legislative dimostrano ulteriormente che il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzioni penali necessarie a reprimere condotte lesive o potenzialmente lesive dell’interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali’.
1.2. Tali indicazioni esegetiche risultano, pertanto, di adamantina chiarezza, stabilendo che qualsiasi condotta di frode al fisco trova la sua risposta repressiva esclusivamente nella legislazione speciale tributaria, senza possibilità di ‘recupero’ di fatti, peraltro nemmeno costituenti reato per omesso superamento delle soglie di punibilità, nell’alveo delle generali ipotesi di truffa aggravata in danno dello Stato.
Il principio affermato dalle Sezioni Unite con riferimento ai rapporti tra i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e la fattispecie di truffa aggravata, va ribadito anche in caso di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, fatto meno grave rispetto alle indicate ipotesi di frode fiscale, poiché, anche in tal caso, l’ottenimento di rimborsi non dovuti a seguito della falsa rappresentazione di spese od altri oneri inesistenti, comporta esclusivamente un vantaggio fiscale per il contribuente, senza invece che sussistano ulteriori profitti diversi rispetto a tale operazione effettuata in danno dell’Agenzia delle Entrate.
Pertanto, anche nel rapporto tra dichiarazione infedele e truffa aggravata, sussiste l’identica ratio già individuata dalle Sezioni Unite che hanno sottolineato la ‘generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato’ (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, cit.).
Corretta risulta pertanto la qualificazione giuridica effettuata dal Tribunale del riesame reale e non paiono fondate al proposito le doglianze dedotte con il ricorso del Pubblico ministero.
1.3. Va, peraltro, sottolineato che gli elementi valorizzati dal Pubblico ministero ricorrente valgono, quantomeno in larga parte, a sottolineare la natura organizzata e professionale delle attività di falsa rappresentazione dei dati immessi nelle dichiarazioni ad opera di soggetti professionalmente dediti a tale attività, ma
non paiono costituire elementi – comunque irrilevanti ai fini della qualificazione del fatto- tali da integrare artifici e raggiri posti in essere nell’ambito del rapporto tra privato ed Agenzia delle Entrate, idonei a determinare l’ingiusto profitto. L’avvenuta rappresentazione di falsi elementi passivi nelle dichiarazioni modello 730 ha determinato ex se l’attribuzione al Pellegrino di un non dovuto rimborso, mentre, tutti gli elementi indicati dal ricorso e costituiti: dalle indicazioni di CAF non esistenti, dai falsi profili dei contribuenti, dal procacciamento dei clienti etc. sono elementi che possono concorrere, ove provati, ad attestare l’esistenza di una struttura organizzata associativa, ma non costituiscono elementi in forza dei quali l’Agenzia delle Entrate ha erogato il rimborso, che è stato conseguente, invece, alla sola falsa rappresentazione di dati falsi relativi a spese, esposti nelle dichiarazioni mod. 730 del Pellegrino. Anche sotto tale profilo, pertanto, il motivo di ricorso svela profili di infondatezza.
Indubbiamente suggestive, per quanto parimenti infondate, paiono poi le conclusioni del P.g. presso questa Corte di legittimità; esponendo che la fattispecie di cui all’art. 4 d. lgs. 74/2000 non è integrata da condotte fraudolente, bensì dalla sola falsa indicazione di elementi attivi o passivi inesistenti e sottolineando, quindi, che il delitto di cui all’art.4 cit. è integrato dal mero mendacio, non può mancarsi di osservare come, il P.g. finisce per ricollegare la condotta tipica della indicazione di oneri passivi inesistenti non alla truffa, bensì, alla più lieve e residuale fattispecie di cui all’art. 316-ter cod. pen., costituita dalla indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato, in questo caso costituite dai rimborsi fiscali, con conseguente impossibilità di accoglimento del ricorso in punto qualificazione giuridica, non sussistendo, comunque, l’ipotesi di cui all’art. 640, secondo comma, cod. pen..
Il rigetto del primo motivo, in punto sussistenza del fumus del delitto di truffa aggravata, determina l’assorbimento della doglianza avanzata dal Pubblico ministero ricorrente in relazione alla ritenuta insussistenza anche del periculum in mora , peraltro prospettata attraverso il vettore processuale dei vizi di motivazione, in relazione ad un ricorso in materia di cautela reale, che consente doglianze limitate alla sola violazione di legge, in cui rientra anche l’ipotesi della motivazione meramente apparente, vizio che tuttavia non pare possibile ravvisare nelle diffuse ed argomentate considerazioni svolte dal Tribunale per il riesame di Reggio Calabria (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, COGNOME, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno; seguite da Sez. 6, n. 7472, del 21/1/2009, Rv. 242916; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Rv. 248129; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, COGNOME; Sez. 2, n. 5807, del 18/1/2017, Rv. 269119; più