Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28549 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28549 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/03/2025
I A P’
SENTENZA
Oggi,
Ar:r) 2n 7 5
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Bari il 1 dicembre 1963
avverso la sentenza n. 4158 della Corte di appello di Bari 3 ottobre 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo; GLYPH
Ln(
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata stante l’intervenuta estinzione per prescrizione del residuo reato contestato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunziata in data 3 ottobre 2023 la Corte di appello di Bari ha solo in parte confermato la sentenza con la quale, il precedente 9 febbraio 2022, il Tribunale di Bari, in composizione monocratica, aveva dichiarato, in esito a giudizio celebrato nelle forme ordinarie, la penal responsabilità di COGNOME COGNOME in relazione ai due reati a lui contestati aventi ad oggetto, rispettivamente, la violazione dell’art. 5 del dlgs n. 74 d 2000, per avere, in qualità di legale rappresentante della Officine tecniche RAGIONE_SOCIALE, al fine di evitare le imposte sul valore aggiunto, omesso di presentare la relativa dichiarazione annuale, concernente l’anno di imposta 2011, in tale modo conseguendo un profitto, pari all’ammontare dell’imposta non pagata, di euri 791.366,17, e la violazione dell’art. 10-ter del dlgs n. 74 del 2000, per avere, Cella medesima qualità di cui sopra, omesso, quanto all’anno di imposta 2013, il pagamento dell’Iva risultante dalla relativ dichiarazione all’uopo presentata, in tal modo non versando la somma di eurí 1.761.615,42; per tali reati il Tribunale lo aveva, pertanto, condannato, unificati i medesimi sotto il vincolo della continuazione e riconosciute in favore del prevenuto le circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione, oltre accessori.
Nel riformare, come accennato, la sentenza emessa in primo grado, il giudice del gravame, rigettate talune eccezioni preliminari svolte dalla difesa dell’imputato, rilevava, quanto al reato di cui al secondo punto del capo di imputazione, che lo stesso doveva ritenersi estinto per prescrizione, essendo integralmente maturato il relativo amine di legge.
Detto giudice, quanto al restante reato / ha rilevato che lo stesso, data la tipologia della condotta posta in essere dall’imputato – consistente non nella omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ma nella mancata compilazione di taluni dei riquadri in essa previsti, sebbene si trattasse informazioni essenziali ai fini della determinazione del reddito imponibile e, conseguentemente, della imposta da versare, che in tale modo non erano state trasmesse alla Amministrazione tributaria – ha riqualificato il fatto ascritto al prevenuto in guisa di violazione dell’art. 4 del dlgs n. 74 del 2000, dovendo considerarsi la condotta tenuta dall’imputato come integrante non il reato di omessa dichiarazione ma quello di presentazione di dichiarazione infedele.
Sia per la ragione legata al parziale proscioglimento del COGNOME sia a cagione della riqualificazione del residuo fatto di reato, la Corte di merito ha
rideterminato la pena a questo inflitta, commisurandola, ferme restando le circostanze attenuanti generiche riconosciute, a mesi 10 di reclusione; in relazione alle pene accessorie temporanee la Corte di appello le ha ridotte alla durata di anni 1.
Avverso la sentenza in tale modo pronunziata ha interposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore fiduciario, il COGNOME articolando 6 motivi di ricorso.
Il primo di essi riguarda la notificazione [12 sia del decreto di citazione a giudizio che dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari in quanto nelle copie di tali atti portati alla conoscenza dell’imputato non risulterebbe attestato che le stesse sono state tratte da un atto conforme all’originale; è stato, altresì, eccepito che l’originale del decreto di citazione a giudizio notificato all’imputato manca dell’attestazione del suo deposito da parte del Pnn presso la Cancelleria del giudice.
Con il secondo motivo di ricorso si segnala che il decreto con il quale è stata fissato il giudizio di fronte alla Corte di appello prevedeva la trattazione orale del procedimento, solo il giorno prima di quello fissato per il dibattimento la difesa apprendeva che il giudizio sarebbe stato invece celebrato in forma cartolare; avendo, pertanto, la difesa del ricorrente chiesto / in alternativa alla dichiarazione di nullità del decreto con il quale era stata fissata la udienza /la rimessione in termini per chiedere la trattazione orale del procedimento, la Corte di appello rigettava la richiesta procedendo, quindi, illegittimamente secondo il ricorrente, alla trattazione dello stesso in forma “non partecipata”.
Con il terzo motivo di ricorso è lamentata la nullità della sentenza essendo stata pronunziata la condanna per un fatto diverso (si tratta, infatti, di un reato commissivo) rispetto a quello contestato (mera omissione della presentazione della dichiarazione fiscale).
Con il quarto motivo di ricorso è stata lamentata la violazione di legge stante la ritenuta insussistenza dell’elemento soggettivo, costituito dal dolo specifico di evasione, tipico del reato accertato; ha segnalato il ricorrente come la Corte di appello abbia genericamente fatto riferimento alla sussistenza del dolo, senza altri chiarimenti né in ordine alla specie di esso né agli elementi di giudizio che avevano condotto al suo rilevamento.
Con il quinto motivo di impugnazione è stata lamentata la mancata concessione della sospensione condizionale della pena inflitta e della non menzione della condanna sui certificati penali riguardanti il De Pasquale spediti a richiesta dei privati, misura lato sensu sanzionatoria incongruamente motivata dalla Corte territoriale sulla base della ritenuta gravità del fatto.
Infine, con il sesto motivo di doglianza /è stata censurata quanto al solo reato di cui al secondo punto del capo di imputazione – per il quale, si ricorda, il prevenuto era stato prosciolto per effetto della intervenuta prescrizione – la mancata applicazione della speciale causa di non punibilità introdotta dall’art. 23 del decreto-legge n. 34 del 2023, convertito, con modificazioni, con legge n. 56 del 2023.
In data 5 marzo 2023 la difesa del ricorrente ha fatto pervenire una memoria difensiva in replica alla requisitoria scritta del Pg, con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso proposto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere, per effetto dei motivi di impugnazione presentati dalla ricorrente difesa, annullata senza rinvio stante la intervenuta estinzione per prescrizione anche del residuo reato contestato al ricorrente.
Non sarebbe stato, peraltro, idoneo allo scopo di cui sopra il solo primo motivo di impugnazione; con esso il ricorrente lamenta la circostanza che in sede di notificazione sia dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari che del decreto di citazione a giudizio gli atti materialmente a lui notificati fossero privi della attestazione di loro conformità ad un originale; con particolare riferimento al decreto di citazione a giudizio il ricorrente ha, altresì, segnalato il fatto che nell’originale dell’atto custodito nel fascicolo del dibattimento manca la attestazione del suo avvenuto deposito presso la cancelleria del Tribunale da parte del Pm.
Si tratta di doglianze, già formulate dal ricorrente in sede di presentazione dei motivi di gravame, di dubbia ammissibilità e, comunque, del tutto prive di fondamento.
Quanto al primo profilo, cioè la mancanza di attestazione in ordine alla conformità ad un originale della copia dell’avviso di conclusione delle indagini e del decreto di citazione a giudizio del COGNOME di fronte al Tribunale di Bari rispettivamente notificata al prevenuto, osserva il Collegio che, in
assenza di alcuna contestazione in ordine alla effettiva mancanza di rispondenza fra tale atto ed il suo originale, la mancanza di siffatta attestazione si risolve in una mera irregolarità dell’atto, non idonea a determinarne, stante il generale principio di tassatività dei vizi che colpiscono gli atti processuali, alcuna nullità; peraltro, essendo stato celebrato regolarmente il procedimento di primo grado, e non avendo il ricorrente allegato alcun vulnus al suo corretto esercizio del diritto di difesa per effetto della dedotta mancanza dell’attestazione di conformità rispetto all’originale nella copia a lui notificata degli atti in questione, in ogni caso l’eventuale vizio di tali atti sarebbe stato sanato dal fatto che gli stessi hanno pacificamente raggiunto il loro scopo di informare, quanto al primo atto, il De Pasquale dell’avvenuta conclusione delle indagini svolte a suo carico (e della volontà del Pm di non richiedere la archiviazione della posizione del predetto) e della possibilità di questo di essere sentito prima della formalizzazione del suo eventuale rinvio a giudizio e, quanto al secondo, del fatto che, in un certo giorno, si sarebbe celebrato – cosa che in effetti il ricorrente non dichiara non essere avvenuta nei termini di cui all’avviso di citazione – di fronte al Tribunale di Bari il processo a suo carico per i fatti a lui addebitati e descritti nell’atto in questione.
Quanto al profilo legato alla dichiarata mancanza della attestazione dell’avvenuto deposito del decreto di citazione a giudizio presso la cancelleria del giudice procedente, anche in questo caso non risulta, almeno nella presente sede, che il ricorrente abbia evidenziato in che cosa siffatta mancanza avrebbe potuto ledere la sua condizione processuale, dovendo, peraltro, osservarsi che, essendo stato sicuramente celebrato il processo di fronte al Tribunale di Bari, è indubitabile che tale Ufficio sia stato posto in condizione, attraverso l’avvenuto deposito del decreto di citazione a giudizio (formato, trattandosi di procedimento a “citazione diretta”, direttamente dal Pm), di conoscere la pendenza del procedimento e di apprestare i mezzi materiali per la sua celebrazione; il fatto, adombrato dal ricorrente, che in mancanza della attestazione di cui si tratta, egli non è stato in condizione di verificare i tempi di tale adempimento, non è questione che, in assenza di specifiche allegazioni esplicative, possa avere ridondato negativamente in relazione alla sua posizione processuale.
Parimenti manifestamente infondato è il secondo motivo di impugnazione.
Come, infatti, rilevato nella sentenza emessa dalla Corte territoriale barese, al di là nel tenore grafico del decreto di citazione a giudizio di fronte alla Corte di appello, il ricorrente avrebbe dovuto ben tenere presente l’inequivocabile e cogente, dato normativo secondo il quale (in base alla previsione di cui all’art. 23-bis, comma 1, del decreto-legge n. 137 del 2020, convertito con modificazioni con legge n. 176 del 2020, disposizione applicabile al procedimento in questione ai sensi dell’art. 94, comma 2 del dlgs n. 150 del 2022, nel testo modificato per effetto della entrata in vigore del dlgs n. 215 del 2023) per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la Corte di appello procede in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l’imputato manifesti la volontà di comparire.
La circostanza che lo stesso e la sua difesa non erano stati informati dell’avvenuta presentazione di alcuna istanza di trattazione in forma orale del procedimento (adempimento che, ove una tale richiesta, nella fattispecie ipoteticamente formulata dal solo Pm, fosse stata presentata, doveva essere eseguito a cura dell’Ufficio giudiziario a pena di nullità: cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 18 marzo 2024, n. 11170, rv 286046)) avrebbe dovuto chiarire al ricorrente che, ove avesse egli voluto che si fosse proceduto secondo tale modello procedimentale, sarebbe stato suo onere formulare tempestiva istanza in tale senso e che, in assenza di tale istanza il procedimento sarebbe stato trattato in “forma cartolare”.
Non avendo egli adempiuto a tale onere di richiesta, nessun diritto egli aveva di essere rimesso in termini, secondo quanto da lui senza successo sollecitato alla Corte territoriale; correttamente, d’altra parte, questa ha proceduto/ senza altri indugi, alla trattazione, fisiologicamente “cartolare”, della impugnazione presentata dalla difesa del COGNOME.
Superate queste preliminari questioni di carattere generale, ritiene il Collegio che la logica del processo gli imponga di passare all’esame del sesto motivo di impugnazione, avente ad oggetto la ritenuta erroneità da parte del Collegio giudicante in sede di gravame della decisione da questo assunta di non applicare, in luogo della declaratoria di prescrizione del reato di cui al secondo punto del libello accusatorio contestato all’imputato, la particolare causa di non punibilità dettata dall’art. 23 del decreto-legge n. 34 del 2023, convertito, con modificazioni, con legge n. 56 del 2023.
Si tratta di doglianza inammissibile; si impone un primo rilievo: dal chiaro tenore letterale dell’art. 129 cod. proc. pen. – secondo il quale in ogni stato e grado del procedimento, laddove emerga, fra l’altro, che il reato in contestazione è estinto (ivi compresa, sol che possa dirsi istituito un valido rapporto processuale, naturalmente anche la estinzione per prescrizione), il giudice è tenuto a dichiarare con sentenza il verificarsi di siffatto fenomeno emerge che – con le sole eccezioni, tassativamente indicate nel capoverso della disposizione in questione, le quali riguardano il caso che, con valutazione di obbiettiva evidenza, il giudice non rilevi che “il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato” – di regola l’immediato proscioglimento del prevenuto costituisce la via obbligata per il giudice, non operando la deroga ad esso nel caso in cui il fatto sia semplicemente oggetto di una causa di non punìbilità.
Ma osserva, altresì, il Collegio che, in ogni caso, quale che possa essere la fondatezza della pretesa impugnatoria del ricorrente, se cioè era astrattamente applicabile la causa di non punibilità invocata dal ricorrente, questi non ha interesse al fatto che la stessa sia rilevata quanto al caso ora in esame, dovendo ritenersi che la formula connessa al suo proscioglimento in conseguenza della dichiarata estinzione del reato per effetto delle intervenuta prescrizione, sia formula di definizione del giudizio a lui più favorevole rispetto a quella relativa alla eventuale sussistenza di una causa di non punibilità del fatto (si veda, in tale senso, con riferimento al rapporto fra prescrizione e non punibilità del fatto ex art. 131-bis cod. pen.: Corte di cassazione, Sezione I penale, 26 novembre 2021, n. 43700, rv 282214; Corte di cassazione, Sezione VI penale, 16 marzo 2016, n. 266505.).
Poiché la chiara indicazione testuale contenuta nel testo legislativo invocato dal ricorrente evidenzia che quella da lui invocata è esattamente una causa di non punibilità (l’art. 23, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2023 espressamente come tale definisce l’ipotesa da tale norma descritta), nessun interesse avrebbe avuto – quandanche la relativa istanza fosse stata fondata (tema che qui non interessa approfondire minimamente) – il ricorrente ad una pronunzia che si fosse sostituita all’avvenuto proscioglimento per la maturata prescrizione di uno dei reati a lui contestati.
Certamente non inammissibile è, invece, il successivo motivo di ricorso esaminato, cioè il terzo; con esso, infatti, il ricorrente ha lamentato il fatto che, in assenza di qualsivoglia modifica della imputazione a lui contestata, il
reato a lui attribuito al punto 1 della rubrica elevata nei suoi confronti sia stato riqualificato da violazione dell’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000 in violazione dell’art. 4 del medesimo testo legislativo.
Va, infatti, osservato che al ricorrente era stata contestata nel corso del giudizio di primo grado la violazione dell’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000, per avere, come recita il capo di imputazione elevato nei suoi confronti, omesso di presentare, pur essendovi obbligato, la annuale dichiarazione Iva relativa all’anno di imposta 2011; sulla base di tale imputazione lo stesso era stato, pertanto, condannato alla pena ritenuta di giustizia dal giudice di primo grado.
In sede di giudizio di gravame la Corte di appello ha osservato che, in realtà, dagli atti di causa era emerso che l’imputato “lungi dall’omettere tout court la presentazione della documentazione ai fini IVA, trasmetteva entro il 30.9.12 una dichiarazione incompleta”; tale dato, precisa la Corte di Bari, era emerso già in occasione della verifica ispettiva operata dalla Guardia di Finanza e di ciò gli operanti ne dettero espressamente conto nel processo verbale di contestazione redatto in data 4 novembre 2015 e nella comunicazione di notizia di reato del 6 novembre 2015; ciononostante, si osserva ora, il capo di imputazione contestato al COGNOME si riferisce puntualmente alla fattispecie delittuosa esclusivamente omissiva.
Di fronte a tale impasse la Corte di appello ha proceduto, motu proprio, alla riqualificazione del fatto nella violazione dell’art. 4 del dlgs n. 74 del 2000, il quale sanziona penalmente la condotta di chi, al fine di evadere le imposte, fra l’altro, sul valore aggiunto, indichi “elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti”; tali condotte debbono concorrere con il superamento di un determinata soglia di punibilità e con l’avvenuta sottrazione di elementi attivi di reddito, anche mediante la indicazione di elementi passivi inesistenti, che sia superiore al 10% all’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati o sia superiore a 2.000.000,00 di euri.
Ritiene il Collegio che operando nei termini descritti, la Corte di appello ha, tuttavia, travalicato i limiti ad essa imposti in occasione dell’esercizio della potestà che compete al giudicante di attribuire la corretta veste giuridica alla imputazione in fatto mossa al prevenuto.
Come, infatti, è stato puntualizzato da questa Corte di legittimità, in tema di obbligo di correlazione tra sentenza ed accusa contestata, il giudice può dare al fatto una diversa qualificazione giuridica solo a condizione che il
fatto storico addebitato rimanga identico in riferimento al triplice elemento della condotta, dell’evento e dell’elemento psicologico dell’autore (Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 maggio 2008, n. 19118, rv 239873).
Nella occasione, viceversa, la Corte di appello ha proceduto alla riqualificazione in reato comrnissivo di un reato originariamente contestato come omissivo puro (sulla autonomia delle condotte delittuose descritte negli artt. 2, 3, 4 e 5 del dlgs n. 74 del 2000, trattandosi di reati caratterizzati da condotte fra loro diverse e non costituenti modalità alternative di realizzazione di un medesimo illecito si veda: Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 maggio 2022, n. 20050, rv 283201), individuando quale elemento oggettivo dell’illecito non la omissione della presentazione della dichiarazione Iva ma la presentazione di una dichiarazione riportante dati incompleti.
Seppure è ben vero che una tale condotta non può essere considerata una condotta penalmente “neutra” è altrettanto vero cha la stesseLnon può essere equiparata ad una condotta meramente omissiva quale è quella sanzionata dall’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000; va, peraltro, considerato come la stessa Corte di Bari – la quale, altrove, contraddittoriamente ed in termini assiomatici, ha postulato, pur a seguito della riqualificazione, la immutata sostanza del fatto attribuita al COGNOME – abbia invece altrove rilevato come la condotta posta in essere, secondo l’accusa, dal COGNOME (e della quale, è appena il caso di aggiungere, gli organi della accusa erano consapevoli sin dalla trasmissione ad essi da parte della branca specializzata nei reati tributari della Polizia giudiziaria della notizia di reato) integri gli estremi di una dichiarazione infedele e non certo di una dichiarazione omessa.
Anche per quanto attiene al successivo quarto motivo di impugnazione deve escludersene la inammissibilità, sol che si rilevi – premessa la natura di dolo specifico (evidenziata dalla locuzione “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”) con la quale è caratterizzato l’atteggiamento della volontà che deve animare il soggetto agente affinché egli debba rispondere del reato di cui all’art. 4 del dlgs n. 74 del 2000 – come la Corte territoriale, in relazione al punto in questione – la cui analisi era imposta sia dal fatto che il ricorrente in sede di gravame aveva contestato la esistenza dell’elemento soggettivo peculiare in relazione alla imputazione originariamente contestata all’imputato, sia dalla circostanza che, riqualificata la condotta da questo posta in essere in un diverso reato era onere del giudicante verificare, sia pur sinteticamente, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, del nuovo diverso nomen luris entro il quale
era stata sussunta la fattispecie – si sia limitata ad affermare “deve (…)
ritenersi senza meno integrato anche il dolo specifico richiesto per la consumazione del reato di dichiarazione infedele”.
dide,t
Una tale motivazione – ma si tratta piuttosto
GLYPH
dichiarazione di un postulato che
che non LU illustrazione di un ragionamento conducente ad una conclusione logica – non soddisfa indubbiamente í criteri di completezza
motivazionale imposti per i provvedimenti giurisdizionali dall’art. 125, comma
3, cod. proc. pen.
Tanto osservato, ritiene il Collegio che non metta conto, stante la indubbia intervenuta costituzione del rapporto processuale, derivante dalla
palese non inammissibilità dei due motivi di impugnazione da ultimo descritti, procedere ad una approfondita disamina della complessiva fondatezza dei
medesimi (oltre che alla disamina del quinto motivo di ricorso afferente alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena irrogata, che,
per quanto ora si vedrà, è evidentemente assorbito dalla decisione che ci si appresta a esprimere) ed eventualmente provvedere nel senso dell’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, atteso che – data la collocazione temporale del residuo reato, commesso in data 30 settembre 2012 cioè all’atto della presentazione da parte del prevenuto della dichiarazione dei redditi incompleta – esso ad oggi, pur considerato il periodo di mesi 11 e giorni 7, nel corso del quale il relativo termine prescrizionale è rimasto sospeso, è ampiamente prescritto.
Visto l’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., la sentenza con la quale il COGNOME era stato confermato nella colpevolezza del reato di cui alla prima imputazione a lui contestata – sebbene riqualificato nel senso dianzi descritto e, pertanto condannato alla pena ritenuta di giustizia, deve ora, per quanto sopra considerato, essere annullata senza rinvio, stante l’intervenuta estinzione anche del residuo reato a lui contestato.
P QM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il residuo reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2025
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Pres ente