Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27820 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27820 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di:
COGNOME NOME nato a Reggio Calabria il 11/11/1991
Il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5 e 611, comma 1bis e ss. cod. proc. pen.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME con requisitoria scritta tempestivamente depositata, chiedeva l’annullamento con rinvio del l’ordinanza impugnata avendo il Tribunale per il riesame errato nella applicazione delle norme sul concorso apparente di norme; con la requisitoria si rilevava che il ricorso alle modalità fraudolente che struttura la fattispecie della truffa non è elemento costitutivo della condotta tipica del delitto tributario, la quale punisce la mera indicazione di elementi attivi o passivi inesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi.
RITENUTO IN FATTO
1.Il Tribunale per il riesame delle misure cautelari reali di Reggio Calabria decideva sulla richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME nei confronti del decreto di sequestro preventivo della somma di euro 3996,00; il sequestro era stato disposto sia per garantire la confisca che per impedire l’aggravamento delle conseguenze dei reati in relazione al riconoscimento del fumus del reato contestato al capo 107) inquadrato come truffa aggravata ai danni dello Stato.
Si contestava al COGNOME di aver utilizzato, in concorso con altri, artifici e raggiri consistiti nell’inserimento nelle dichiarazioni fiscali effettuate con il ‘ mod 730 ‘ elementi fittizi ed inveritieri, così inducendo un errore l’Agenzia delle entrate sull’esistenza di un credito d’imposta, che veniva erogato pur non essendo dovuto; l’importo erogato in relazione all’anno 2016 risultava di euro 3996,00; tuttavia nei confronti del COGNOME veniva vincolata solo la somma di euro 2.397,00, pari al 60% dell’indebito rimborso, tenuto conto che la restante somma, pari al 40%, era confluita in capo ai membri dell’associazione che avevano gestito l’attività illecita .
Il Tribunale accoglieva il riesame ritenendo che la condotta contestata dovesse essere qualificata ai sensi dell’art. 4 del d.lgs n. 74 del 2000 (o, al più, de ll’art. 3 del d.lgs n. 74 del 2000) ; e che, non essendo stato provato che la condotta integrante tale reato avesse prodotto un profitto illecito superiore alla soglia di punibilità, disponeva la restituzione del denaro vincolato.
Contro tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria che deduceva:
2.1. violazione di legge (art. 640 cod. pen.) in ordine alla qualificazione giuridica della condotta contestata: il Tribunale avrebbe ritenuto che l’unico artificio agito fosse la ‘ dichiarazione illegittima ‘ e che il solo beneficio conseguito fosse il profitto dei reati fiscali; non sarebbero state invece valutate tutte le condotte ‘ ulteriori e diverse ‘, nonostante le stesse fossero state puntualmente indicate nella parte introduttiva del provvedimento genetico; inoltre la circostanza che il 40% del rimborso illegale fosse stato devoluto agli associati non consentirebbe di ritenere che il ‘ fine ‘ della condotta contestata fosse solo la consumazione di un illecito fiscale.
Si deduceva che gli artifici e raggiri utilizzati dagli associati consisterebbero (a) nella creazione di falsi profili di operatori accreditati presso i Caf, (b) nella ripartizione attraverso uno schema prestabilito di compiti di procacciamento finalizzati ad individuare profitti attraverso l’aumento dei contribuenti compiacenti, (c) nella raccolta illecita di dati identificativi e credenziali di
accesso per i servizi telematici di Agenzia delle entrate e dell’Inps, (d) nella raccolta di dati anagrafici e fiscali di persone fisiche iscritte all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero del Comune di Rosarno e di Bagnara Calabra, (e) nel ‘ contenimento ‘ del rimborso sotto la soglia prevista per l’attivazione delle procedure automatiche di controllo disposte dall’Agenzia delle Entrate, (f) n ello strategico inserimento di una mole significativa di rettifiche ed integrazioni espressamente finalizzato ad ingannare i sistemi automatici di controllo, (g) nella fraudolenta indicazione di Iban e coordinate bancarie per il successivo accreditamento delle somme: si tratterebbe di un insieme di condotte di natura decettiva riconducibile al paradigma degli artifici e raggiri necessari per integrare la truffa.
Sarebbe inoltre decisivo il fatto che il profitto indebito non sarebbe stato lucrato dal solo contribuente ma -nella misura del 40% – direttamente dagli associati, anche se estranei al rapporto dichiarativo: il profitto lucrato dai partecipi all’associazione attraverso le dichiarazioni illegali dimostrerebbe che l’illecito non sarebbe stato limitato alla dichiarazione infedele.
Si deduceva inoltre che l’ammontare complessivo dei guadagni ottenuti dall’associazione superava la soglia di punibilità prevista per le singole dichiarazioni illecite, sicché il Tribunale avrebbe potuto riqualificare tutti i reati fine ai sensi dell’art. 4 d.lgs n. 74 del 2000, ritenendo le singole condotte avvinte da un medesimo disegno criminoso.
Infine: la decisione contestata non avrebbe tenuto conto del fatto conto che le false dichiarazioni sarebbero state mantenute strategicamente sotto la soglia della rilevanza penale;
2.2. vizi di motivazione: si deduceva che il Giudice per le indagini preliminari avrebbe disposto il sequestro sia per anticipare gli effetti della confisca sia per evitare l’aggravamento delle conseguenze del reato e che il provvedimento genetico conterrebbe una motivazione accurata circa la necessità di vincolare le somme rimborsate in ragione della sistematicità delle condotte, gestite e coordinate da un apparato criminale strutturato.
L ‘ esigenza cautelare di impedire l’accrescimento del danno renderebbe irrilevanti gli argomenti utilizzati per negare la sussistenza del periculum sulla base della ‘ solvibilità ‘ del singolo contribuente; invero la somma sequestrata ai singoli sarebbe minima rispetto all’indebito rimborso complessivamente percepito, sicché l’allegata solvibilità del singolo contribuente non osterebbe alla consumazione di ulteriori condotte illecite progettate ed attuate dagli associati.
Si rilevava, infine, che il Giudice per le indagini preliminari non si sarebbe limitato ad indicare il valore del rimborso indebitamente percepito, ma avrebbe descritto le ragioni per cui il profitto doveva essere scisso e sequestrato pro
quota ad associati e contribuenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
1.1. Il primo motivo, nella parte in cui lamenta l’errata qualificazione giuridica delle condotte contestate al COGNOME ed inquadrate nella fattispecie della truffa aggravata, non è fondato.
Il Collegio ritiene che gli elementi allegati dal ricorrente non consentano di qualificare la condotta come truffa aggravata e che le condotte contestate siano state legittimamente ricondotte alla fattispecie descritta dall’ art. 4 d. lgs. 74/2000 non punibili per il mancato superamento della soglia di punibilità.
Sul punto si riafferma l’interpretazione delle Sezioni Unite secondo cui è configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 ed 8, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen.), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 – 01).
La Cassazione, nella sua più autorevole composizione, ha enucleato il principio appena richiamato con argomenti rilevanti anche per la definizione del rapporto tra il delitto di truffa aggravata ed il reato di dichiarazione infedele previsto d all’art. 4 d. lgs. 74/2000, precisando che «la negazione del rapporto di specialità tra frode fiscale e truffa ai danni dell’Erario, si pone in contraddizione con la linea di politica criminale e con la ratio che ha ispirato il legislatore nella riforma di cui al d.lgs. n. 74 del 2000», tenuto conto del fatto che «il legislatore, in occasione della riforma introdotta con il d.lgs. n. 74 del 2000, con una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria, ha inteso abbandonare il “modello del c.d. “reato prodromico”, caratteristico della precedente disciplina di cui al d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516 modello che attestava la linea d’intervento repressivo sulla fase meramente “preparatoria” dell’evasione d’imposta – a favore del recupero alla fattispecie penale tributaria del momento dell’offesa degli interessi dell’erario. Questa strategia – come si legge nella relazione ministeriale – ha portato a focalizzare la risposta punitiva sulla dichiarazione annuale, quale atto che “realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e definitivo dell’evasione, negando
rilevanza penale autonoma alle violazioni “a monte” della dichiarazione stessa”».
Le Sezioni Unite hanno altresì segnalato il particolare rilievo sistematico che assumono «le disposizioni normative degli artt. 6 e 9 d.lgs. n. 74 del 2000 sul tentativo e, rispettivamente, sul concorso di persone rilevando che «la disposizione dell’art. 6 del d.lgs. n. 74 del 2000, escludendo la punibilità a titolo di tentativo dei delitti in materia di dichiarazione di tipo commissivo di cui agli artt. 2, 3 e 4 dello stesso decreto legislativo, mira – oltre che a stimolare, nell’interesse dell’Erario, la resipiscenza del contribuente scoperto nel corso del periodo d’imposta – ad evitare che violazioni “preparatorie”, già autonomamente represse nel vecchio sistema (registrazione in contabilità di fatture per operazioni inesistenti, omesse fatturazioni, sottofatturazioni, ecc.), possano essere ritenute tuttora penalmente rilevanti ex se, quali atti idonei, preordinati in modo non equivoco ad una falsa dichiarazione”, come tali punibili ex se a titolo di delitto tentato . In altri termini, se il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della fattispecie di evasione, espressamente escludendo che la soglia di punibilità possa essere “anticipata”, ai sensi dell’art. 56 cod. pen., anche nel caso di accertamento di irregolarità fiscali compiute nel corso del periodo d’imposta, non è ovviamente consentita l’utilizzazione strumentale di un’ipotesi delittuosa comune contro il patrimonio, quale la truffa aggravata ai danni dello Stato (eventualmente anche sub specie di tentativo) per alterare, se non stravolgere, il sistema di repressione penale dell’evasione disegnato dalla legge» (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, cit, § 3).
Tale percorso argomentativo ha condotte le Sezioni unite ad affermare, prendendo espressa posizione sul tema del concorso di reati o del concorso apparente di norme, che «qualsiasi condotta di frode al fisco non può che esaurirsi all’interno del quadro sanzionatorio delineato dalla apposita normativa», e che «vi è, dunque, una generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato (e della Unione Europea)» (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, cit., § 3).
In sintesi, dalla ricostruzione effettuata dalle Sezioni Unite -che si condivide e riafferma – emerge con chiarezza che «il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzioni penali necessarie a reprimere condotte lesive o potenzialmente lesive dell’interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali» (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, cit., § 3).
Deve ritenersi pertanto che qualsiasi condotta di frode al fisco trova la sua risposta repressiva esclusivamente nella legislazione speciale tributaria.
1.2. Il principio affermato dalle Sezioni Unite con riferimento ai rapporti tra i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e la fattispecie di truffa aggravata, va ribadito anche in caso di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, condotta meno grave rispetto alla frode fiscale, poiché, anche in tal caso, l’ottenimento di rimborsi non dovuti a seguito della falsa rappresentazione di spese od altri oneri inesistenti, comporta esclusivamente un vantaggio fiscale per il contribuente, ma non genera nessun profitto ulteriore. Si ritiene, cioè, che, anche nel definire il rapporto tra dichiarazione infedele e truffa aggravata, sia valido il principio secondo cui la «generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato» (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, cit.).
In conclusione, il Collegio ritiene legittima la qualificazione giuridica assegnata dal Tribunale alle condotte inquadrate inizialmente come truffa aggravata, anche tenuto conto del fatto che le sono state contestate e descritte senza effettuare alcun richiamo all ‘ attività indicata nel capo di imputazione provvisorio che descrive il delitto associativo e senza individuare alcun profitto ulteriore rispetto a quello dell’incasso del rimborso illegale .
1.3. Il Collegio rileva inoltre che gli elementi valorizzati dal pubblico ministero ricorrente valgono ad identificare l’attività associativa , ma non incidono sulla struttura delle condotte inquadrate come dichiarazioni infedeli ai sensi dell’art. 4 d.lgs 74 2000.
Invero la rappresentazione di falsi elementi passivi nelle dichiarazioni ‘ mod. 730 ‘ ha determinato l’attribuzione al ricorrente di un rimborso non dovuto, mentre, tutti gli altri elementi indicati dal ricorso (le indicazioni di CAF non esistenti, i falsi profili dei contribuenti, il procacciamento dei clienti etc.) pur indicando l’esistenza di una struttura organizzata, non risultano in connessione causale con l’erogazione del rimborso, che, come decritto nei capi di imputazione provvisoria, è stato generato solo dalla falsa rappresentazione di dati inveritieri esposti nelle dichiarazioni ‘ mod. 730 ‘ .
Anche sotto tale profilo, pertanto, il ricorso non è fondato.
1.4. Infine, non sono accoglibili le conclusioni del Procuratore generale della Cassazione contenute nella requisitoria scritta, dove lo stesso ha rilevato che la fattispecie di cui all’art. 4 d. lgs. 74/2000 non può essere ritenuta quando emergano condotte fraudolente -che sarebbero presenti nel caso di specie -, ma solo quando la condotta si esaurisca nella falsa indicazione di elementi attivi o
passivi inesistenti.
Invero, nel caso in esame, le contestazioni riguardano proprio condotte che si esauriscono nella rappresentazione di spese inveritiere diretta ad ottenere il rimborso fiscale non dovuto; inoltre, nei capi di imputazione che descrivono tale attività illegale non si rinviene alcun riferimento ad condotte decettive ulteriori.
1.5. Il rigetto del primo motivo, in punto sussistenza del fumus del delitto di truffa aggravata, determina l’assorbimento della doglianza in relazione alla ritenuta insussistenza del periculum in mora (peraltro prospettata in relazione al ‘ vizio di motivazione ‘, non consentito nella materia cautelare reale).
In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi infondata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il giorno 11 luglio 2025.