Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27198 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27198 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CASERTA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/09/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che COGNOME NOME, condanNOME in primo e secondo grado alla pena sospesa di un anno di reclusione, per il reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 7 del 2000 – perché, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava nella dichiarazione annuale relativa all’anno d’imposta 2013 elementi passivi fittizi per un importo totale di C 13.000,00, avvalendosi delle ricevute, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, per operazioni inesistenti – ha proposto ricorso per cassazione;
che, con un primo motivo di censura, si denuncia la violazione dell’art. 131bis cod. pen. ed il connesso vizio di motivazione, per la mancata applicazione della relativa causa di non punibilità, pur specificamente richiesta dal difensore nell’atto di appello, non potendosi ritenere integrata, nel caso di specie, un’ipotesi di motivazione implicita del suo diniego;
che, con una seconda doglianza, si lamenta il difetto motivazionale della sentenza impugnata, con riguardo alla penale responsabilità dell’imputato, sul rilievo che il provvedimento impugNOME – secondo la prospettazione difensiva – si è limitato a riprodurre la decisione confermata, dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, senza tuttavia dare conto degli specifici motivi d impugnazione sollevati nell’atto di appello, mancando altresì di argomentare sull’inconsistenza o sulla non pertinenza degli stessi – non potendosi, a parere del ricorrente, evocare lo schema della motivazione per relationem ed entrando in contraddizione allorché, pur dichiarando inammissibile la prima censura per mancato confronto con la decisione di primo grado, avrebbe tuttavia ritenuto meritevole di esame nel merito quella parte della doglianza relativa al travisamento della deposizione del teste COGNOME;
che, con un terzo motivo di ricorso, si censurano la violazione degli artt. 62bis, 132 e 133 cod. pen. e il connesso vizio di motivazione, in ordine, quanto alla dosimetria della pena inflitta, inadeguata ed eccessiva per il diniego delle circostanze attenuanti generiche, e non corroborata da idonea motivazione, avendo la Corte di appello omesso di valutare circostanze favorevoli al reo, quali lo stato di incensuratezza e la lontananza dell’imputato da qualsivoglia contesto criminale, tali da giustificare, a parere del ricorrente, una pena meno severa.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che la prima censura è inammissibile in quanto nuova, sia perché inerente ad un profilo non dedotto in precedenza, a fronte del quale, dunque, la Corte di appello non aveva alcun onere di motivazione, sia perché la gravità del reato, come delineata in sentenza, osta in ogni caso alla sua non punibilità;
che il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile, giacché meramente riproduttivo di doglianze già esaminate e motivatamente disattese nel
giudizio di secondo grado, diretto altresì a sollecitare una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di un’alternativa “rilettura” del quadro probatorio, già adeguatamente valutato dai giudici di merito, con coerenti e conformi argomentazioni;
che il motivo risulta anche manifestamente infondato, poiché trattasi di una c.d. “doppia conforme”, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lettere congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Tribunale, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (ex plurimis, Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, Rv. 280654);
che, in ogni caso, la difesa non contesta compiutamente le affermazioni della sentenza secondo cui le operazioni di sponsorizzazione e i costi portati dall’imputato in detrazione sono inesistenti, come confermato anche dall’assenza di idonea documentazione e dall’asserito pagamento in contanti;
che il terzo motivo di doglianza è manifestamente infondato, in quanto inerente ad un trattamento punitivo che risulta effettivamente sorretto da sufficiente e logica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive, avendo la Corte d’appello valorizzato in senso negativo la mancanza di resipiscenza e la gravità del fatto anche sul piano soggettivo, essendo stato il reato commesso da persona professionalmente qualificata;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giuo 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2024.