Sentenza di Cassazione Penale Sez. F Num. 29951 Anno 2025
Penale Sent. Sez. F Num. 29951 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/08/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Emilia il 31/01/1972
avverso la sentenza del 21/01/2025 della Corte d’appello di Bologna
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito per l’imputato l’avv. NOME COGNOME in sost. dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Reggio Emilia ha concesso a COGNOME Davide i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, ha ordinato la confisca diretta nei confronti della società e per equivalente nei confronti dell’imputato della somma di euro 1.052,70, ed ha confermato nel resto la sentenza di condanna, alla pena di anni uno di reclusione, in relazione al delitto di cui all’art. 2 D. Lgs n. 74 del 2000, perché, al fine evadere le imposte sul reddito e sul valore aggiunto, essendo obbligato nella qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE a presentare le dichiarazioni annuali per dette imposte, presentava la dichiarazione
dei redditi Modelli Unico SC 2015, per l’anno 2014, nella quale indicava elementi passivi fittizi utilizzando la fattura n. 98 del 31.12.2013, emessa dalla ditta RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per un importo di € 4.785,00, per operazioni inesistenti. In Reggio Emilia il 24/09/2015.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento con un unico motivo di ricorso di violazione di legge in relazione all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 e alla mancata prova dell’utilizzo della fattura nella dichiarazione fiscale presentata e della falsi della medesima fattura. Premesso che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è integrato dalla registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall’inserimento nella dichiarazione d’imposta dei corrispondenti elementi fittizi, argomenta, il ricorrente, che la sentenza impugnata si sarebbe soffermata diffusamente sulla inesistenza delle operazioni economiche indicate nella fattura, ma non anche in relazione alla sua utilizzazione nelle dichiarazioni d’imposta relative all’anno 2014, in quanto la sentenza sarebbe carente, nella parte della motivazione, in punto dimostrazione dell’utilizzazione di tale fattura e dell’indicazione dell’ammontare dell’elemento fittizio non risultando, dalla motivazione, l’ammontare delle imposte evase per effetto di tale fatture, essendo stato ritenuto dimostrato l’utilizzo sull base del ricalcolo delle imposte dovute. A fronte dei rilievi difensivi, la sentenza impugnata avrebbe affermato che tale fattura sarebbe stata annotata nella contabilità della società amministrata dal ricorrente e poi utilizzata per indicare costi fittizi nelle dichiarazioni d’imposta in quanto ciò risulterebbe da un riscontr compiuto sulla contabilità fornito dalla stessa società. Tale motivazione, unitamente all’assenza agli atti del fascicolo della documentazione specifica, non sarebbe sufficiente inidonea a dare adeguata prova in ordine alla sussistenza di un elemento costitutivo della fattispecie criminosa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto il difensore ricorrente nel riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, non si confronta con le ragioni della decisione risultando, quindi, aspecifico.
La corte territoriale, dopo avere richiamato per relationem la motivazione della sentenza di primo grado, in risposta alla medesima censura difensiva, ha riportato per esteso le dichiarazioni del teste COGNOME funzionario dell’Agenzia delle entrate, ed ha argomentato che era evidente “che l’Agenzia delle Entrate è pervenuta alla conclusione che la fattura fosse stata computata tra gli elementi passivi, indicati nella dichiarazione, in forza di un riscontro compiuto sulla
contabilità fornita dalla stessa società e con il raffronto tra i dati contabili e qu riportati nella dichiarazione fiscale. Anche in questo caso valgono le considerazioni
precedentemente svolte circa l’attendibilità del teste funzionario pubblico, che non
è revocabile in dubbio in assenza di elementi probatori che la contraddicano.
Pertanto, sia la natura di cartiera della società emittente la fattura, si l’inserimento della fattura medesima tra gli elementi passivi della dichiarazione
fiscale per l’anno di imposta 2014 possono stimarsi sufficientemente provati, di modo che vanno disattesi i motivi di impugnazione in esame”.
Evidenzia, ancora, la sentenza impugnata, che la società di cui l’imputato
è legale rappresentante, è una società in regime contabile ordinario, e, quindi, dichiara attraverso il quadro RF per la società di capitale, quadro che è
strettamente connesso con la contabilità e con i due elementi essenziali che sono costituiti dal libro mastro e dal libro giornale. Ciò posto, prosegue la sentenza
impugnata rilevando che i funzionari dell’Agenzia delle entrate, hanno verificato che la società ha contabilizzato la fattura emessa nel 2013 nell’anno d’imposta
2014, e che sulla scorta dell’esame incrociato è stata accertata la sua registrazione nel mastro denominato “lavorazioni conto terzi” e provato il suo utilizzo nella dichiarazione della società con l’esame incrociato dei dati contabili e di quanto dichiarato nel quadro riportante l’ammontare dei costi.
La motivazione non solo non presenta profili di illogicità manifesta, né di carenza, ma è oltremodo adeguata e congrua, ed è fondata su elementi probatori presenti nell’orizzonte cognitivo dei giudici del merito non suscettibile di diversa rivalutazione in questa sede. Il mancato confronto con la motivazione conduce all’inammissibilità del ricorso per difetto di specificità estrinseca.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 26/08/2025