Dichiarazione Fraudolenta: la Cassazione Conferma la Condanna
La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, si è pronunciata su un caso di dichiarazione fraudolenta, un reato fiscale tra i più insidiosi per l’erario. La decisione sottolinea il rigore del sistema giudiziario di fronte a tentativi di evasione fiscale realizzati attraverso l’uso di fatture per operazioni inesistenti. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni a cui sono giunti i giudici.
I Fatti del Caso: L’Uso di Fatture Inesistenti
Il legale rappresentante di una società cooperativa è stato condannato dal Tribunale per il reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era di aver inserito nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2015 degli elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo di 277.778,00 euro, con un’IVA correlata di 50.112,00 euro.
In pratica, l’amministratore si era avvalso di fatture false per abbattere l’imponibile della società e, di conseguenza, versare meno imposte dirette e IVA. Il Tribunale lo aveva condannato a un anno di reclusione, concedendo i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione. Aveva inoltre disposto la confisca, anche per equivalente, sui beni della società e, in via subordinata, su quelli personali dell’imputato, fino alla concorrenza di 112.750,00 euro, importo corrispondente all’imposta evasa.
La Decisione della Cassazione sulla Dichiarazione Fraudolenta
Dopo la conferma della condanna in Appello, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione. Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso palesemente infondato, dichiarandolo inammissibile. Questa decisione ha reso la condanna definitiva, senza neppure entrare nel merito delle argomentazioni difensive, giudicate prive di qualsiasi pregio giuridico.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte di Cassazione, seppur sintetica, è estremamente chiara: il ricorso è stato respinto a causa della “manifesta infondatezza delle doglianze formulate”. Questo termine tecnico indica che le ragioni presentate dal ricorrente erano così evidentemente prive di fondamento da non meritare un’analisi approfondita. In questi casi, la legge processuale (art. 616 c.p.p.) prevede che il ricorso venga dichiarato inammissibile, con l’effetto di consolidare la sentenza impugnata e di addebitare le spese del procedimento al ricorrente.
Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta conseguenze significative. In primo luogo, la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello diventa irrevocabile e definitiva. L’imputato risulta quindi condannato in via definitiva alla pena di un anno (sospesa), e le pene accessorie diventano esecutive. In secondo luogo, il provvedimento di confisca per equivalente fino a 112.750,00 euro diventa pienamente operativo. Infine, come previsto dalla legge, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali del giudizio di Cassazione. Questa pronuncia ribadisce la fermezza della giurisprudenza nel contrastare i reati di dichiarazione fraudolenta, sanzionando non solo con la pena detentiva ma anche con misure patrimoniali incisive come la confisca.
Cosa si intende per reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture inesistenti?
Sulla base del caso esaminato, consiste nell’utilizzare fatture relative a operazioni mai avvenute per indicare in dichiarazione dei redditi elementi passivi (costi) fittizi, con lo scopo di evadere le imposte dirette e l’IVA.
Quali sono state le conseguenze per l’amministratore nella sentenza di primo grado?
L’amministratore è stato condannato alla pena di un anno di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione nel casellario giudiziale. Inoltre, sono state applicate le pene accessorie di legge e disposta la confisca, anche per equivalente, per un valore di 112.750,00 euro.
Cosa significa quando la Corte di Cassazione dichiara un ricorso “inammissibile” per manifesta infondatezza?
Significa che la Corte ritiene le argomentazioni del ricorrente così palesemente prive di fondamento giuridico da non procedere a un esame nel merito della questione. Di conseguenza, il ricorso viene respinto, la sentenza precedente diventa definitiva e il ricorrente viene condannato a pagare le spese del procedimento.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27660 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27660 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 28/05/2025
TERZA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 908/2025 UP – 28/05/2025
R.G.N. 4161/2025
NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 26/09/2024 della Corte di appello di MIlano;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
Con sentenza del 22 novembre 2023, il Tribunale di Milano condannava NOME COGNOME alla pena di un anno di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 perchŁ, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, avvalendosi delle fatture per operazioni oggettivamente inesistenti indicate nel prospetto allegato al capo di imputazione, indicava nella dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta 2015 elementi passivi fittizi per un totale di euro 277.778,00 (IVA euro 50.112,00), riconoscendo i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, applicando le pene accessorie di legge e ordinando la confisca anche per equivalente fino alla somma di euro 112.750,00 sui beni della società e, subordinatamente, su beni e somme dell’imputato fino alla somma di euro 112.750,00.
In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Il Presidente NOME COGNOME