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Dichiarazione fraudolenta: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un legale rappresentante di una società, condannato per dichiarazione fraudolenta. L’imputato aveva utilizzato fatture per operazioni inesistenti per un totale di oltre 277.000 euro, al fine di evadere le imposte. La Suprema Corte ha confermato la decisione precedente a causa della manifesta infondatezza dei motivi del ricorso, rendendo definitiva la condanna a un anno di reclusione (pena sospesa) e la confisca per un valore di oltre 112.000 euro.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Fraudolenta: la Cassazione Conferma la Condanna

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, si è pronunciata su un caso di dichiarazione fraudolenta, un reato fiscale tra i più insidiosi per l’erario. La decisione sottolinea il rigore del sistema giudiziario di fronte a tentativi di evasione fiscale realizzati attraverso l’uso di fatture per operazioni inesistenti. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni a cui sono giunti i giudici.

I Fatti del Caso: L’Uso di Fatture Inesistenti

Il legale rappresentante di una società cooperativa è stato condannato dal Tribunale per il reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era di aver inserito nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2015 degli elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo di 277.778,00 euro, con un’IVA correlata di 50.112,00 euro.

In pratica, l’amministratore si era avvalso di fatture false per abbattere l’imponibile della società e, di conseguenza, versare meno imposte dirette e IVA. Il Tribunale lo aveva condannato a un anno di reclusione, concedendo i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione. Aveva inoltre disposto la confisca, anche per equivalente, sui beni della società e, in via subordinata, su quelli personali dell’imputato, fino alla concorrenza di 112.750,00 euro, importo corrispondente all’imposta evasa.

La Decisione della Cassazione sulla Dichiarazione Fraudolenta

Dopo la conferma della condanna in Appello, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione. Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso palesemente infondato, dichiarandolo inammissibile. Questa decisione ha reso la condanna definitiva, senza neppure entrare nel merito delle argomentazioni difensive, giudicate prive di qualsiasi pregio giuridico.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte di Cassazione, seppur sintetica, è estremamente chiara: il ricorso è stato respinto a causa della “manifesta infondatezza delle doglianze formulate”. Questo termine tecnico indica che le ragioni presentate dal ricorrente erano così evidentemente prive di fondamento da non meritare un’analisi approfondita. In questi casi, la legge processuale (art. 616 c.p.p.) prevede che il ricorso venga dichiarato inammissibile, con l’effetto di consolidare la sentenza impugnata e di addebitare le spese del procedimento al ricorrente.

Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità

La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta conseguenze significative. In primo luogo, la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello diventa irrevocabile e definitiva. L’imputato risulta quindi condannato in via definitiva alla pena di un anno (sospesa), e le pene accessorie diventano esecutive. In secondo luogo, il provvedimento di confisca per equivalente fino a 112.750,00 euro diventa pienamente operativo. Infine, come previsto dalla legge, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali del giudizio di Cassazione. Questa pronuncia ribadisce la fermezza della giurisprudenza nel contrastare i reati di dichiarazione fraudolenta, sanzionando non solo con la pena detentiva ma anche con misure patrimoniali incisive come la confisca.

Cosa si intende per reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture inesistenti?
Sulla base del caso esaminato, consiste nell’utilizzare fatture relative a operazioni mai avvenute per indicare in dichiarazione dei redditi elementi passivi (costi) fittizi, con lo scopo di evadere le imposte dirette e l’IVA.

Quali sono state le conseguenze per l’amministratore nella sentenza di primo grado?
L’amministratore è stato condannato alla pena di un anno di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione nel casellario giudiziale. Inoltre, sono state applicate le pene accessorie di legge e disposta la confisca, anche per equivalente, per un valore di 112.750,00 euro.

Cosa significa quando la Corte di Cassazione dichiara un ricorso “inammissibile” per manifesta infondatezza?
Significa che la Corte ritiene le argomentazioni del ricorrente così palesemente prive di fondamento giuridico da non procedere a un esame nel merito della questione. Di conseguenza, il ricorso viene respinto, la sentenza precedente diventa definitiva e il ricorrente viene condannato a pagare le spese del procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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