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Dichiarazione fraudolenta: ricorso inammissibile

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per dichiarazione fraudolenta. I motivi, relativi alla presunta nullità della dichiarazione di assenza, alla carenza del dolo e all’illegalità della pena, sono stati ritenuti manifestamente infondati. La Corte ha confermato la validità della notifica all’imputato e l’utilizzabilità dell’accertamento fiscale nel processo penale.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione fraudolenta: la Cassazione conferma la condanna

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di dichiarazione fraudolenta, confermando la condanna di un amministratore di società. La decisione è particolarmente interessante perché chiarisce aspetti cruciali della procedura penale, come la validità della dichiarazione di assenza dell’imputato e l’utilizzabilità degli accertamenti fiscali nel processo penale. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.

I Fatti di Causa

Un amministratore unico di una società in liquidazione è stato condannato in primo grado e in appello per il reato di dichiarazione fraudolenta, previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era di aver indicato elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni fiscali relative al periodo d’imposta 2015, al fine di evadere le imposte sui redditi e l’IVA per un ammontare superiore alle soglie di punibilità. La pena inflitta era di un anno e quattro mesi di reclusione.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su tre principali motivi di doglianza.

L’Appello in Cassazione: i motivi del ricorso

La difesa ha articolato il ricorso su tre punti fondamentali:

1. Violazione delle norme sulla dichiarazione di assenza

Il difensore sosteneva la nullità assoluta dell’ordinanza che dichiarava l’assenza dell’imputato. Secondo la tesi difensiva, la notifica del decreto di citazione a giudizio, sebbene ricevuta, non garantiva l’effettiva conoscenza a causa di presunti errori procedurali e del fatto che la notifica si era perfezionata all’estero per compiuta giacenza.

2. Carenza di motivazione sull’elemento soggettivo

Un altro motivo di ricorso riguardava la presunta mancanza di motivazione sulla sussistenza del dolo specifico, ovvero l’intenzione di evadere le tasse. La difesa argomentava che l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate era di tipo induttivo e che l’imputato, essendosi trasferito all’estero, non aveva potuto partecipare al procedimento tributario per difendersi.

3. Applicazione di una pena illegale

Infine, si contestava l’illegalità della pena inflitta, assumendo che fosse stata determinata sulla base delle cornici edittali più severe introdotte da una legge del 2019, successiva alla commissione del reato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla dichiarazione fraudolenta

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando tutti i motivi manifestamente infondati. Vediamo nel dettaglio le argomentazioni dei giudici per ciascun punto.

Sulla dichiarazione di assenza

La Corte ha stabilito che la conoscenza del processo da parte dell’imputato era certa. Risultava agli atti che egli avesse ricevuto personalmente la notifica della citazione per il giudizio di primo grado in data 25 maggio 2023. Il successivo rinvio dell’udienza per garantire i termini a comparire non inficiava la prova della conoscenza del procedimento. La scelta di non presentarsi è stata quindi ritenuta volontaria. La Corte ha inoltre chiarito che le norme sulla notifica all’estero invocate dalla difesa si applicano alla fase delle indagini preliminari e non sono pertinenti ai fini della dichiarazione di assenza nel giudizio.

Sull’elemento soggettivo e l’uso dell’accertamento tributario

Anche il secondo motivo è stato respinto come generico. I giudici hanno sottolineato che la notifica dell’accertamento fiscale era avvenuta nel 2018, mentre il trasferimento all’estero dell’imputato risaliva al 2021, smontando la tesi dell’impossibilità di difendersi. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il giudice penale può legittimamente utilizzare le risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria, a condizione di sottoporle a una propria autonoma valutazione. Nel caso di specie, l’accertamento induttivo era stato ritenuto preciso e concordante, e l’imputato non aveva mai fornito una ricostruzione alternativa o documentazione a supporto della sua posizione. La generica contestazione e l’elevato ammontare dell’imposta evasa sono stati considerati elementi sufficienti a provare il dolo specifico di evasione.

Sulla legalità della pena

Infine, la Corte ha definito manifestamente infondato anche il terzo motivo. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, i giudici di merito avevano applicato la cornice edittale vigente al momento dei fatti (da uno a tre anni di reclusione) e non quella più severa introdotta nel 2019. La pena base di due anni, ridotta a un anno e quattro mesi per le attenuanti generiche, è stata considerata non solo legale, ma anche proporzionata alla gravità del fatto e all’entità dell’evasione.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione riafferma principi consolidati sia in materia procedurale che sostanziale. In primo luogo, la conoscenza effettiva del processo, provata da una notifica ricevuta personalmente, è sufficiente a legittimare la dichiarazione di assenza, anche in caso di rinvio della prima udienza. In secondo luogo, viene confermata la piena utilizzabilità degli accertamenti fiscali nel processo penale come fonte di prova, purché il giudice penale ne valuti autonomamente la portata. La mancata contestazione nel merito di tali accertamenti da parte dell’imputato rafforza la loro valenza probatoria. Infine, viene ribadita la necessità di applicare la legge vigente al momento del commesso reato per la determinazione della pena, respingendo ogni tentativo di contestarne la legalità su basi errate. La decisione si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, a causa della presentazione di un ricorso privo di fondamento.

Quando è valida la dichiarazione di assenza dell’imputato?
Secondo la sentenza, la dichiarazione di assenza è valida quando è provato che l’imputato ha avuto conoscenza certa del processo. La ricezione personale (‘a mani proprie’) della notifica della citazione a giudizio costituisce prova di tale conoscenza, anche se la prima udienza viene poi rinviata. La scelta di non comparire è considerata volontaria.

I risultati di un accertamento fiscale possono essere usati in un processo penale?
Sì, il giudice penale può legittimamente avvalersi delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria, come l’accertamento induttivo, per provare gli elementi di un reato fiscale. Tuttavia, è necessario che il giudice compia un’autonoma valutazione di tali elementi e non li recepisca acriticamente.

Come si determina la pena se la legge cambia dopo il reato?
La pena deve essere determinata sulla base della legge in vigore al momento della commissione del reato (principio del ‘tempus regit actum’). La Corte ha chiarito che i giudici di merito hanno correttamente applicato la cornice edittale vigente all’epoca dei fatti (2016), e non le modifiche peggiorative introdotte da una legge successiva (2019).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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