Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30948 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30948 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/07/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da COGNOME NOME, nato a Modena il DATA_NASCITA, avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 15/09/2023,
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
PREMESSO IN FATTO
Con sentenza del 15/09/2023, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza del 30/05/2022 del Tribunale di Modena, che aveva condannato NOME COGNOME, quale I.r. della società “RAGIONE_SOCIALE“, alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione in ordine al delitto di cui all’arti d. Igs. 74/2000 relativamente all’anno di imposta 2013.
Avverso l’ordinanza il COGNOME propone ricorso per cassazione.
Premette che non sono stati effettuati accertamenti sui conti correnti della RAGIONE_SOCIALE essendo il presente processo scaturito dal fallimento della società emittente le fatture, “RAGIONE_SOCIALE“, e che il funzionario dell’Agenzia delle entrate che ha firmato l’informativa nulla ha sap riferire sugli accertamenti effettuati.
L’unica cosa che viene imputata a RAGIONE_SOCIALE è di avere fornito documentazione parziale (schede contabili e fatture, e non anche la documentazione relativa ai rapporti contrattuali sottostanti, che però spesso non è presente nella documentazione contabile societaria).
Detto funzionario dichiarava che le società utilizzatrici erano mere “scatole vuote”, “cartiere”, ma nessuna indagine veniva espletata nei loro confronti, ma solo nei confronti della SO BA.
All’esito della carente istruttoria il giudice acquisiva ai sensi dell’articolo 507 cod. proc. la relazione ex art. 33 I.f. del curatore, da cui emergeva che un ex dipendente della RAGIONE_SOCIALE, interrogato dal curatore, avrebbe dichiarato che la società fallita aveva cessato la sua attivi nel secondo semestre 2013 ma aveva continuato ad emettere fatture di comodo a clienti, soprattutto emiliani.
Tali fatture, tuttavia, che non sono mai state acquisite, non possono essere considerate FOI, ma solo “sospette” di falsità, e tuttavia sono state utilizzate come prova nel present procedimento.
Il giudice, poi, attribuisce all’omessa trasmissione della documentazione relativa al rapporto contrattuale sottostante le fatture valore di prova della falsità dele stesse, così invertendo l’on della prova.
2.1. Ciò premesso, con il primo motivo deduce mancanza di motivazione in relazione alla regola dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”. La Corte di appello non motiva sulla dedotta doglianza relativa alla insufficienza probatoria specificamente dedotta quale motivo di appello e si dedica solo all’esercizio dei poteri istruttori da parte del primo giudice, doglianza parimenti ma n esclusivamente dedotta.
Si contestava l’esercizio del potere officioso da parte del giudice, che deroga solo eccezionalmente al principio di disponibilità della prova, e segnatamente quando la prova assunta possiede il carattere della assoluta necessità, della sicura concludenza e decisività, elementi da cui discende l’obbligo di specifica motivazione sulla presenza di dette ragioni, nel caso di specie difettanti.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione dell’articolo 507 c.p.p. e vizio di motivazione.
Si contesta l’esercizio del potere officioso da parte del giudice, che deroga solo eccezionalmente al principio di disponibilità della prova, come detto sopra.
2.3. Con il terzo motivo deduce mancanza di motivazione in riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
In data 2 luglio 2024 l’AVV_NOTAIO, per l’imputato, depositava note di replica in cui insisteva per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata, da pagina 7, chiarisce che la società emittente dal 2013 risultava priva di apporti lavorativi di terzi (dipendenti e lavoratori autonomi), indice di una cessazione attività e comunque di una «sommersione fiscale». Ciononostante, “RAGIONE_SOCIALE” continuava ad emettere fatture, connotate da un «marcato indice di illiceità».
Dalla verifica fiscale operata nei confronti di NOME emergevano una serie di operazioni ritenute fittizie (vendita di macchinari a “RAGIONE_SOCIALE“, poi girati tramite operazioni fiscalm esenti alla TARGA_VEICOLO, non accompagnata da movimento dei macchinari stessi).
La relazione del curatore della RAGIONE_SOCIALE, acquisita ex art. 507 cod. proc. pen. evidenziava l’assenza di scritture contabili, ma il curatore rappresentava che già l’esame del bilanci consentiva di evidenziare la illiceità contabile in cui la società versava sin dalla fine del 2012
Inoltre, il dipendente COGNOME NOME evidenziava come il bilancio relativo all’anno 2012, anche quello aggiornato al 28 febbraio 2014, fosse «irreale» e fosse stato «addomesticato» sulla base di un business plan inventato dal COGNOME, amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE. Pertanto, tutta l’attività degli anni 2012-2014 (anno del fallimento) era stata totalmente sommersa.
Il COGNOME evidenziava, ancora, che nel 2013 figuravano 18 unità dipendenti, ma solo 7-8 lavoravano realmente, mentre gli altri erano dipendenti fittizi; inoltre, tutte le fatture em nel secondo semestre 2013 erano fittizie, emesse per reperire risorse in ambito bancario.
Tale situazione, secondo la Corte di appello, si attagliava anche a “RAGIONE_SOCIALE“.
Evidenzia difatti la sentenza (pag. 10) che gli estratti conto prodotti dalla società erano gran parte oscurati in modo da non consentire di comprenderne il significato (corrispondenza tra importi fatturati e bonifici), il quale peraltro in alcun modo è stato chiarito dall’imputato.
A tale ultimo proposito, in riferimento alla dedotta inversione dell’onere della prova, la Cor emiliana precisava che incombe sempre in capo all’accusa provare la falsità delle fatture, ma che a fronte di una specifica richiesta di produzione del «corredo documentale socialmente tipico», la relativa inottemperanza costituisce «elemento indiziante del carattere fittizio dell’operazione da valutare assieme ai restanti elementi di prova, dianzi analizzati.
A petto di un quadro indiziante che univocamente conduce verso una conferma dell’assunto accusatorio, spetta quindi all’imputato introdurre versioni alternative, deducendo e allegando in proposito.
Ed infatti, nell’ordinamento processuale penale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l’imputato in considerazione del principio della c.d. «vicinanza della prova», può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi dife (Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020, Pomilio, Rv. 278679 – 03; Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01).
Come appare evidente, la dedotta assenza di motivazione è palesemente insussistente, avendo la Corte territoriale dato conto di una serie di convergenti elementi da cui desumere la colpevolezza dell’imputato.
Ciò che il ricorrente chiede a questa Corte è in realtà una completa rivalutazione delle prove acquisite dai giudici di merito, operazione di certo non consentita nel giudizio di cassazione.
Ed infatti, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma lett. e), è soltanto quella «evidente», cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °culi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizz circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostr dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della risponden dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragio giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittoriet della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fi giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, COGNOME e altri, Rv. 255542.
Ciò, soprattutto, nel caso in cui si verta in ipotesi di c.d. «doppia conforme» di merito, com nel caso in esame.
Nel caso in esame, nessuna delle suddette ipotesi, in tutta evidenza, sussiste, e il motivo è pertanto inammissibile.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Per univoca giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio intende ribadire (Sez. 3, n. 16673 del 30/10/2017, dep. 2018, Carta, Rv. 272817 – 01; Sez. 2, n. 6250 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 25449701), l’esercizio positivo del potere da parte del giudice di disporre l’assunzione di nuove prove a norma dell’art. 507 cod. proc. pen. senza alcuna motivazione sull’assoluta necessità dell’acquisizione non determina alcuna inutilizzabilità o invalidità, non prevedendo l’ordinamento processuale specifiche sanzioni (inutilizzabilità o invalidità).
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NOME
Le prove assunte dal Giudice di primo grado sono quindi pienamente utilizzabili a fini del decidere e la sentenza impugnata (pag. 6, par. 5.1.) correttamente motiva in tal senso (affermando che il giudice ha formulato una prognosi di decisività della prova di cui ha disposto l’acquisizione in conformità alle indicazioni della Costituzione e della convenzione EDU, che non escludono la possibilità di un controllo sulla completezza del compendio probatorio, necessario corollario della indisponibilità dell’azione penale).
Il motivo di ricorso, in cui viene riproposta in sede di legittimità una doglianza correttamente disattesa, dalla Corte territoriale, è quindi inammissibile.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nell pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217)
La funzione tipica dell’impugnazione, d’altro canto, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenu essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confront puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si de all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critic argomentata, è di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello (pag. 11) conferma la valutazione del primo giudice, che ha ritenuto ostativa al riconoscimento delle circostanze attenuanti atipiche la presenza di numerosi precedenti penali in capo all’imputato, risultando dagli atti «un profilo di personalità connot da marcata proclività alla commissione di reati economici fraudolenti, anche mediante il ricorso a strutturate relazioni con terzi».
Tale motivazione fa buon governo dei principi elaborati da questa Corte, la quale ritiene che le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale
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«concessione» del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr., Sez. 2, n. 14307 14.3.2017, COGNOME; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, COGNOME); il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, m richiede elementi di segno positivo (v. ex multis sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME Crescenzo, Rv. 281590; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, mm.); inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli l atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv 248737). Non è neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma è sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1, n. 33506 del 7/7/2010, 247959; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419).
Rileva altresì questa Corte, con principio che il Collegio ribadisce, che «il mancat riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il dl. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuent non é più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 d 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01)».
4. Il ricorso, in conclusione, non può che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’oner delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «l parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativannente, in euro 3.000,00.
P.Q.M.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 11/07/2024.